Il 28 ottobre 1922, manifestazioni e dimostrazioni di violenza da parte dei fascisti si tennero in tutta Italia, da Perugia – dove fu stabilita la cabina di regia dell’azione – a Roma. E anche a Milano.
Della Marcia su Roma si sa tutto. O forse non molto, a parte la data, e la forte carica simbolica che il Regime volle tributare a quell’evento che segnò nei fatti la presa del potere del fascismo. Talmente simbolica che il 28 ottobre fu trasformato in un nuovo anno zero, segnando l’inizio dell’Era Fascista.
Il 28 ottobre 1922, manifestazioni e dimostrazioni di forza si tennero in tutta Italia, da Perugia – dove fu stabilita la cabina di regia dell’azione – a Roma.
E anche a Milano.
Se Roma era il potere, Milano era stata la culla del fascismo. Era infatti pur sempre la città dove il fascismo era nato pochi anni prima e dove aveva sede nel “covo” di Via Paolo da Cannobio il suo organo di propaganda: il Popolo d’Italia, fondato da Mussolini dopo la rottura con l’Avanti. Milano era anche la città dove il futuro duce viveva da molti anni, una città centrale per la storia di quegli anni, protagonista del ventennio dall’inizio alla fine.
Anche a Milano dunque si “marciò”, e lo stesso Mussolini visse quella giornata a Milano e non a Roma, dove giunse la notte del giorno dopo partendo nel tardo pomeriggio del 29 con un direttissimo dalla “vecchia” stazione centrale (quella di Piazzale Fiume, l’odierna piazza della Repubblica). La partenza, non a caso, fu ritardata in attesa di avere la certezza di ricevere l’incarico dal Re di formare il nuovo Governo, dopo che Mussolini aveva rifiutato di appoggiare Salandra, ritenendo che il fascismo potesse prendersi in pieno la responsabilità di governo.
Ma mentre Mussolini era in attesa protetto dalle squadre fasciste nel suo giornale, cosa accadeva per le strade di Milano?
Dal n. 48 di via Castelfidardo
Nemmeno a dirlo, furono prese d’assalto le caserme e i giornali. I fascisti a dire il vero non erano molto organizzati, occuparono a manipoli non uniti alcuni snodi della città ma senza una vera “marcia” come ci si immaginerebbe.
I moti a Milano iniziano il 28 ottobre all’altezza della casa n. 48 di via Castelfidardo, a pochi metri da dove allora sorgeva la casa del Fascio. Lì era stata costruita una barricata con tavole, carri e sacchi dal lato che ancora oggi guarda verso i bastioni di Porta Nuova. Sulla barricata erano state issate due grandi bandiere tricolori.
Cari lettori, con uno sforzo di immaginazione provate a immergervi con noi nel flusso rocambolesco degli eventi di quel pomeriggio. Proprio di fronte a voi vedete alcune sentinelle fasciste, in camicia nera, elmetto e fucile: sono in servizio sulla barricata. Altre, invece, stanno rivolte verso via Castelfidardo. Il ponte sul Naviglio, quel naviglio oggi sepolto proprio per volere del Regime, invece, è vigilato dalle guardie regie dal lato dei bastioni.
Gli incidenti di via Agnello e via Moscova
Alle quattro del pomeriggio un folto drappello di fascisti che procedeva per il corso Vittorio Emanuele, giunge all’altezza di via Agnello, a pochi metri dalla Galleria. Si trovano davanti un cordone di guardie regie. I fascisti sfondano il cordone e si lanciano in avanti di corsa, imboccando l’ingresso delle officine Edison, che sorgevano proprio in quell’angolo, con l’intenzione di occuparle. Ci sono degli spari: sono le guardie che chiamano i rinforzi. I fascisti entrati nelle officine, quelli negli uffici del Popolo d’Italia più a sud dall’altra parte di Piazza Duomo, e persino quelli saliti sui tetti vengono arrestati. In poco tempo l’ordine sembra ristabilito.
Non trascorre neppure mezz’ora, però, e già un’altra squadra di camicie nere sbuca dallo sbarramento improvvisato al di là del ponte di via Castelfidardo che abbiamo visto prima e si avventa contro il portone semiaperto della caserma delle guardie di finanza, in via S. Marco.
Gli ufficiali a presidio della caserma tentano invano di convincere i fascisti a desistere dal loro proposito, ma proprio in quel momento qualcuno getta un petardo dalla finestra. Le guardie regie aprirono il fuoco, riparandosi dietro al parapetto del ponte di via Moscova.
I fascisti, entrati nella caserma, rispondono con alcuni colpi che finiscono tutti sull’angolo della casa che era al n. 36 di via Moscova.
Da ambo le parti, intanto, giungono i pacificatori: i fascisti vengono richiamati alla calma, le guardie si riuniscono in plotone. Gli squadristi, armati di fucile, continuano ad ammassarsi all’ingresso della caserma della guardia di finanza e la occupano.
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L’episodio alla caserma Manara, poi la “tranquillità”
È ormai scesa la sera quando, intorno alle 22, una compagnia di camicie nere si avvia in direzione della caserma dei bersaglieri in via Ancona e sfonda il portone. Non cercatela sulla mappa: la Caserma sorgeva nei terreni dove oggi ci sono i chiostri di San Simpliciano e ora non esiste più.
Ai malcapitati passanti viene impedito il passaggio e tutti i portoni della case vengono fatti chiudere.
Da lontano giunge un’autoblindata, che si ferma proprio su via Ancona, salutata da acclamazioni dei fascisti. L’auto si dirige poi verso via Statuto, infine torna indietro facendo il giro dell’isolato: non proprio una fiera parata militare.
Dopo un colloquio tra Mussolini, il generale Cattaneo (a capo del corpo d’armata la cui sede era stata violata) e il prefetto Lusignoli i fascisti intorno alle due di notte sgombrano la caserma, e vengono ritirate le barricate e le vedette disseminate in via Solferino, in via Pontaccio e all’angolo di via Palermo. Un altro gruppo di fascisti tenta di nuovo di occupare una caserma, quella di via Parini, ma vengono tutti arrestati.
Alle quattro del mattino è tornato il silenzio, solo poche persone sono in strada. Sono quelle che si affacciano al nuovo giorno. I giornali scrivono che “I tram possono iniziare, senza inciampi, la loro corsa abituale“.
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