Ormai sono poche le persone che usano le lettere come mezzo di comunicazione, e ancora meno quelle che le affrancano con un sigillo in ceralacca. Solo i notai sono ancora costretti a sigillare ogni testamento con la cera, ma come mai? Questa Massima spiega perché.
Quando ero in terza elementare mi regalarono della ceralacca rossa e un sigillo di bronzo con la mia iniziale, la “B”. Chiaramente cosa ci feci è presto detto: iniziare a inviare lettere affrancate e suggellate in pompa magna sfruttando ogni minima occasione.
In realtà, ancora oggi, nelle rare volte in cui mi capita di dover scrivere una lettera (ad esempio quella volta in cui scrissi al Presidente della Repubblica, il quale non si degnò neppure di rispondermi con una cartolina di cortesia a firma dell’ultimo dei suoi vice-sotto segretari), preferisco suggellarla con della ceralacca. Non c’è una motivazione particolare, ma di solito ha garantito che non venissero cestinate (tranne che dal Quirinale).
Non credo, comunque, di fare un uso abituale di sigilli e ceralacca e direi che sono rimasti in pochi in Italia a poter dire di usarli. La ceralacca dominava nel regno delle aste e bandi pubblici, poi il Consiglio di Stato con sentenza 319 del 21/01/2013 ha stabilito che questa si può sostituire con del pauperistico e poco romantico scotch: sempre che comunque sopra vi sia apposto un sigillo non alterabile (da quello non si scappa).
Quindi probabilmente oggi vi sono solo due categorie di persone in Italia che usano abitualmente ceralacca e sigilli: i Tiktoker che fanno views apponendo sopra il tappo di una bottiglia Sassicaia della ceralacca brillantinosa col sigillo di Harry Potter, e i notai.
Probabilmente i notai ne farebbero anche a meno, perché vi garantisco che sciogliendo la ceralacca si rischia di appestare tutto un ufficio, ma non si scappa: lo richiede espressamente il codice. Infatti l’articolo 605 del Codice Civile in tema di testamento segreto prevede che questo debba essere «sigillato con una impronta [il segno grafico rappresentato sul sigillo], in guisa che il testamento non si possa aprire né estrarre senza rottura o alterazione».
Si può fare altrimenti?
In vero, il problema se lo erano già posti oltre 100 anni fa, apparendo già allora tutto l’apparecchio scenico alquanto demodé. La questione fu oggetto di una sentenza della Corte di Cassazione di Firenze del 30 marzo 1914. Mi direte: ma allora era ancora in vigore il codice civile del 1865! Esatto, e questo usava le stesse identiche parole all’articolo 783: «la carta… sarà sigillata con impronta qualunque in guisa che il testamento non si possa aprire né estrarre senza rottura o alterazione». Visto? Nessuna differenza.
La Cassazione toscana cercò una via per modernizzare la pratica, ma non c’era modo di uscire dal rigore testuale della norma: infatti è scritto proprio «sigillata» e non «chiusa e sigillata» come si leggeva nella corrispondente disposizione «dell’Ordinanza francese di Luigi XV del 1735, del codice Napoleonico e dei precedenti codici italiani che a questo si modellarono, quali il parmense, l’estense, l’albertino e il napoletano».
Non è precisato quanti suggelli vi debbano essere e neppure quale debba essere la loro impronta (mai vista una diversa dal sigillo del notaio ma possiamo immaginare che una delle predette Tiktokers vada a depositare un testamento segreto suggellato con impronte «a disegno Harry Potter»), però l’elemento chiave per la Corte è che il testamento risulti inviolabile proprio grazie al sigillo: quindi si può usare anche ago e filo o fettucce di tessuto, ma tutto ciò deve rimanere cementato da un grande ed ermetico sigillo di ceralacca.
La Corte già si pose il problema: «ma non si può utilizzare dello scotch?», chiamando l’operazione «gommatura». E la risposta purtroppo è: no, non si può andare oltre il tenore letterale della norma.
E quindi così è: finché non arriverà alla Cassazione ora Unitaria un ricorso in merito alla questione (cosa su cui mi sento disposto a scommettere non avverrà mai), Tiktokers e notai saranno uniti da ceralacca e sigilli.
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