Ha fatto molto parlare la notizia dell’intenzione di un discendente di Dante Alighieri di ottenere la revisione del processo di condanna del celebre avo risalente a oltre sette secoli fa. E allora vogliamo divertirci anche noi.
Il Contesto
Pasqua dell’anno 1300: Un Signore con residenza in Firenze, di circa trentacinque anni, il cui nome risulta essere Durante Alighieri fu Alighiero, inteso “Dante”, probabilmente colto da c.d. “colpo di sonno”, devia dalla diritta via e imbocca una mulattiera che attraversa una “selva selvaggia et aspra e forte“.
Dalle dichiarazioni spontanee dallo stesso rese, regolarmente verbalizzate in endecasillabi, apprendiamo che tale bosco è sì fitto che, riferisce, “nel pensier rinnova la paura“.
Quel che poi dichiara ai verbalizzanti sembra essere frutto di assunzione di sostanze stupefacenti da parte del predetto.
Spiega, infatti, di aver vissuto una “catabasi” (leggasi: discesa agli inferi) al pari di almeno altri quattro soggetti conosciuti agli uffici: Orfeo; Eracle; Ulisse fu Laerte, residente in Itaca, la cui morte presunta fu dichiarata ex art 58 c.c. dal competente Tribunale, poi improvvisamente riapparso sotto mentite spoglie di un mendicante; Enea fu Anchise, residente in Troia ma di fatto domiciliato nel Lazio, profugo richiedente protezione internazionale UNHCR.
Le dichiarazioni di Durante Alighieri fu Alighiero, inteso “Dante”, si connotano per la complessità del racconto. Dai brogliacci apprendiamo che questi ha avuto modo di incontrare defunti, incredibilmente senza l’utilizzo di dispositivi quali “Tavolette Ouija”, e di aver appreso le istituzioni dell’Ordinamento Penale del c.d “inferno”. Impartitegli, queste, da un tale Virgilio, probabilmente un Ordinario di Diritto Penale ultraterreno.
Sappiamo, infine, che egli ha avuto addirittura accesso, previa trasumanazione, al Paradiso.
Possiamo escludere che tale condotta abbia integrato gli estremi della c.d. Necromanzia, già oggetto di esplicito divieto nel Deuteronomio, per difetto di elemento soggettivo; non risulta che Dante abbia mai voluto mettersi in contatto coi morti e del resto, quand’anche fosse, la condotta verrebbe scriminata per adempimento di un dovere ex art 51 c.p. “Vuolsi così colà ove si puote…“, e la circonlocuzione indica che fu un’Autorità Superiore ad imporgli il viaggio ultraterreno.
Tra racconti di similitudini e contrappassi, Diavoli e Santi, Spirti Magni e peccatori, apprendiamo che i Signori Defunti hanno una assai curiosa capacità, ossia quella della chiaroveggenza. Lo apprendiamo, in prima battuta, da tal Manente degli Uberti detto Farinata, di Professione condottiero, e da un trisavolo dello stesso Dante il cui nome risulterebbe essere Cacciaguida degli Elisei, già Crociato.
Le affermazioni di quest’ultimo hanno importanza capitale in punto di riscontro estrinseco. Esse infatti corroborano d’attendibilità le altrimenti balzane propalazioni del Prevenuto: riferisce l’Alighieri che questo Cacciaguida gli avrebbe predetto, attraverso responso assai sibilino “tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui”, una ventura condanna in sede penale da parte dell’Autorità Giudiziaria Fiorentina.
Tale affermazione è riscontrata e corrisponde a verità.
I precedenti risultanti del Casellario
L’Alighieri, infatti, allo stato risulta gravato da almeno due precedenti penali.
Non sono chiarissimi (abbiamo solo qualche informazione de relato al riguardo) i capi d’imputazione contesti dal magistrat du parquet fiorentino, eppure, senz’altro, pendono sul Poeta n. 1 condanna all’esilio (com’è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”) e n. 1 condanna a pena capitale. Altro non è dato conoscere, se non la “balcanizzazione” (o forse sarebbe meglio dire la “toscanizzazione”) del contesto politico/giudiziario che, a ben vedere, avrebbe consentito o la ricusazione del Giudice ex art 37 c.p.p. o – a mali estremi – la rimessione del processo ex art 45 c.p.p. per legittima suspicione.
L’impugnazione straordinaria
Summa divisio: le impugnazioni o sono ordinarie o sono straordinarie; la qualifica discende dal passaggio in giudicato del provvedimento in rilievo.
Ed è a quell’impugnazione straordinaria chiamata “Revisione”, disciplinata dagli artt. 629 e ss. del codice di rito penale che il Conte Prof. Sperello Alighieri, discendente del sommo Dante, intender far ricorso. I canoni della Procedura glielo consentono, perché è sempre ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, la revisione delle sentenze di condanna (…) e tale diritto è riconosciuto dall’art. 632 c.p.p. all’erede, se il condannato è morto, a tutela dell’onorabilità (indiscussa) del… Dante causa.
Posto, dunque, che senz’altro è questo lo strumento processuale nel cui alveo va introdotta l’istanza del Discendente, occorre valutare se le ragioni che ne sono supporto rientrano nei casi per cui è concessa la revisione.
Sì, perché: a pena d’inammissibilità, la richiesta di revisione dev’essere sussunta nel numero chiuso di casi previsti: 1) conflitto teorico di giudicati; 2) revoca di sentenza civile/amministrativa decidente una pregiudiziale ex art 3 o 479 c.p.p.; 3) nuove prove sopravvenute; 4) condanna basata su prove poi scopertesi false.
Ora: da quel che ci risulta, sembra che le ragioni poste a fondamento della richiesta di revisione esulino dalle chances che il Codice concede; l’Avente causa lamenta, infatti, che il processo cui fu sottoposto Dante fu squisitamente politico, il cui fumus persecutionis esala, ancora, dalle tre cantiche di cui si compone la sua massima opera.
Però non tutto è perduto. Con Sentenza (additiva) n. 113/2011, i Giudici di Monte Cavallo hanno innestato nell’albor actionum dell’art 630 c.p.p. un quinto caso di revisione. L’ordinamento sovranazionale (cui il nostro va sempre più conformandosi) impone che vada, per l’appunto, “revisionato” il Giudicato, allorché esso costituisce il risultato di un processo successivamente qualificato “unfair” dalla CEDU.
La palla, così, passa agli archivisti e gli avvocati. Saranno i primi a trovare le carte del processo e sui secondi graverà l’onere di dimostrare l’unfairness degli atti.
Eppure c’è un’altra via per ripulire l’onta di una condanna.
Dalle biografie si evince che il Nostro fu mandato in Legazione presso Sua Santità Bonifacio VIII e in sua assenza Carlo di Valois ebbe la brillante idea di organizzare un golpe in perfetto stile cileno. Siede quindi sulla Poltrona di Potestà Cante dei Gabrielli di Gubbio, e l’allora Procuratore di Firenze decide di dare il via ad una specie di Mani Pulite medievale. Brillano sui carri le sirene della Polizia Giudiziaria fiorentina per notificare gli avvisi di garanzia alla vecchia classe dirigente e trema così la Firenze da Bere, troppo impegnata nel vivere secondo i principi dell’edonismo boccacciano. Dante Alighieri viene dunque condannato per “baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia” e, aggiungiamo noi, anche falso in bilancio, che in questi contesti ci sta sempre bene.
Sta di fatto che il Dante, all’epoca, non era a Firenze e risulta arduo ritenere che, dati i mezzi dell’epoca, esso possa aver avuto, in tempo utile, notizia legale del procedimento a suo carico. Vero è che lo stesso, una volta appresa la Condanna (al rogo), si tenne ben lontano da Firenze; ma è altrettanto vero che tale stato di latitanza è giustificato dal fatto che non risultano, nell’ordinamento processuale fiorentino del tempo, strumenti atti a impugnare la sentenza o a contestare – in executivis – l’esecutività del titolo. Ed ecco, dunque, che viene in rilievo un altro modo per ribaltare il Giudizio Infame.
Legge 23 giugno 2017 n. 103: il Legislatore italiano interpola – tra l’art. 629 e l’art. 630 c.p.p. – l’art. 629-bis c.p.p., disciplinante la “Rescissione del Giudicato”.
Il condannato… con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.
Con questo nuovo istituto, il Sig. Dante, previa evocazione dello stesso a mezzo gioco del piattino o grazie ad una medium da ricercare preferibilmente in Tessaglia (consigliamo a tal uopo la Sig.ra Eritto, professionista di acclarata esperienza), ben potrebbe conferire procura speciale al proprio difensore al fine di presentare la richiesta alla competente Corte d’Appello. C’è un piccolo problema di termini perentori da rispettare ma per un così importante interessato si può anche chiudere un occhio.
Qualora nessuna delle precedenti vie sia di fatto percorribile, non resta che affidarsi alla clemenza del Sig. Presidente della Repubblica.
La Parcella
Dubbio ultimo, venale: l’Avvocato incaricato dal Sommo Poeta verrà pagato in euro o in fiorini? Oppure, visto lo stato di difficoltà dovuto alla latitanza (rectius: esilio), Dante Alighieri sarà ammesso al Patrocinio a spese dello stato?
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In Copertina: illustrazione di Gustave Doré