Breve storia della Toga
La toga. Prima era un indumento che, come il Rolex nelle famiglie ad alto scaglione IRPEF, veniva regalato ai ragazzini della Roma più antica una volta raggiunta la maggiore età. Serviva a coprirli dalla vita, per la vita. “Tego”, cioè “copro”: del resto, il nome stesso ne indica la funzione. “Tegumento”, ciò che riveste la polpa del legume. Tegumento che – assieme ad una pettorina di battista bianca – veste gli attori del guignol giudiziario. Perché la prima cosa che uno vede, non appena entra nel teatro del processo, specie quello penale, è una scena che ricorda una processione di domenicani. All’Autodafé. O un assembramento di “corvi”, ammantati di nero come gli uccelli del malaugurio, nel modo col quale vengono indicati Magistrati e Avvocati in certi gerghi carcerari.
Un simbolo
Gli indumenti sono simboli. I simboli ostentano un significato. Il significato è comunicazione. In un mondo per certi versi ancora arcaico, dominato dalla forza, indossare una Toga significava emanciparsi dalla fisicità e proiettarsi verso qualcosa di più astratto, ben oltre i confini del menare più forte. Non è un caso, infatti, che dopo Romolo – primo re fratricida – il secondo sovrano di Roma sia stato Numa, riformatore e sacerdote. Con lui si concretizza il verso “cedant arma togae”: la coazione fisica di forza assoluta si sublima nel vincolo giuridico: del resto, “ius” condivide la stessa radice di “iubeo”, che significa “costringo, ordino”. E – per l’appunto – non è un caso che Romolo venga scolpito con addosso la lorica, mentre Numa viene sempre ritratto coperto da una toga. Perché Toga e lavoro intellettuale sono, in fondo, l’una la proiezione fisica dell’altro.
Augusto, ad esempio, alla toga ci teneva. E parecchio. Nel suo progetto di fondazione dell’Impero, l’aspetto esteriore del Romano – signore di popoli – giocava un ruolo preponderante. La toga, in questo frangente, rappresentava il segno distintivo tra chi godeva della cittadinanza e chi, invece, si limitava ad essere satellite di una gens che incardinava il suo vivere secondo i canoni del Mos Maiorum. Spirito di classe, identità, consapevolezza del proprio ruolo: tutto ruota attorno a questo panno bianco, che avvolge il corpo e senza il quale – badate bene – per editto del Princeps né si entrava nel Foro, né si poteva assistere agli spettacoli del teatro. Noblesse oblige.
Il declino
Quel che accadde un paio di secoli dopo lo conosciamo. Viene deposto Romolo Augustolo e il diritto – almeno all’alba dei regni Romano barbarici – subisce una regressione rispetto alla formidabile struttura di concetti elaborati dai giuristi di Roma. Torna l’aspetto fisico della giurisdizione: il diritto non si accerta più attraverso gli arbores actionuum ma passando per l’ordalia. Sia una prova di forza a stabilire di chi sia il diritto, Dio saprà dare aiuto a chi è nel giusto. Capirete che, in un sistema del genere, per la toga c’è poco spazio. Poi, sotto i sedimenti del tempo, qualcuno ritrova il Corpus Iuris e si riscopre il diritto di quella gens che sì, prima si faceva strada con le insegne delle legioni, ma poi obbediva a regole predeterminate, astratte e generali.
Una uniforme
Il rifiorire dell’azione concettuale rispetto a quella fisica e la seguente formazione di una classe di specialisti di “norme” impone una uniforme che ne indichi l’appartenenza. Inutile dire che, probabilmente evocata dalla pronuncia ad alta voce di formule sacramentali, rispunta dagli armadi dell’oblio proprio lei: la toga.
Non è certamente quella dei rilievi dell’Ara Pacis, ma è il senso che conta: è cioè che se ti occupi di diritto, ossia di regole atte a prevenire e/o comporre una controversia, allora tu in quel momento non sei solo un “operatore del diritto”, ma un “giurista”. Cioè un sacerdote che recepisce un fatto e produce “Regole”. E si sa: i sacerdoti non stanno certo in borghese, quando officiano messa. L’abito del sacerdote si trasla nell’abito del giurista: la talare del sacerdote cattolico romano ha trentatré bottoni come gli anni di Cristo, allo stesso modo di quanti ne ha la toga dell’avvocato o magistrato francese. Tutt’oggi.
Funzionari, magistrati, docenti: è nell’ancient regime che la Toga, intesa stavolta come funzione, rende aristocrate chi la porta: dalla nobiltà di Spada a quella, per l’appunto, di… Toga. L’Elite dello Stato, dunque, comincia a somigliare alle statue della Giustizia: la spada in una mano, la bilancia dall’altro. Come a dire: armatura e toga, ordine costituente e amministrazione dell’ordine costituito. In due parole: gestione del potere.
Ed è come le correnti del Mare, il potere, che cambia padrone a seconda delle Rivoluzioni e delle Restaurazioni. Muta la mano che impugna la spada del Costituente ma fermo rimane l’appannaggio visivo del Costituito: sia esso un tribunale del Popolo o una Corte di nomina sovrana, la Toga continua a coprire le spalle di chi entra nell’agone giudiziario.
In Italia: le leggi in vigore
E in Italia? Fondata la Nazione, occorreva uniformare diritti e simboli del Diritto. Non perde tempo, questa nuova Italia, a disciplinare quasi subito il vestiario giudiziario. Che tanta importanza deve avere, visto che è un Regio Decreto del 1865 (n. 2641 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 dicembre dello stesso anno), tutt’ora in vigore, con cui lo Stato si fa Sarto e Stilista, a regolare puntigliosamente la materia.
Capo V, “Delle divise della Magistratura, Avvocati e Procuratori”, e dall’art. 156 in poi prescrive divise d’udienza e divise per “presentarsi individualmente in forma ufficiale e solenne”. Ad esempio, il magistrato, in udienza pubblica, veste un apparato che si compone di zimarre, cinture di seta, tocchi con numero di galloni variabili a seconda di gradi e funzioni, nappine d’oro, cordini e collari di battista. Non c’è spazio di discrezione per il gusto del sarto: l’art. 161 prescrive persino com’è il soppanno della manica della toga del Ministero Pubblico. Non solo, ma il Legislatore-Stilista si spinge anche a indicare persino il tessuto (!) con cui confezionate la toga: di velluto rosso per i primi presidenti di Cassazione (ed equiparati), ma di panno – seppur dello stesso colore – per i Consiglieri (ed equiparati). Se risulta complesso l’armamentario dell’udienza, ancor più di scena è l’abbigliamento del Magistrato quando si presenta in forma individuale e solenne per cerimonie esterne al Tribunale, indossando una particolare marsina.
Questo quanto prevede il testo dell’art. 166:
“L’abito è a taglio dritto e ad una fila di nove bottoni, con falde distese, finte orizzontali alle tasche con tre bottoni posti orizzontalmente sotto le finte e fiorone in ricamo in mezzo a queste.
L’abito di tutti i membri giudicanti (…) è di velluto con rovescio di raso alle falde; per tutti gli altri funzionari è di panno, con collaretto, paramani e finte di tasche di velluto, e rovescio alle falde, di seta per tutti i funzionari delle corti d’appello, e di panno per quelli dei tribunali e delle preture.
I pantaloni sono di panno con gallone lungo la cucitura esteriore. Il gallone è in oro per il primo presidente e procuratore generale di cassazione, tessuto in argento con striscia d’oro per i primi presidenti e procuratori generali (…); d’argento per i presidenti di sezione e avvocati generali delle corti d’appello; di seta con striscia d’oro nel mezzo per i consiglieri e sostituti procuratori generali di cassazione; e di seta nera per tutti gli altri (…).
Il corpetto ha una fila di bottoncini, ed è di raso per tutti i membri giudicanti e del ministero pubblico delle corti; di panno per tutti gli altri funzionari delle corti, dei tribunali e delle preture.
I bottoni dell’abito e del corpetto sono di metallo dorato, convessi e colle insegne dell’autorità giudiziaria sormontate dalla corona reale, il tutto in rilievo e velato su fondo brunito”.
Ma c’è di più, perché stavolta la divisa aggiunge un tocco di marzialità: l’art. 166 prevede una spada, con impugnatura in madreperla, per la “uniforme civile” della magistratura.
Insomma: l’abito dell’operatore del diritto era un ibrido a metà strada tra la figura del Giurista e quella dell’Ufficiale di Cavalleria.
Anche il Ventennio decide di riformare in parte la materia riguardo alla toga degli avvocati e con un Regio Decreto del 26 agosto 1926 – tutt’ora vigente – dispone all’art. 104:
- Per gli avvocati la toga è aperta, con larga mostratura in seta,
- colletto largo venti centimetri ed orlato da fascia di velluto dell’altezza di tre centimetri,
- maniche orlate da fascia di velluto dell’altezza di dieci centimetri,
- cordoni e fiocchi d’argento misto e seta nera, o d’oro misto a seta nera, (nelle proporzioni di due terzi ed un terzo);
- cravatta di battista bianca con merlettino e
- tocco in seta, fregiato da una fascia di velluto.
Questa la normativa ad oggi vigente e che prevede che “Gli avvocati ed i procuratori debbono indossare le divise nelle udienze dei tribunali e delle corti, (…). Si procede in via disciplinare contro coloro che contravvengono alla presente disposizione“.
Ma, si sa, il Diritto vive di consuetudini, prassi e, a volte, anche… superstizioni. Perché un avvocato anziano, una volta che dimenticai la mia, di toga, così mi sussurrò prestandoli la sua: “mettitela sempre, che ti protegge dalle imprecazioni della vittima se difendi l’imputato, da quelle dell’imputato se difendi la vittima”.
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