Giunti al nostro ultimo appuntamento, non ci resta che scoprire l’ultimo supplizio nella cruenta lista di Hans von Hentig: la crocifissione. Una pena che ha origini, influenze e sviluppi radicati nell’antica Asia, ritrovati tra le macerie dell’antica Roma di Giustino e rivelati dai Vangeli.
Il supplizio della crocifissione, soprattutto nella sua forma originale, è strettamente connesso con quello dell’impiccagione. Questo sistema di punizione, per quanto ci sia noto soprattutto da fonti del diritto romano e della storia religiosa, non è originario di Roma, ma dell’Asia Minore. Ha avuto origine in una tendenza ben precisa di tutti i popoli primitivi conosciuta come quella del “non uccidere direttamente”, ma lasciare che le cause naturali producano la morte, impedendo a questo individuo di difendersi – come farebbe normalmente – contro il pericolo che lo minaccia. In origine, nella crocifissione la morte sopravveniva per l’azione del sole o della sete. Supplizio, quindi, che non avrebbe potuto essere concepito in un clima nebbioso e umido come quello del Nord, ma certamente nel Sud assolato.
Agli albori, la crocifissione non era eseguita nella forma assunta con l’avvento della Chiesa cristiana, cioè mediante la tradizionale e simbolica croce. Infatti non c’era nulla di più di un semplice palo, al quale era legato il condannato e ciò è dimostrato dalla parola greca strauros (in greco antico σταυρός), il cui preciso significato è quello di palo.
In Giustiniano – a prescindere dal rispetto che egli mostra per il simbolo religioso – la parola ‹‹furca» sostituisce il termine crux, il che lascia pensare che ciò costituisse già a quell’epoca un momento di transizione da una forma di crocifissione a un’altra, sia pure di origine egualmente antica. Incontriamo la furca nel vivace accenno che ne fa Svetonio, parlando della morte di Nerone. Quando l’Imperatore seppe che il Senato lo aveva bandito, posto fuori legge, inseguito e ricercato – egli che pure aveva mandato a morte tanta gente – chiese quale sarebbe stata la punizione tradizionale nel suo caso. Quando seppe che doveva essere legato nudo su una forca e frustato a morte, terrorizzato afferrò la spada, ne provò la punta e, attore fino alla fine, si lasciò cadere su di essa (Svetonio, Nerone, 49: ‹‹Ut puniatur more maiorum››).
Non vi è alcun dubbio che la crocifissione fosse considerata un sistema di punizione particolarmente temibile. Proprio per questa ragione, essa fu qualificata dai giuristi giustinianei come summum supplicium.
Le uniche punizioni che potessero essere paragonate a essa erano il rogo e l’essere gettato alle bestie feroci. La severità e la brutalità della pena della crocifissione è messa in rilievo ripetutamente da tutti gli autori latini: così quando Galba giudicò un guardiano che aveva ucciso la persona affidata alla sua custodia (Svetonio, Galba, 94) e quando Domiziano giudico di reati di lesa maestà, sebbene il Senato avesse decretato la pena della crocifissione come rispondente alla tradizione romana (Svetonio, Domiziano, 11), né l’uno né l’altro osarono mai d’applicarla.
Probabilmente la ragione per la quale la crocifissione era così temuta, sostiene von Hentig: ‹‹va ricercata nella lentezza dell’agonia››. Questa circostanza è evidente nel racconto evangelico. Vediamone alcuni passi: Gesù crocefisso parla con i ladroni che sono impiccati ai suoi fianchi (Luca, 23-39), parla con la madre, la sorella e anche con i discepoli (Giovanni, 19-23 e 27). Gli ebrei prevedevano una lunga agonia e chiesero a Pilato di permettere che fossero rotte le gambe dei crocefissi.
La frattura delle membra era prevista anche come forma di supplizio indipendente dal supplizio della crocifissione: così come Augusto fece rompere le gambe al suo segretario Tallo, reo di peculato (Svetonio, Augusto 67) e Tiberio condannò alla stessa pena due giovinetti che aveva seviziato (Svetonio, Tiberio 44), ‹‹perché un uomo crocefisso è maledetto dal Signore e profana il suo paese›› (Mosè, 21-23).
Secondo la tradizione ebraica i corpi dovevano essere deposti dalla croce al crepuscolo e dovevano essere o seppelliti o coperti con un mucchio di pietre (Giosuè, 8-29: ‹‹appiccò ancora ad un legno il re d’Ali, il qual vi rimase fino alla sera; ma in sul tramontar del sole, Giosuè comandò che il corpo morto fosse messo giù dal legno›› e ancora Giosuè, 10-27: ‹‹e in sul tramontar del sole per comandamento di Giosuè furono messi giù dalle forche, e gettati nella spelonca; nella quale s’erano nascosti; e furono poste delle pietre grandi alla bocca della spelonca, le quali vi sono restate infino a questo giorno››).
La storia antica presenta parecchi esempi della lentezza dell’agonia dei crocefissi. Per esempio, il generale cartaginese Bomilcare fu crocefisso dal suo stesso popolo perché aveva intenzione di passare con il suo esercito al nemico Agatocle (Giustino XXII, 7). Egli mostrò un coraggio intrepido e, aggiunge von Hentig: ‹‹una resistenza fisica così grande, che dall’alto della croce, come dall’alto di una tribuna, arringò i Cartaginesi rimproverando loro i loro errori e non morì se non dopo che ebbe parlato a lungo e ad alta voce alla folla che si era rapidamente adunata intorno a lui››.
Com’è evidente, dall’esempio di Gesù e del generale, questo supplizio non era causa di una morte immediata. Citiamo ancora un esempio: Claudio, che amava assistere a un supplizio eseguito a regola d’arte, restò una volta un intero giorno accanto ad alcuni delinquenti crocefissi, ‹‹e non fu che verso sera che giunse il boia per finirli›› (Svetonio, Claudio 34). Egli desiderava, infatti, scorgere l’espressione della morte sul volto di quei condannati.
La crocifissione era seguita o preceduta dalla fustigazione. Nei Vangeli noi vediamo appunto che la crocifissione di Gesù fu preceduta dalla denudazione e dalla fustigazione. Secondo il Mommsen, il condannato era prima fustigato e poi bendato, esattamente come era consuetudine fare per l’impiccagione. Si poneva, quindi, sulle spalle la croce, si legavano le braccia da una parte e dall’altra della croce stessa, e il corpo così assicurato al legno, veniva eretto in aria. Dopo essere stato crocefisso il delinquente era di nuovo fustigato. La morte seguiva molto lentamente e dopo molte sofferenze. Ricordiamo inoltre, come nel Vangelo, Gesù si lamenti in modo esplicito di essere assetato; che il supplizio della sete fosse parte integrante della crocifissione, è provato dal fatto che, non appena Gesù si lamenta, il primo pensiero dei presenti è che egli sia torturato dalla sete (Giovanni, 19-28).
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Il Mommsen ritiene che il valore religioso non sia tanto evidente nella crocifissione, quanto nella decapitazione. Ma, nonostante ciò, qualche valore rituale deve pur attribuirsi anche alla crocifissione, indipendentemente dalla stretta relazione che questo modo di infliggere la morte ha con il sistema di pena capitale più antico, l’impiccagione. Plinio nella sua Storia naturale riferisce un’antica superstizione popolare, per la quale un chiodo e una corda della croce possedevano altrettanto potere magico ‹‹del legno colpito dal fulmine››. Assai probabilmente questo potere magico va posto in relazione con il fatto che, nei tempi antichi, anche la croce era un altare sul quale si offrivano sacrifici agli dei. Si può supporre che la forza vitale dell’essere sacrificato continuasse ad aleggiare, ‹‹arricchita dal favore della deità placata, sul legno che aveva servito di mezzo per offrire il detto sacrificio›› (Plinio, Storia naturale, XXVIII, 11). Allo stesso modo, nella concezione cristiana della croce, non si è fatto che adombrare un simbolismo sacro e tanto più sacro in quanto è la divinità stessa, che sulla croce, sacrificò quanto aveva di più caro.
L’antico carattere sacro della croce forse per noi non è facilmente evidente; la croce stessa, peraltro, nel corso dei secoli ha riacquistato uno speciale valore mistico che conserva tuttora. È difficile dire se la crocifissione o l’impiccagione siano basate su quelle forme di atti magici di difesa, che erano in uso anche in India contro ciò che era impuro e pericoloso per la comunità (Erodoto II, 125 in cui si racconta la storia di Policrate, che fu crocefisso da Orota).
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