Il “Giorno della Memoria” è stato istituito con la legge 211 del 20 luglio 2000.
La legge era stata proposta su iniziativa dell’allora deputato DS, lo scrittore e giornalista Furio Colombo (gli altri proponenti erano Palmizio di Forza Italia e Gnaga della Lega Nord).
Fu approvata in pochi mesi pressoché all’unanimità dai due rami del Parlamento. Alla Camera ebbe un solo voto contrario, al Senato fu approvato dalla Commissione in sede deliberante.
Alla Camera fu discussa il 27 e il 28 marzo 2000. Vi riportiamo qui alcuni passaggi del toccante intervento di Colombo.
FURIO COLOMBO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, non mi propongo certamente di persuadere qualcuno di voi con le cose che sto per dire e con le cose che ho scritto, insieme con i cofirmatari della proposta di legge volta all’istituzione del giorno della memoria. Non ci proponiamo di persuadervi a vedere qualcosa che non vedete o a sentire qualcosa che non sentite: sappiamo che vedete ciò che noi proponenti di questa legge vediamo, sappiamo che vedete con gli stessi occhi uno sguardo di pietà, di dolore, di consapevolezza, di orgoglio per quella parte della nostra storia che si è svolta al di sopra dell’orrore e contro l’orrore, quando tutto sembrava che congiurasse affinché l’orrore e la negazione dell’umanità fossero l’unica legge.
Ma noi pensiamo che questo possa essere un messaggio, indipendente dal rilievo delle nostre persone e perfino dai nostri nomi, un messaggio di questa Camera, di questo Parlamento ai cittadini italiani e specialmente a quelli più giovani, ai quali tanti di noi – soprattutto i meno giovani tra noi – sono preoccupati di lasciare punti di riferimento, di riflessione, di umanità da trapassare da un’esperienza all’altra e da una vita all’altra.
Vedete, quello di cui stiamo parlando è un fatto per tanti versi eccezionale ed è stato già drammaticamente rappresentato dalla scienza, dalla letteratura, dalla sociologia e dalla storia come un evento mostruosamente unico. Ma noi europei, noi italiani, non possiamo non ricordare l’aspetto singolare e sinistro della catena di eventi che ha portato alle leggi razziali e, da parte di alcuni, forse di troppi, ad implementare, sostenere, praticare ed eseguire quelle stesse leggi.
Presidente, colleghi, la stranezza sinistra della vicenda a cui oggi pensiamo e su cui riflettiamo insieme, nel progetto che anche altri in Italia – speriamo tanti – trovino il giorno ed il momento per ripensarlo insieme, è un delitto culturale, vale a dire un delitto che la cultura ha compiuto contro se stessa: la cultura di scienziati o sedicenti tali, la cultura di accademici o di persone che comunque rappresentavano l’Italia ed avevano i microfoni aperti, avevano scolaresche e studenti, nonché occasioni e autorità per parlare pubblicamente al fine di accreditare l’idea che esistesse una razza pura, superiore e perfetta e che vi fosse sangue infetto dal quale bisognava liberare la vita, la cultura e la razza italiane.
Onorevoli colleghi, sappiamo benissimo che alcune vicende, già atroci, benché ancora senza sangue, hanno segnato la nostra vita e, nel mio caso, la memoria di un bambino. Ricordo l’ispettore della razza che arrivava nelle classi per misurare i volti, i crani ed i profili dei bambini. L’ispettore della razza è esistito nel nostro paese, per quanto, mentre sto dicendo queste cose, seguendo l’incubo di un ricordo, mi confronto con un paese libero e moderno. L’ispettore della razza è esistito ed ha riguardato un evento della vita italiana: è un fatto che è accaduto nel nostro paese. Come possiamo, quindi, rifiutare un momento per pensare le cose indicibili ed impensabili che possono accadere in un nobile paese qualora non vi siano la libertà e la dignità di tante persone che potrebbero opporsi e non lo fanno?
Non c’è bisogno di aderire totalmente alla tesi dello storiografo americano Goldhagen, immaginando che tutti siano o debbano essere complici. Tanti lo sono stati. Ci vogliono dettagli, burocrazia, attenzione ed un odioso e orrendo scrupolo perché queste cose possano accadere; ci vuole un mare di silenzio, di acquiescenza, di opportunismo e persino il tornaconto di coloro che si sono impossessati delle cattedre dei docenti ebrei che venivano eliminati dalle scuole, delle loro proprietà e della titolarità di uffici e di funzioni a cui forse non avrebbero mai avuto accesso sulla base dei loro meriti o della loro situazione in quel momento. Per non parlare di coloro che senza avere né interesse né sentimenti particolari su una questione così importante, vi hanno dedicato articoli, prese di posizione, annunci, firme, dichiarazioni per poter dire che c’erano e per poter dimostrare con il loro opportunismo di essersi accreditati un titolo, un titolo per la loro carriera, mentre una parte dei cittadini italiani, compresi tanti che avevano servito la patria fino a meritare le onorificenze più alte, veniva denigrata, emarginata, espulsa, arrestata, deportata, condotta alla morte.
Vedete, ne parliamo e noi che abbiamo formulato questa proposta di legge per l’istituzione del «giorno della Memoria» chiediamo che ci si renda conto che tutto ciò di cui stiamo parlando non è un remoto passato finito una volta per tutte, su cui tristemente si può sostare un istante dicendo: Dio mio, che tempi terribili!
Da un lato, se vogliamo restare vicini al nostro lavoro e a questa Camera, non possiamo non ricordare il lavoro minuzioso, paziente, scrupoloso che sta svolgendo, per esempio, in questi mesi la cosiddetta commissione Anselmi. Vorrei avere un documento tra quelli che tale commissione (il cui compito è rintracciare i beni e ritrovare i proprietari, «incrociare» vite, persone, memorie, sopravvissuti e cose che nel frattempo sono state accantonate da cieche burocrazie in sotterranei di ministeri in cui a volte giacciono tuttora) sta acquisendo ed esaminando nel tentativo di trovare e di ricostruire l’elenco delle proprietà sequestrate. Si apre con uno spazzolino da denti per bambino e con un paio di pantofole usate! È ad una siffatta burocrazia che bisogna ripensare, al fatto che sono state compiute cose di questo genere. Sono state fatte da impiegati, volute da intellettuali e decise da politici.
In quest’aula, in questa stessa aula in cui stiamo parlando, anche dal banco da dove sto parlando io in questo momento, qualcuno si è levato in piedi gridando, inneggiando alle leggi razziali e alla loro difesa. 351 su 351 hanno detto «sì» con furore, passione e con un grande applauso! In quest’aula!
Ed allora è importante che da quest’aula partano e si dirigano verso il paese queste parole, indipendentemente da chi le pronuncia, indipendentemente da ciò che noi, in una situazione esemplarmente trasversale rispetto ai gruppi e ai partiti che rappresentiamo, abbiamo voluto fare presentando questa proposta di legge. È importante che questa legge giunga come un messaggio al paese e ai suoi giovani per dire che la cultura di ciò che è accaduto non è svanita. Noi siamo qui, il paese è qui e il paese vuole sapere, vuole capire, vuole narrare, vuole ricostruire, vuole ricordare perché tutto ciò è italiano e riguarda l’Italia!
Colleghi, come non pensare in questo quadro, in questo contesto, in quel senso di angoscia e di dolore che si prova parlando di queste cose, a quella immagine del Papa, di Giovanni Paolo II che introduce tra le pietre del muro del Tempio la piccola lettera con cui chiede perdono! Gesto straordinario, indimenticabile, gesto destinato a segnare la storia di quella Chiesa e di questo paese, ovvero della Chiesa e del paese che in qualche modo si appartengono e che hanno trovato in questo pontefice una voce che ha messo insieme il dolore, la storia, la consapevolezza, la verità.
Anche quel gesto ricorderemo, quando ci ritroveremo nel «giorno della Memoria» per riflettere su ciò che è accaduto.
È stato detto di Giovanni Paolo II, in viaggio in questi giorni in Israele, che è un giusto. Voi sapete che nel linguaggio, nella vita, nella cultura israeliana un giusto è colui che ha rischiato e tanti hanno dato la vita – penso agli italiani – per salvare almeno un cittadino italiano ebreo che avrebbe, altrimenti, rischiato la morte.
È stato detto con una frase terribile e veritiera: «Per ogni ebreo italiano scomparso nei campi di sterminio c’è un delatore». Per ogni ebreo italiano, per ogni famiglia, per ogni bambino che si sono salvati e che sono tornati, c’è un eroe, c’è qualcuno o molti che hanno fatto di tutto, o tanto, perché quel delirio e quella follia non si realizzassero.
Il «giorno della Memoria» ha anche questo scopo – e forse è il suo scopo più grande –, ricordare i giusti. I giusti non si dividono in destra e in sinistra; i giusti non si sono riconosciuti a seconda delle ideologie e, persino, delle divise che indossavano in quel momento. È stato uno scatto di umanità e di dignità che è stato il più grande legame trasversale che ha unito uomini, donne e bambini nel momento in cui ogni legame umano veniva negato.
Ho qui un libro che probabilmente è considerato il maggiore testo di ricostruzione storica di quanto è avvenuto nell’olocausto italiano: The Italians and the Holocaust, opera di una studiosa americana, Susan Zuccotti, della Colombia University, un testo al quale mi onoro di avere scritto la prefazione che ricostruisce in dettaglio ciò che è accaduto in Italia dal 1938 al 1945. Se scorrete l’elenco dei nomi in questo libro, trovate almeno 500 nomi niente affatto distinguibili per fede politica e, persino, per ruolo, che sono tra coloro che hanno difeso, che hanno lottato, che hanno impedito, che hanno salvato. È questo patrimonio di umanità che deve essere messo al centro della giornata del ricordo. Essi hanno testimoniato l’umanità e la dignità di tutti gli esseri umani, mentre l’Europa toccava il fondo.
Noi, da italiani, possiamo orgogliosamente ricordare il nome di Giorgio Perlasca e quanto egli è riuscito a fare da solo in un paese straniero, l’Ungheria, dove viveva bene e avrebbe potuto ignorare tutto e dove è diventato, insieme con il giovane Wallemberg, uno dei due soli appassionati e irriducibili difensori degli ebrei, che entrambi sono riusciti a salvare a migliaia; gli ebrei di quel paese che, come si sa, sono stati deportati all’ultimo momento e per i quali la macchina burocratica nazista non aveva intenzione di cedere, neppure quando la guerra era perduta. Vale la pena di ricordare quella tragica frase che Hitler avrebbe pronunciato nel suo bunker poco prima della fine: «Almeno una delle guerre» – e pensava alla guerra contro gli ebrei, alla folle, farneticante guerra contro il popolo ebraico – «è stata vinta».
Uomini come Perlasca e come il questore di Fiume, Giovanni Palatucci, che a 36 anni è morto a Dachau, dopo aver lavorato per anni da questore, restando al suo posto persino all’inizio della Repubblica di Salò per non mostrare che avrebbe abbandonato coloro che fino a quel momento aveva protetto e salvato; uomini come Perlasca e come Palatucci devono essere il punto di riferimento e di ricordo per pensare che, se c’è stato un mare di burocrazia, di silenzio, di opportunismo, di viltà, di carrierismo, di occasioni per approfittare di una legge folle, di un comportamento vile, di un crollo di moralità nelle istituzioni, di un ripiego di questo paese verso una ferita che avrebbe potuto sfregiarlo per sempre, altri italiani, indipendentemente da ciò in cui credevano, dalla divisa che vestivano in quel momento e dalla funzione pubblica che svolgevano, si sono battuti (ne ho citati due, ma nel libro americano di cui dicevo ne troverete quasi mille) affinché quel che stava per accadere non accadesse, affinché l’ingiuria contro l’umanità e l’ingiustizia di italiani contro altri italiani, di europei contro altri europei, in nome di una folle definizione di ciò che è razza, di ciò che è puro, perfetto ed assoluto non potesse trionfare né imporsi.
Se dovessimo allargare lo sguardo all’Europa troveremmo, insieme ai doppiogiochisti, agli opportunisti che, al momento giusto, sono riusciti persino a passare alla Resistenza nelle ultime settimane (basterebbe pensare a certi episodi tristi ed ambigui della storia francese), personaggi come Dimitrav Pèshev, il Vicepresidente della Camera, fascista, della Bulgaria occupata e nazificata – il quale da solo e poi con il sostegno dei deputati di un paese ormai completamente parte dell’orbita nazista – si è ribellato fino al punto di ottenere dal re del suo paese la cancellazione di una firma già apposta, evitando la deportazione anche di un solo ebreo bulgaro. Che dimostrazione spaventosa del fatto che si poteva fare, che il presunto obbligo di dire di sì a qualunque costo a qualcosa di così spaventosamente disumano era un obbligo inevitabile!
Questo però non è che un piccolo elenco, un minimo sommario di ciò che pensiamo noi, i nostri concittadini, gli italiani, coloro che ci hanno eletto, coloro che rappresentiamo dalle varie parti politiche che in questo Parlamento hanno aderito alla proposta di legge, la sostengono e insieme l’hanno presentata (in particolare, oltre al mio gruppo, che con questo intervento rappresento, Forza Italia ed Alleanza nazionale); questo vuole essere e sarà il nostro messaggio, un messaggio per far sapere che un filo di grandezza e di umanità del nostro paese non si è mai perduto e che il ripensarci ci impedirà ed impedirà ai più giovani di essere accecati, disorientati, confusi da coloro i quali dovessero levarsi a dire che non è accaduto, che non è importante o che si può fare ancora.
