Marbury vs Madison, è un processo in cui, il 24 febbraio 1803, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò per la prima volta incostituzionale una legge del Congresso, stabilendo così la dottrina della revisione giudiziaria. L’opinione della corte, scritta dal giudice capo John Marshall, è considerata uno dei fondamenti del diritto costituzionale statunitense.
Nelle settimane precedenti l’inaugurazione di Thomas Jefferson come nuovo presidente nel marzo 1801, il Congresso controllato dall’opposto partito Federalista creò 16 nuove posizioni di giudici di circoscrizione (nel Judiciary Act del 1801) e un numero imprecisato di nuove posizioni da giudice di pace (nell’Organic Act), che il Presidente uscente John Adams procedette a riempire nominando Federalisti nel tentativo di preservare il controllo del suo partito sulla magistratura e di frustrare l’agenda legislativa di Jefferson e del suo Partito Democratico-Repubblicano.
Poiché era tra gli ultimi di quei nominati (soprannominati “giudici di mezzanotte“), William Marbury, un leader del Partito Federalista del Maryland, non fece in tempo a ricevere la sua lettera di nomina con la firma presidenziale di Adams prima che Jefferson diventasse presidente. Una volta in carica, questi ordinò al suo segretario di stato, James Madison, di non spedirla, spingendo Marbury a presentare una petizione alla Corte Suprema per costringere Madison ad agire. Marbury e il suo avvocato, l’ex procuratore generale Charles Lee, sostenevano che la firma e il sigillo presidenziale sulla lettera di nomina costituivano una mera formalità. Ma formalità o no, senza quel pezzo di pergamena, Marbury non poteva entrare nelle funzioni di ufficio. Nonostante l’ostilità di Jefferson, la corte accettò di ascoltare il caso Marbury v. Madison nel febbraio 1803.
La questione giuridica sollevata direttamente da Marbury v. Madison può essere descritta in sè come minore. Quando la corte ascoltò il caso il desiderio di Jefferson di ridurre il numero dei giudici di pace era stato confermato dal nuovo Congresso (e il Judiciary Act del 1801 abrogato); il mandato teorico di Marbury era già quasi finito per metà; e la maggior parte delle persone, sia federalisti che repubblicani, considerava il caso privo di alcuna rilevanza sostanziale. Ma Marshall, nonostante le difficoltà politiche implicate, riconobbe di avere un caso perfetto con cui esporre un principio per lui fondamentale, quello della revisione giudiziaria, che avrebbe assicurato il ruolo della Corte Suprema nell’interpretazione della Costituzione. Il Presidente della Corte riconobbe il dilemma che il caso poneva. Se il tribunale avesse emesso l’ordine di spedire la lettera di nomina, Jefferson avrebbe potuto semplicemente ignorarlo, perché il tribunale non aveva il potere di applicarlo. Se, d’altro canto, il tribunale si fosse rifiutato di emetterlo, sarebbe apparso che il potere giudiziario fosse indietreggiato di fronte a quello esecutivo
La soluzione adottata al caso è stata propriamente definita un tour de force. In un colpo solo, Marshall riuscì a stabilire il potere della Corte Suprema quale arbitro ultimo della Costituzione, a punire l’amministrazione Jefferson per la sua incapacità di obbedire alla legge e ad evitare che l’autorità del tribunale venisse contestata dall’amministrazione presidenziale.
Marshall, adottando uno stile che avrebbe segnato tutte le sue principali opinioni, ridusse il caso ad alcune questioni fondamentali. Pose tre domande:
(1) Marbury ha diritto alla lettera di nomina?
(2) Se ne ha diritto e il suo diritto è stato violato, la legge gli ha fornito un rimedio?
(3) Se così fosse, il rimedio appropriato sarebbe un ordine della Corte Suprema?
L’ultima questione, quella cruciale, riguardava la competenza del tribunale, e in circostanze normali sarebbe stata risolta per prima, poiché una risposta negativa avrebbe ovviato alla necessità di decidere sulle altre due. Ma ciò avrebbe negato a Marshall l’opportunità di criticare Jefferson per quella che vedeva come una violazione della legge da parte del Presidente. Seguendo gli argomenti della memoria di Marbury sulle prime due domande, Marshall ritenne che una lettera di nomina diventasse valida solo dopo la firma del Presidente e la trasmissione al segretario di stato per l’apposizione del sigillo. Una volta presa la decisione politica della nomina tramite la firma presidenziale, il segretario di stato aveva solo un compito da svolgere: consegnare la lettera. In questo la legge lo obbligava, come chiunque altro, a obbedire. Marshall fece un’attenta e lunga distinzione tra gli atti politici del presidente e del segretario, in cui i tribunali non potevano interferire, e la semplice esecuzione amministrativa che, regolata dalla legge, la magistratura poteva controllare. Avendo deciso che Marbury aveva diritto alla lettera, Marshall si rivolse alla questione del rimedio, e ancora una volta si trovò a favore dell’attore.
Era dunque il momento di affrontare la terza domanda cruciale. Anche se si sarebbe potuto ritenere che il rimedio appropriato fosse un ordine della Corte Suprema, come concesso giurisidizione originale dalla legge giudiziaria del 1789, il tribunale sentenziò che non aveva il potere di emettere un atto del genere, poiché la disposizione pertinente era incostituzionale.
Per usare le parole della sentenza:
“O la Costituzione è una legge superiore prevalente, non modificabile con gli strumenti ordinari, oppure è posta sullo stesso livello della legislazione ordinaria e, come le altre leggi, è alterabile quando il legislatore ha piacere di alterarle. Se la prima parte dell’alternativa è vera, allora una legge contraria alla Costituzione non è legge; se la seconda parte è vera, allora le Costituzioni scritte sono un tentativo assurdo, da parte del popolo, di limitare un potere per sua stessa natura illimitabile”.
La sezione 13 della legge giudiziaria, sentenziò la Corte, era in contrasto con l’articolo III, sezione 2 della Costituzione, che afferma che “la Corte suprema ha giurisdizione originale” in “tutti i casi che riguardano ambasciatori, altri ministri e consoli pubblici, e quelli in cui uno Stato sarà Parte”, mentre “in tutti gli altri casi, la Corte suprema avrà giurisdizione d’appello “. Consegnando così il potere derivato dalla legge del 1789 (e dando a Jefferson una vittoria tecnica), Marshall ottenne per la corte un potere molto più significativo, quello della revisione giudiziaria.
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