Nella Civitas medioevale: tra inclusione ed esclusione

Il grande “spaccato” della città comunale costituisce un ottimo esempio per analizzare alcune delle dinamiche di inclusione ed esclusione che hanno caratterizzato l’esperienza giuridica medievale. Non è un mistero infatti che da sempre, nella storia degli umani eventi, ogni gruppo sociale, piccolo o grande, abbia tracciato perimetri ben precisi per i suoi appartenenti, stabilendo non soltanto diritti e doveri, ma anche gli strumenti per l’esclusione da tali confini sociali.
Il contesto
Tra il XII e XIII secolo, un primo fattore per designare l’appartenenza ad un determinato nucleo urbano era rappresentato dall’iscrizione delle persone residenti in città negli estimi cittadini e negli elenchi delle collette: una chiara testimonianza del contributo economico dato dal singolo alle esigenze della cosa pubblica. Senza l’inserimento in queste liste non si poteva essere considerati civis, e si rischiava l’esclusione dalla protezione del Comune.
In questo contesto storico la condizione di cittadino viene concepita come un rapporto di protezione-prestazione: pagare le imposte per appartenere alla città e per ricevere protezione per sé e per i propri bene. Questo perché la civilitas – intesa nel significato moderno di cittadinanza – non è nella realtà medievale una situazione stabilita in modo perenne: mai si rinviene l’attribuzione di una univoca identità giuridica. Per riprendere le parole utilizzate da Pietro Costa:
«se cittadinanza indica il legame di appartenenza di un individuo ad una comunità politica ma le forme di realizzazione di questa sono molteplici, non è più tanto chiaro a cosa esattamente si appartenga».
Le attività commerciali e il loro ruolo nella appartenenza alla Civitas
Dopo l’anno mille la crescita demografica e l’espansione delle attività commerciali determinano il rifiorire dei centri cittadini. Realtà con poche migliaia di anime si trasformano in centri stabili di traffico commerciale: qui è possibile reperire magazzini dove depositare le merci, stipulare accordi, incontrare compratori e venditori.
Il mercato ad esempio rappresenta un luogo di inclusione molto importante: viene organizzato in una piazza, che prende spesso proprio il nome di “piazza mercato”, oppure lungo le arterie nevralgiche del contesto cittadino. Molte strade mantengono tutt’oggi nomi che richiamano le attività commerciali e creditizie che lungo di esse avevano luogo (si pensi a Londra e ai vari Cornmarket, Haymarket). E ancora, per tentare di comprendere l’importanza che riveste il concetto di appartenenza è necessario menzionare i luoghi del lavoro e della produzione. Ogni attività ha una sua collocazione ben precisa all’interno della città: le attività e le dimore artigiane che incidono sull’igiene pubblica devono dislocarsi ai margini delle città (tintorie, concerie); quelle produttrici di inquinamento acustico e atmosferico (ad esempio le botteghe dei fabbri o dei battilana) non possono collocarsi nelle zone di maggior pregio e devono essere lontane dalle residenze dei personaggi di rango elevato, come i giureconsulti o i dottori delle Università.
Le attività commerciali ed economiche di natura analoga trovano collocazione in una medesima area: ciò ne rende più semplice il controllo da parte delle autorità e al tempo stesso ne stimola la concorrenza.

Gli uomini che svolgono lo stesso mestiere cominciarono a unirsi tra loro per tutelare i propri interessi nella realtà spesso difficile e conflittuale della città. Tra il XI e il XII secolo iniziarono a sorgere le Arti. Queste, indicate con nomi diversi (Arti, Paratici, Gilde, Corporazioni), controllavano l’accesso alle professioni, le modalità in cui queste dovevano svolgersi, la qualità delle realizzazioni e i prezzi finali di vendita, in modo tale da garantire un elevato livello di produzione e diminuire la concorrenza interna. I procedimenti e le tecniche di lavorazione – che noi oggi definiremmo know-how – erano gelosamente custoditi, con pesanti sanzioni per chi li divulgava il “Segreto” al di fuori della propria corporazione.
Gli esempi dagli Statuti delle Arti
Queste misure contribuivano a fortificare un senso di appartenenza che plasmava il contesto cittadino. La loro adozione richiedeva regolamenti precisi che ogni corporazione si dava attraverso gli statuti, che con grande minuzia disciplinavano tutti gli aspetti dell’attività lavorativa. Lo leggiamo, ad esempio, in un capitolare delle arti veneziane, in originale chiaramente in latino, risalente al XII secolo, dove i nuovi aderenti all’Arte degli Speziali di Venezia si impegnano ad osservare lo Statuto di questa nell’esercizio del proprio lavoro:
«Giuro sui santi Vangeli di Dio che preparerò e farò preparare tutti i composti, i preparati farmaceutici e gli unguenti e gli impiastri e le medicine nel modo corretto e secondo quanto prevede la legge con le spezie usuali; e se non sarò in grado di trovare qualche ingrediente, lo sostituirò nel modo giusto.
Non incarterò né farò incartare prodotti medicinali del valore di più di dieci soldi se prima non li avrò sottoposti all’esaminatore o agli esaminatori a ciò preposti, se non nel caso particolare che un medico ordini una certa medicina per un suo ammalato.
[…] Curerò secondo la legge e ciascuno in maniera precisa tutti gli ammalati, i feriti o coloro che saranno colpiti da altre infermità, che riceverò per medicarli, e darò loro consigli a seconda delle loro indisposizioni, né allungherò in maniera ingannevole i tempi della loro degenza.
Non darò, né farò dare, né proporrò ad alcuno di somministrare medicine velenose o abortive.
[…] Se verrò a conoscenza che qualcuno ha agito contro le sopra citate regole o ha esercitato l’arte senza aver fatto il giuramento, il più rapidamente possibile lo denuncerò ai funzionari della giustizia».

Per la precisione con cui vengono affrontate alcune questioni, lo statuto degli speziali veneziani è paragonabile ad un vero e proprio codice deontologico moderno. Disposizioni analoghe si rinvengono anche nel Corpus Statutorum mercatorum Placentiae, dove vengono fissati i luoghi e le modalità con cui è consentito allestire il mercato nella città di Piacenza. A tutti i venditori di carne, pesce, frutta e altri generi alimentari viene fatto assoluto divieto di tenere mercato nelle aree di Piazza del Borgo, della torre di Gotentesta e di Castello Villano, eccetto il sabato. Per i trasgressori è prevista una multa di dodici denari per ogni violazione. Dettami diversi vengono invece stabiliti per il mercato del filo, da tenersi rigorosamente il venerdì in Piazza di Sant’Andrea del Borgo. Non bisogna poi dimenticare il peso politico che le gilde e le corporazioni ebbero nei singoli contesti urbani: rappresentando infatti un’intera categoria di lavoratori, nei consigli politici ed economici delle città poterono esprimersi con una forza che nessuno dei loro membri avrebbe avuto singolarmente. Tra gli altri luoghi dell’inclusione dovremmo poi menzionare anche gli alberghi, le taverne, i bagni pubblici; tutti luoghi dove i cittadini, i viaggiatori, i mercanti e gli abitanti delle aree vicine spendevano una porzione, seppur minima, della propria esistenza.
Il rovescio della medaglia: i luoghi dell’esclusione
Ma non ci sono solo luoghi di aggregazione e di coesione sociale nelle città medievali. Al loro interno o nelle immediate vicinanze esistono luoghi che hanno lo scopo di escludere soggetti percepiti come una minaccia per la collettività. La paura e la volontà di attuare un allontanamento potevano derivare dalle condizioni di salute degli stessi o dalla loro particolare indigenza. L’allontanamento e la costruzione di luoghi appositi è dettata non solo da logiche di natura assistenziale, ma anche dal desiderio di nascondere alla vista ciò che non si vuole mostrare. Un ottimo esempio ci viene dato dalla realizzazione dei lebbrosari. Vista la grandissima diffusione che caratterizzò tale morbo, soprattutto nel periodo altomedievale, non deve stupirci il fatto che praticamente tutte le città avessero un proprio lebbrosario. Quest’ultimo per ovvie ragioni, veniva costruito fuori dalle mura, ma pur sempre nelle sue vicinanze; un esempio che nella sua tragicità ci fa pensare alla logica del “dentro o fuori dal perimetro”, richiamando quanto detto all’inizio del presente contributo. Tra gli altri luoghi di esclusione dobbiamo poi necessariamente menzionare gli ospizi e gli ospedali, dove trovano riparo i malati, i vagabondi, le persone anziane, gli indigenti e anche i bambini abbandonati. Anche in questo caso bisogna considerare che tra il X e l’XI secolo ogni città annovera al suo interno almeno una struttura di natura ospedaliera o uno ospizio. E sino agli inizi del XII secolo sarà proprio la Chiesa a farsi carico – in tutta Europa – della gestione di tale sistema.
Gli Esclusi e la Peste
Altro grande esempio di esclusione, o forse sarebbe meglio dire di emarginazione, è quello che viene attuato in odio alle comunità ebraiche. Anche se la creazione dei primi ghetti avverrà in maniera intensa a partire dal XVI secolo, è già nel periodo medievale che il sentimento di odio nei loro confronti inizia a manifestarsi in maniera evidente. Proprio l’epidemia di peste scoppiata in Europa nella metà del XIV secolo ne rappresenta una prova lampante: in molte aree europee si diffuse la credenza che il contagio fosse dovuto ad un uso premeditato di veleni, sparsi da alcuni gruppi di ebrei o di lebbrosi. È la tesi della “peste manufatta”, diffusa cioè con dolo e malignità. Da qui la paura, unita all’ignoranza e al desiderio di trovare a tutti i costi una spiegazione del fenomeno, produsse come unico risultato l’individuazione di un capro espiatorio su cui riversare rabbia e angosce. Gli ebrei non furono gli unici ad essere colpiti dalla psicosi collettiva: emarginati, stranieri, lebbrosi, mendicanti, qualsiasi gruppo che era percepito come “diverso”, furono indicati come i principali responsabili della diffusione dell’epidemia. In un’epoca dove la medicina non garantiva certamente i risultati odierni, la convinzione di individuare dei responsabili umani forniva l’illusione di poter arginare il diffondersi del male. Quegli stessi uomini, però, capirono ben presto che la realtà del morbo non si prestava ad essere docilmente controllata.

…una breve conclusione
Per concludere, alcuni aspetti sembrano chiari: l’uomo medievale ha una visione di sé e del mondo che lo circonda molto diversa dal suo omologo odierno. È per lui necessario far parte di un minimo tessuto sociale, un piccolo porto dove sentirsi ancorato e protetto: il nucleo familiare, la piccola chiesa, la gilda o la corporazione di riferimento, sono tutte manifestazioni della necessità quasi atavica di far parte di qualcosa di più grande, che rende quell’individuo meno fragile rispetto alla posizione di partenza. Per riprendere le parole utilizzate da Paolo Grossi, potremmo dire che l’individuo se sopravvive lo fa “uti socius” e non “uti singulus”, ossia come membro di una comunità e non come un essere solitario, inerme e fragile. Uno stato di cose che appare assolutamente lontano dalla nostra quotidianità. Oggi non siamo più abituati a guardare e concepire noi stessi come una parte del tutto; preferiamo di gran lunga la logica del tutti contro tutti, impostando consapevolmente le nostre esistenze sul raggiungimento di traguardi in primo luogo individuali. Il livello raggiunto dalla tecnologia e i mezzi a nostra disposizione hanno portato quasi ad un senso di onnipotenza, mutando le ansie e la natura dei nostri timori. Molto più esiguo era il palcoscenico dell’uomo medievale: un essere fragile come abbiamo detto, abituato a vivere in una dimensione di appartenenza, ma anche nella paura e nell’ossessione del peccato. Certo, anche lui vive in piccolo i mutamenti del suo tempo; dopo l’anno mille inizia a credere meno nella venuta del giudizio universale, ma sa che la morte, un cattivo raccolto o un’epidemia sono sempre dietro l’angolo. Uno scenario che inizierà a cambiare solo a partire dal XIV secolo, quando quella che gli storici chiamano “Operazione trecentesca” darà il via ad un procedimento di liberazione dell’individuo dalle incrostazioni medievali. L’uomo inizierà ad “auto giustificarsi”, acquisendo maggiore consapevolezza nei propri mezzi e nella propria volontà, preparandosi ancora una volta a cambiare la storia del mondo.
© Riproduzione Riservata