Il 30 settembre 1943, Napoli divenne la prima tra le grandi città europee a liberarsi autonomamente dai Tedeschi. Nonostante la retorica dipinga l’arrivo degli Alleati nel sud come indolore, questi entrarono a Napoli, l’1 ottobre, che la città aveva scacciato i Tedeschi da sé, al termine di 4 giorni di lotta.
L’insurrezione, partita il 27 settembre dalla Masseria Pagliarone, al Vomero, è stata per lo più ricondotta dalla storiografia a una jacquerie, una rivolta di scugnizzi. In realtà le 4 giornate di Napoli furono una sollevazione antitedesca consapevole, a cui parteciparono uomini, nonché persino donne e bambini, di varia estrazione sociale.
A differenza della Resistenza degli anni successivi, di cui le quattro giornate di Napoli costituirono una fase embrionale, alla guida non vi erano i partiti antifascisti. La componente politica fu anzi minoritaria rispetto alla spinta dell’insofferenza avverso le privazioni e il reclutamento coatto della manodopera messi in atto dai Tedeschi.
Al termine delle quattro giornate, i partiti antifascisti, costituitisi in Comitato di Liberazione Nazionale, pubblicarono un manifesto con il quale, tra le altre cose, Il popolo napoletano porgeva agli eserciti delle Nazioni Unite, difensori della libertà, un saluto cordiale. Il manifesto era firmato dal Partito Liberale, il Partito d’Azione, la Democrazia Cristiana, il Partito della Democrazia del Lavoro, il Partito Socialista e il Partito Comunista: una rara testimonianza di unità, che durò poco.