9 aprile 1850 – Approvate le Leggi Siccardi
Le Leggi Siccardi prendono il nome dal loro ideatore, il ministro Giuseppe Siccardi, giurista e magistrato piemontese, che nel 1849 era entrato a far parte del governo d’Azeglio come ministro della Giustizia, su indicazione di Cavour.
A lui si deve una proposta rivoluzionaria. Siccardi infatti pensò a un pacchetto di provvedimenti per abolire alcuni privilegi di cui godeva la Chiesa Cattolica nel Regno di Sardegna, che facevano dello Stato piemontese uno dei più arretrati ed arcaici in materia. I provvedimenti riguardavano in particolare l’abolizione del foro ecclesiastico, un tribunale dedicato che sottraeva alla giustizia laica gli uomini di chiesa (anche per i reati di sangue), il diritto di asilo, l’impunità giuridica per coloro che trovavano rifugio in chiese, conventi e monasteri, e la cosiddetta “manomorta”, l’inalienabilità dei beni ecclesiastici e la non assoggettabilità al pagamento delle tasse. Alla base c’era lo Statuto Albertino, che proclamava l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Il provvedimento venne proposto alla Camera il 25 febbraio del 1850 e approvato a larga maggioranza il 9 aprile. La legge passò poi al Senato che, tradizionalmente su posizioni più conservatrici, l’approvò con una maggioranza più risicata.
Divenuto anche guardasigilli e senatore del Regno, nell’aprile del 1851 Siccardi si dimise da ministro e fu nominato secondo presidente della Corte di cassazione.
Nonostante le moltissime reticenze rispetto all’approvazione delle leggi Siccardi, aveva ragione Cavour a sostenere che le leggi erano indispensabili per intervenire contro la “sclerosi” dello Stato. “(…) Progredite largamente sulla via delle riforme”, ammoniva, “e non temete che esse siano dichiarate inopportune”.