Avete mai sentito parlare della truffa del principe nigeriano? Si tratta di una truffa postale, sia informatica che tradizionale, tra le più diffuse al mondo. Ne esistono numerose varianti, ma in genere si riceve una e-mail da uno sconosciuto che non riesce a sbloccare un conto in banca di milioni di dollari: costui sarebbe un principe nigeriano che avrebbe bisogno di un prestanome che si occupi dell’operazione al suo posto, in cambio di una percentuale.
Inventata nel 1992, a partire dal 1994 si diffonde per e-mail. E ormai quasi tutti, almeno una volta, hanno ricevuto una e-mail di uno di questi sedicenti principi nigeriani. Proprio la larga diffusione che ha avuto tramite la posta elettronica e il fatto che esista addirittura una voce di Wikipedia intitolata “Truffa alla nigeriana” possono far pensare che questo modello di raggiro internazionale sia relativamente recente.
E invece no.
Il 16 settembre 1894 la Direzione Generale del Ministero degli Interni italiano diramava una circolare, “e non era la prima volta”, a tutti i prefetti del Regno per avvertire “delle truffe a danno di cittadini ad opera di individui residenti in Spagna”.
Apparentemente in Spagna vi era una “vasta associazione di truffatori, avente diramazioni in vari stati d’Europa e d’America“, la quale, facendo credere dell’esistenza di tesori nascosti e della possibilità di ottenere importanti successioni e tutele, “riesciva a carpire somme non indifferenti alle persone che vi prestano fede“.
Nelle lettere o addirittura telegrammi internazionali che inviavano questi truffatori vi era sempre un sedicente capitano, tesoriere di un reggimento spagnolo, il quale, costretto a espatriare durante la rivoluzione, si rifugiava in Italia e nascondeva in una data località un’ingente somma di denaro. Seguiva quindi la storia dell’arresto del capitano, con la precisazione che aveva una figlia in collegio in Spagna, la quale avrebbe dovuto recarsi nella data località in Italia con la mappa del tesoro: ma per fare ciò avrebbe avuto bisogno di una somma di denaro che il benefattore doveva versare anticipatamente.
Anche all’epoca le persone erano diffidenti, quindi la lettera era accompagnata da documenti falsificati, come certificati di detenzione del sedicente capitano nelle carceri militari di Barcellona, Cadice o Valladolid; lettere della direttrice del collegio dove viene educata la figlia; o anche il ritratto della figlia stessa.
Questa epidemia di truffatori spagnoli imperversò per anni, raffinando sempre più le tecniche.
Il 10 dicembre 1900 la Direzione Generale del Ministero emanava un’altra circolare per i prefetti, precisando come nel tempo si era evoluta la casistica: infatti “il Ministero ritiene che dando la più estesa pubblicità [ai casi], che vengono utilizzati di preferenza, e ripetendo le pubblicazioni a non lunghi intervalli, specialmente sui giornali di provincia, anche le persone meno accorte potranno riconoscere a prima vista gli artifizi coi quali si cerca di carpire loro denaro ed eviteranno di essere ingannati“.
Il sedicente capitano spagnolo era andato fuori moda. Ora era in voga la storia del negoziante fuggito col prodotto di un fallimento doloso, poi arrestato e detenuto in Spagna, il quale chiedeva di recuperare l’ingente somma messa al sicuro dal suo arresto offrendo un lauto premio a chi gli avesse dato soccorso.
Un’altra variante popolare era il caso del capo di insorti cubani, fatto prigioniero dagli spagnoli durante la guerra ispano-americana del 1898, mentre si recava in Europa su un bastimento americano per acquistare armi a favore dell’insurrezione. Il capo rivoluzionario, che ora si trovava in arresto a Barcellona, Cadice o Valladolid, domandava solo i fondi necessari a riscattare una valigia sequestrata dalle autorità spagnole, nella quale era nascosta, in un doppio fondo segreto, una cambiale tratta al portatore, rappresentante una somma enorme depositata presso il Banco di Marsiglia e destinata in origine all’acquisto degli armamenti. Della somma, naturalmente, veniva offerta una percentuale al benefattore che avrebbe aiutato a riaverla.
C’era infine un tipo di truffa indirizzata specificatamente agli ecclesiastici. La storia era quella di un frate, costretto dall’obbligo della clausura a rimanere in un convento in Spagna, che per questo chiedeva di essere aiutato a recuperare il ciclopico patrimonio di un’orfana minorenne posta sotto la sua tutela. Anche qui la richiesta era accompagnata dall’offerta di una cospicua ricompensa. E per non farsi mancare niente, si aggiungeva che la minorenne era nata dalla relazione illegittima fra un prete e una ricchissima signora italiana.
Comunque, a proposito, ne approfitto per dirvi che abbiamo trovato sui Navigli un grosso tesoro di ori e argenti che non riusciamo da soli a tirare su. Se ci date una mano potremmo dividere il bottino. In cambio vi chiediamo un paio di bottiglie a Il Secco.
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