Viaggio tra diritto e opera lirica: per un nuovo “umanesimo giuridico”
Può il giurista contemporaneo fare a meno di interrogarsi sulle interazioni tra diritto e le altre discipline umanistiche? La risposta non può che essere positiva: può farlo e quasi sempre lo fa, ma il prezzo da pagare non è indifferente.
Al “solido” giurista pratico, assorto nello studio dei propri fascicoli e senza troppi grilli per la testa, l’idea di dedicare qualche minuto di tempo all’esame dei rapporti intercorrenti tra il diritto e l’opera lirica (o qualsiasi altra forma d’arte) potrebbe suonare davvero strana, strappare un sorriso e apparire inutile o, al più, sembrare un’operazione intellettuale fine a se stessa.
Oggi d’altronde lo studio della giurisprudenza viene sempre più identificato con il mero insegnamento di una serie affastellata di leggi, più o meno coordinate tra esse, o al massimo con l’analisi delle più recenti sentenze emanate dalle supreme magistrature nazionali e comunitarie. Da questa avvilente semplificazione non va esente neppure una parte degli addetti ai lavori, tra cui spicca una classe forense a cui oggi si chiede di servire sempre più da burocrati e sempre meno da giuristi. Nelle stesse università è in corso poi una progressiva “ipertecnicizzazione” dello studio di materie che, tradizionalmente, erano considerate a cavallo tra il tecnico e l’umanistico. Questo processo, benché rientri in un più ampio ripensamento degli approcci didattici reso necessario da una società sempre più complessa, rischia di ridurre lo studio del diritto all’esame dell’ultima legge approvata dal Parlamento o dell’ultima direttiva europea, perdendo di vista che il diritto è, innanzi tutto, cultura.
Il processo di “ipertecnicizzazione” rischia di ridurre lo studio del diritto all’esame dell’ultima legge approvata dal Parlamento, perdendo di vista che il diritto è, innanzi tutto, cultura
Esso infatti è, nella sua sostanza, un atto sociale, ovvero il prodotto delle convinzioni, delle credenze e dei comportamenti dei membri di una specifica comunità. Approcciarsi allo studio di un ordinamento giuridico significa quindi indirettamente approcciarsi allo studio degli uomini che lo hanno posto: le caratteristiche prescrittive che manifesta celano infatti le esigenze, le priorità e le paure più intime di essi.
Perdendo di vista l’aspetto culturale del diritto si rischia inoltre di dimenticare che esso, finanche nei suoi risvolti più tecnici, non è mai fine a sé stesso (come un’asettica scienza pura) ma è sempre orientato al raggiungimento di un obiettivo “ultroneo”, ovvero quella Giustizia il cui concetto varia in ragione del tempo e del luogo, ma a cui ogni comunità tende (o almeno sostiene di tendere).
È quindi ben possibile studiare i rapporti tra il diritto e le altre discipline umanistiche poiché esso ne fa parte a tutti gli effetti. A riprova di questo se non è così comune trovare musicisti, letterati, storici e umanisti che si interroghino sulla ratio o sulla giustificazione di un particolare istituto o di una specifica norma è invece fisiologico e naturale che essi si rapportino con quei concetti “metagiuridici” che sottendono il diritto e a cui lo stesso tende.
Mozart, Verdi, Wagner: nell’opera lirica il tema della giustizia, della risoluzione (più o meno violenta) dei conflitti tra gli uomini, ricorre costantemente insieme ad altre rappresentazioni del diritto.
L’opera lirica ne è un esempio: in essa il tema della giustizia, della risoluzione (più o meno violenta) dei conflitti tra gli uomini, ricorre costantemente insieme ad altre rappresentazioni del diritto, sempre in rapporto alle influenze culturali dell’epoca in cui ha visto la luce.
Vorrei proporre alcuni esempi assai noti ed esemplificativi di quanto il diritto ricopra un ruolo fondamentale anche nelle più famose opere liriche, partendo con Mozart.
Mozart e la critica al sistema di ius commune d’ Ancien Régime
Ne Le nozze di Figaro, dramma giocoso composto da Wolfgang Amadeus Mozart tra il 1785 ed il 1786 sul libretto di Lorenzo Da Ponte, innumerevoli sono i riferimenti giuridici; in esso si intravede chiaramente la critica ad un sistema giuridico di ius commune la cui inadeguatezza era ormai evidente alle soglie del XIX secolo. Questa polemica, portata avanti con non poca ironia, emerge in tutta la sua forza nell’aria del primo atto (scena III) di don Bartolo che promette ad un altro personaggio, Marcellina, di far tutto il possibile per impedire le nozze tra Figaro e Susanna approfittando di ogni cavillo legale esistente:
Se tutto il codice
Dovessi volgere,
Se tutto l’indice
Dovessi leggere,
Con un equivoco,
Con un sinonimo
Qualche garbuglio
Si troverà.
L’efficacia della critica contenuta nei versi di Da Ponte (accompagnati da una musica che asseconda l’incedere vertiginoso del testo) contro la giurisprudenza pratica del secolo passato è evidente. L’incertezza, la confusione e la retorica fine a sé stessa dell’erudizione legale ancora secentesca viene infatti descritta con un’impietosa ed eloquente sintesi che avrebbe fatto invidia alla maggior parte degli scritti dei coevi giuristi illuministi.

Ma l’opera non esaurisce nel primo atto la propria forza: la polemica antinobiliare (che già caratterizzava la pièce di Beaumarchais La Folle journée, ou le Mariage de Figaro, da cui Da Ponte trasse spunto per scrivere il suo libretto) si concretizza in una forte critica contro la giustizia feudale. Nel terzo atto dell’opera troviamo in effetti un “breve affresco” di un giudizio feudale quando il conte di Almaviva si trova a dover dirimere una controversia insorta tra due suoi servitori, Figaro e Marcellina, con la seconda che pretende venga data esecuzione ad un contratto di promessa di matrimonio prestata dal primo a fronte di un prestito di denaro.
Ne Le Nozze di Figaro il Conte di Almaviva si trova a dirimere una controversia tra due suoi servitori, con Marcellina che pretende venga data esecuzione ad un contratto di promessa di matrimonio prestata da Figaro a fronte di un prestito di denaro.
Con ironia e comicità emerge in pieno l’arbitrium del conte/giudice, che viene prima convinto a favorire Figaro grazie all’intercessione della serva Susanna (per la quale – usando un eufemismo – il conte ha un debole) e che successivamente, dopo essersi reso conto del raggiro subito, cambierà idea preannunciando al pubblico un giudizio infausto per il primo. Ecco che al “Taci, Senza avvocato / Hai già vinta la causa” che Susanna imprudentemente rivolge a Figaro causando le ire del conte, quest’ultimo risponderà dicendo “Perfidi! Io voglio / Di tal modo punirvi… A piacer mio / La sentenza sarà…”. Solo la rinuncia da parte di uno dei contendenti alla lite, ovvero Marcellina, causata da una serie di fortunate vicende impedirà al conte, feudatario dotato di mero et mixto imperio di dar effettivamente corso ai suoi propositi vendicativi per il tramite del giudizio. Certo si tratta di una visione della giustizia feudale stereotipata, ma comunque utile per capire quali fossero i “luoghi comuni” che su di essa si aveva nella società tardo settecentesca.
Non a caso quindi il grande musicologo austriaco Bernhard Paumgartner individuò come elementi fondamentali di questo capolavoro mozartiano l’amore ed il diritto, declinato come feroce satira di un sistema giuridico radicalizzato nei suoi aspetti grotteschi e paradossali.
Leggi altro da Erudizioni Legali
Padri/figli e Chiesa/Stato in Giuseppe Verdi
Se si guarda al più famoso compositore del Bel Paese, Giuseppe Verdi, ci si rende conto che anche nelle opere del maestro parmigiano non mancano riflessioni e critiche su istituti giuridici (ma anche sociali) coevi.
Basti innanzi tutto pensare al tema della paternità, sviscerato in diversi titoli in ogni sua forma (padre-figli e padre-figlie) proponendo un intreccio di sentimenti che necessariamente finisce con l’interessare anche problemi sociali e che talvolta sottende una malcelata critica al rigido equilibrio famigliare e generazionale tipico della società borghese ottocentesca.

Tuttavia, nelle opere di Verdi non si riscontrano solamente “echi” di diritto familiare e privato, ma in alcune di esse sono presenti chiari riferimenti su delicate questioni contemporanee di diritto pubblico, come il turbolento rapporto tra Stato e Chiesa nei primi anni successivi all’Unità.
Nelle opere di Verdi sono presenti chiari riferimenti su delicate questioni contemporanee di diritto pubblico, come il turbolento rapporto tra Stato e Chiesa
Il caso più evidente è il Don Carlo, monumentale opera rappresentata per la prima volta in Italia nel 1867 a Bologna. La frase “Dunque il trono piegar / dovrà sempre all’altar” pronunciata da Filippo II di Spagna al termine di un musicalmente drammatico dialogo con il Grande Inquisitore suona infatti come un’accusa senza appello alla Chiesa Cattolica, in un momento storico in cui la “questione romana” stava per assumere una piega irreversibile con l’abbattimento dello Stato Pontificio ed il definitivo spostamento della capitale del Regno d’Italia a Roma.
Leggi anche
- “Dove pose sentenze a mieter polli”: amicizie in comune tra lirica e opera
- “Fidiltà e segrettezza”: le regole di un’associazione a delinquere
- “Interista soprattutto”: Jacopo Pensa ricorda Peppino Prisco a 100 anni dalla nascita
- “L’insufficienza assoluta di preparazione elementare” – Il concorso di magistratura del 1908
- “La dreyfuseide si acuisce”: l’Affaire Dreyfus visto dagli scettici giuristi italiani
Momenti di giudizio nella produzione musicale wagneriana
Come ultimo case study dell’utilizzo nell’opera di concetti giuridici possiamo prendere la produzione di Wagner. Sono ad esempio molteplici le opere del compositore tedesco al centro delle quali è inserito un processo, più o meno formale, che rappresenta la vera chiave di volta dell’intero libretto. In essi si attua una sintesi di posizioni contrapposte e, come spesso capita anche nella quotidiana realtà dei nostri tribunali, non sempre la vittoria processuale costituisce il preludio di un effettivo lieto fine del dramma.
Nel Lohengrin Wagner rappresenta per la prima volta nella sua produzione musicale un “processo” nella forma di un giudizio ordalico, che vede affrontarsi Lohengrin, l’anonimo cavaliere mandato dal Graal per difendere l’onore di Elsa di Brabante e Federico di Telramondo, che, convinto dalle arti magiche della sua consorte Ortrude (una strega pagana), accusava invece Elsa di aver ucciso il proprio fratello, legittimo erede al trono di Brabante.

La scena è oltremodo solenne (come la musica magistralmente sottolinea); dinnanzi al re Enrico I di Sassonia si celebra un “giudizio di Dio” (Gottesgeritcht) che, a ben vedere, non avrebbe neppure ragione di iniziare: l’arrivo “miracoloso” di Lohengrin su una barca trainata da un cigno a difesa delle ragioni di Elsa (e contro la falsa accusa di fratricidio avanzata da Federico) è un inequivocabile segno divino che indica l’innocenza di quest’ultima, come tutto il popolo non manca di ricordare allo “sfidante” Federico. Quest’ultimo tuttavia non ha alcuna intenzione di ritirare l’accusa che ha mosso nei confronti di Elsa; egli infatti è in perfetta buona fede (ecco la principale particolarità di questa ordalìa) e per tale ragione non ritiene di sfidare Dio affrontando il suo stesso emissario e afferma anzi di non aver «mai pensato di mentire» e di credere quindi di poter ottenere vittoria nell’agone «secondo giustizia».
Per descrivere questo giudizio, in cui a scontrarsi non sono solo due parti, ma due culture, cristianesimo e paganesimo, due differenti tradizioni, la verità assoluta (di Elsa e Lohengrin) e la verità relativa (di Federico, indotto incolpevolmente in errore dagli inganni di Ortrude), Wagner riprende tutti i simboli e le formule sacre delle antiche consuetudini giuridiche germaniche, rendendo così ancora più drammatica ed efficace la scena.
Nell’Lohengrin di Wagner si scontrano non soltanto due parti, ma due culture, cristianesimo e paganesimo, due differenti tradizioni, la verità assoluta e la verità relativa
Anche in altri capolavori successivi si possono riscontrare diverse scene di giudizi, utilizzati da Wagner per manifestare delle contrapposizioni: amor sacro versus amor profano come ad esempio nel Tannhäuser, in cui l’omonimo protagonista viene condannato a morte per aver dimorato nella montagna di Venere; o arte “vecchia” versus arte “nuova” come avviene nei Maestri cantori di Norimberga durante la prima gara canora.
Come si vede si tratta di “momenti” poco giuridici in senso stretto, ma che rappresentano nella poetica wagneriana una vera e propria “resa dei conti” tra diversi modi di concepire il mondo, la vita e l’arte, momenti di scontro, di condanna ma anche talvolta di benevolenza, comunque imprescindibili per comprendere il pensiero del compositore tedesco.
Arrivando a concludere, e tornando alla questione sollevata nelle prime righe, può il giurista contemporaneo fare a meno di interrogarsi sulle interazioni tra diritto e humanities?
La risposta non può che essere positiva: può farlo e quasi sempre lo fa, ma il prezzo da pagare non è indifferente. Si rischia infatti di dimenticare l’aspetto “umano” e culturale che informa e dà senso al diritto e si finisce per non considerare l’immagine che la comunità ha del proprio ordinamento (che emerge con chiarezza dalle creazioni artistiche), riducendo la scientia iuris ad una mera tecnica.
© Riproduzione Riservata
Bibliografia
Per chi volesse approfondire gli argomenti presentati in questo contributo si consigliano i seguenti testi:
- La sentenza è pronunziata. Rappresentazioni della giustizia nell’opera lirica, a cura di Valerio Gigliotti, Mario Riberi, Matteo Traverso, Milano 2020;
- Law and Opera, a cura di Filippo Annunziata, Giorgio Fabio Colombo, 2018;
- Il processo in musica nel Lohengrin di Richard Wagner, Alberto Tedoldi, Pisa 2017.
