Anche se de-fascistizzato, ancora oggi è in vigore il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza emanato il 18 giugno 1931. Un corpus dall’obiettivo di reprimere qualsiasi atto potenzialmente contrario al regime e che istituì misure come il confino.
È noto che durante i primissimi anni dall’insediamento del Governo Mussolini lo scopo prioritario fosse quello di consolidare e conservare il potere, eliminando, laddove possibile, ogni forma di opposizione al regime. E infatti il fascismo si servì per tutto il ventennio di spie, delatori, della polizia divenuta nel frattempo politica.
È altrettanto nota la scelta di istituire il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con competenza esclusiva dei c.d. “reati politici”, ossia quelli commessi da antifascisti (per lo più riorganizzazione dei partiti non fascisti nel frattempo sciolti per legge).
Tuttavia, pur essendo un tribunale del tutto politicizzato e presieduto da personalità senza alcuna preparazione giuridica (erano scelti per lo più tra le fila dei militari della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), questi avevano comunque i limiti di operatività; solamente in caso di commissione di reati si poteva intervenire, sebbene in realtà fosse assai facile esser accusati di quei reati introdotti con le leggi fascistissime.
Secondo il regime serviva uno strumento di repressione più di ampia portata e con una procedura più “veloce” in grado di intervenire fuori dalla legge penale contro chi era sospettato di esser un pericolo per la società. Tra questi, ovviamente, vi erano gli antifascisti.
Ecco quindi che nel 1926 vengono approvate le leggi di pubblica sicurezza, poi confluite nel Regio Decreto n. 771 del 18 giugno 1931 che prese il nome di Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), oggi ancora in vigore dopo esser stato (parzialmente, dice qualcuno) de-fascistizzato.
Leggendo gli articoli del Testo, si evince facilmente quale sia la sua natura normativa: reprimere qualsiasi atto potenzialmente contrario al regime o che possa costituire astrattamente un modo di riorganizzazione degli oppositori.
Non ci sono solamente gli antifascisti, come a breve vedremo. Il TULPS punisce tutti coloro la cui presenza del Regno è mal tollerata, come ad esempio i mendicanti (art 154) e persino i “diffamati”, ossia chi è designato dalla voce pubblica come abitualmente colpevole di taluni reati. Tutti soggetti che rientravano nella categoria delle “persone pericolose per la società”, come indicato nel Titolo II del Testo.
Queste potevano esser dapprima colpite dalla sanzione della “ammonizione” prevista dall’art. 164 ed emanata da una Commissione provinciale costituita dal Prefetto, dal Procuratore del Re, da un giudice designato dal presidente del Tribunale, dal Questore, dal comandante l’Arma dei Carabinieri e da un cittadino “di specchiata probità nominato dal Sindaco del Comune capoluogo di provincia”.
Le garanzie difensive erano di fatto azzerate. L’ammonito, che doveva esser convocato da Questore affinchè venisse sottoposto ad interrogatorio, aveva solamente la possibilità in quella sede di presentare prove a sua difesa. La decisione della Commissione non era impugnabile nel merito (era possibile appellare solo l’eventuale incompetenza o violazione di legge). Se poi l’ammonito trasgrediva le prescrizioni impostagli, sarebbe stato condannato dal Tribunale all’arresto fino ad un anno.
Ma l’istituto più noto è il confino di polizia, previsto dall’art. 180.
Innanzitutto, i soggetti interessati erano i già ammoniti e le persone diffamate, ma soprattutto coloro che, come indicato nel Testo, svolgono o abbiano manifestato il proposito di svolgere un’attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o ad ostacolare l’azione dei poteri dello Stato.
Ovviamente la valutazione di pericolosità era del tutto arbitraria e rimessa alle valutazioni dell’Autorità. Bastava infatti una semplice segnalazione anonima per rischiare concretamente il confino.
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Vediamo nel dettaglio in cosa consisteva questa misura di prevenzione.
Questa, che aveva la durata da uno a cinque anni, prevedeva che il soggetto interessato venisse confinato in una località il più possibile lontana dalle sue attività, così da interrompere i rapporti con altri “cospiratori”. Il luogo in cui veniva ristretto era quasi sempre una località difficilmente raggiungibile quali ad esempio le isole di Ustica o Ponza, ma anche paesi nell’entroterra isolati dall’assenza di vie di comunicazione. Lo testimonia Carlo Levi, confinato nel paese di Aliano, dove le linee ferroviarie non arrivavano (da qui il nome della sua famosissima opera “Cristo si è fermato ad Eboli” in riferimento al confine ultimo della società proprio nella vicina città di Eboli).
Al confinato era impartito l’obbligo di prestare attività lavorativa, così come poteva essergli imposto il divieto di non allontanarsi dall’abitazione, nonché varie limitazioni orarie, di non frequentare luoghi pubblici, e molto altro.
Il confino di polizia era, a differenza dell’ammonizione, impugnabile nel merito, anche se questa “garanzia” era solo sulla carta. Ed infatti l’organo chiamato a rispondere dell’impugnazione era una diversa Commissione, definita d’appello dall’art. 184 e composta a sua volta da altre cariche direttamente o indirettamente di provenienza politica (Sottosegretario di Stato per l’Interno che ricoprirà anche la carica di presidente, dal capo della polizia, dall’avvocato generale presso una Corte d’appello, da un presidente di Corte d’appello o consigliere di Cassazione designati dal Ministro di Grazia e Giustizia, da un ufficiale generale dell’Arma dei carabinieri e da un cittadino di specchiata probità, inscritto nelle liste dei giudici popolari e nominato dal Guardasigilli).
Complessivamente furono 12.330 i confinati, di cui 177 moriranno durante il periodo di isolamento.