Con l’entrata in vigore del D.L. 121/2021 sulle nuove norme stradali, siamo tornati indietro al 1897 per recuperare la prima disciplina sui velocipedi. Limiti di velocità, tasse, circolazione: vi raccontiamo tutto quello che un ciclista dell’epoca doveva rispettare.
Monopattinisti d’Italia, la vostra tirannia è finita: ormai avete alle calcagna le nuove norme del codice della strada tutte per voi (e non solo)!
Soprattutto chi vive in città è stato testimone negli ultimi anni dell’invasione incontrollata di strade e marciapiedi da parte di monopattini, skateboard, hoverboard, monocicli e altre diavolerie smart e green sempre in agguato dietro i poveri pedoni (qualche tempo fa vi avevamo anche parlato dei loro brevetti).
Un trambusto selvaggio che non si vedeva da secoli! Pensate cosa accadde quando nell’Ottocento le strade iniziarono a essere prese d’assalto dai velocipedi. E anche allora la legge arrivò come al solito un filino tardi. Se le prime discipline delle condotte sulla strada riguardavano solo i mezzi a trazione animale, la prima disciplina effettiva su come muoversi con un mezzo “meccanico” su strada risale proprio alla fine del XIX secolo.
Visto che ci diverte molto, abbiamo pensato di ripescare quella prima disciplina sulla circolazione: il Regio Decreto n. 540 del 16 dicembre 1897 che approva il Regolamento sui velocipedi.
Che cosa prevedeva questo antico Regolamento?
Anzitutto (art. 1) che la circolazione dei velocipedi, delle macchine o degli apparecchi assimilabili ai velocipedi era completamente libera in tutto il territorio del Regno.
Quanto alle dotazioni (art. 2), ogni velocipede doveva essere munito di «un freno ad azione pronta ed efficace e un apparecchio avvisatore il cui suono possa essere udito a distanza» e di un fanale, sia di giorno sia di notte, applicato in prossimità della ruota anteriore.
Nessunissima menzione di caschi o altre protezioni, ma l’obbligo di targa! Secondo l’art. 3, infatti, ogni velocipede doveva avere visibile una «lastra metallica, sulla quale sia impresso il nome del Comune nel cui ruolo sono inscritti, ed un numero distintivo per ogni velocipede».
Vi era poi l’obbligo di condurre a mano il veicolo a mano (art. 4) quando trattavasi di velocipedi a due ruote destinati a portare più persone (triplette, quadruplette, ecc.) mentre transitavano in centro abitato, oppure tutti quelli sprovvisti di freni, apparecchi avvisatori, targhe, ecc.
Anche allora vigeva già il divieto assoluto (art. 6) di girare con i velocipedi se non a mano sui marciapiedi o sui viali riservati a pedoni o a cavalli o nei giardini pubblici, divieto che non è mai stato rispettato fino ai giorni nostri (fatti salvi i viali per cavalli, dove in effetti di biciclette non se ne vedono più).
E i limiti di velocità? Nessuno in particolare, solo l’obbligo nei centri abitati di «procedere con velocità moderata» (art. 7), stando però sempre attenti a non staccare mai le mani dal manubrio e i piedi dai pedali.
Se si percorrono strade più strette, o crocicchi, o se ci si ritrova alle «svolte delle vie», nelle piazze con i mercati, al passaggio delle barriere daziarie o in tutti i posti ove vi sia folla o agglomeramento di persone (peccato non aver ripescato questo termine al posto di “assembramento”) i velocipedi – attenzione – devono procedere al passo d’uomo.
Se invece ci sono lavori in corso, o si incontra un altro veicolo in una strada stretta, su invito delle guardie municipali o degli agenti di forza pubblica e… «ogni qualvolta i cavalli od altri animali da tiro o da sella, al loro approssimarsi, si adombrassero», il velocipedista deve scendere e condurre il veicolo a mano.
Vietatissimo fare esercitazioni nei centri abitati (art. 8), vietato è anche (art. 12) «porre sul velocipede, in modo stabile o provvisorio, cassette, canestri, pacchi od altri oggetti sporgenti dal telaio oltre 60 centimetri per ogni lato».
E ancora (art. 10) «Non si devono interrompere od attraversare con velocipedi file di soldati in marcia, cortei, processioni e accompagnamenti funebri. Quando il velocipedista incontri o voglia oltrepassare tali agglomeramenti di persone, deve girare al largo».
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Non esisteva una “mano” da tenere, si prevedeva solo che (art. 11) i velocipedi dovessero tenersi nei centri abitati nella parte carreggiabile e che quando incontravano “cavalieri” dovevano scansarli verso la parte destra o sinistra della strada secondo le consuetudini locali. Prima di sorpassare, una bella strombazzata in modo da chiedere strada.
La seconda parte del regolamento è dedicata meticolosamente all’applicazione della tassa di circolazione: quando deve essere riscossa, come deve essere verificata, cosa fare in caso di cambio di residenza se si è già pagata la tassa in un Comune. A noi oggi sembra un po’ eccessivo dichiarare il trasferimento della bici da un Comune a un altro, ma allora le biciclette erano cosa serissima (tanto che per il furto si arrivava fino in Cassazione, come vi avevamo raccontato in questo articolo).
La cosa più assurda? Quando poi furono introdotti “gli automobili“, non esistendo ancora una disciplina apposita si dichiarò che erano veicoli esentati dalla tassa di circolazione.
Ma questa è una storia che vi racconteremo un’altra volta.
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