A Marsiglia a fine Ottocento ebbe luogo una curiosa vicenda legata al Code Napoléon. La storia prende avvio dall’improvvisa morte di un marchese. L’uomo era sposato solo da qualche anno e non aveva eredi. La vedova, tuttavia, dopo quasi un mese dal decesso aveva dichiarato di essere incinta. I parenti si videro così sottratta la ricca eredità e decisero quindi di andare in tribunale, richiedendo la nomina di un “curatore del ventre” .
La nostra storia inizia a fine Ottocento a Marsiglia, dove morì quasi improvvisamente un ricco marchese, senza figli, sposato solo da qualche anno. La vedova, a un mese quasi dal decesso, dichiarò di essere incinta. Si opposero all’asserzione i parenti a cui veniva sottratta la ricca eredità del defunto. Si andò dunque in tribunale, il quale non poteva escludere a priori la paternità del marchese, ammettendola il Codice fin oltre un anno. I parenti allora richiesero la nomina di un “curatore del ventre” (curateur au ventre), ai sensi dell’articolo 393 del Code Napoléon.
Questa figura, nominata dal giudice su richiesta del consiglio di famiglia, aveva la funzione sia di tutelare i diritti ereditari in capo al nascituro, sia soprattutto di constatare e seguire tutte le fasi della gestazione fino al parto. In virtù di questo, la giurisprudenza d’Oltralpe gli riconosceva il diritto di entrare a qualsiasi ora nella camera della sorvegliata, di spiarne la veglia ed il sonno fino anche ad assisterne al parto, come facevano gli antichi sudditi francesi in occasione della nascita dell’erede del Re.
Immaginatevi in quale imbarazzo possa mettere una sorveglianza simile! Non si controlla più né il proprio tempo né i propri sogni: l’occhio vigile del curatore è sempre fisso su di sé, con un incessante spionaggio di ogni passo, di ogni atto e di ogni parola, finendo per diventare un incubo. Si diceva all’epoca che spesso il curatore provocava una tensione tale da provocare aborti spontanei, distruggendo così le speranze di una famiglia e di una eredità.
Le donne vedove mossero le più vive rimostranze ai tribunali e ai legislatori, ma non venivano ascoltate. Di questi lamenti ne abbiamo eco nella rivista belga “La revendication des droits feminins“, dove si domandava, se non l’abolizione di questo articolo del Code Napoléon, almeno la previsione che fosse nominata una curatrice e non un curatore: l’obiettivo era provocare “tanti imbarazzi e tante soggezioni in meno in un periodo nel quale gli uni e gli altri possono aver per la donna conseguenze funeste“.
Tornando alla nostra vedova del marchese, il curatore adempì scrupolosamente al suo incarico: la vigilò di continuo e assistette anche al momento del parto. I parenti non poterono ricorrere ad altri cavilli. In realtà, solo dopo molti anni, per confessione spontanea di una persona che vi aveva preso parte, si venne a sapere che tutto ciò era stata una magistrale commedia e il curatore abilmente giocato. Si commentò: “ce que femme veut, Dieu le veut“. Ma si poteva allora si poteva commentarlo allora perché non c’erano i test del DNA.
Il curatore del ventre comunque rimase ancora per molti decenni nell’ordinamento francese, molto più a lungo di quanto probabilmente pensiate: venne abolito solo con Legge del 4 dicembre 1964.
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