Gaglioffo, s.m.
È iniziato il tempo dei Draghi, anche per l’Italia Repubblicana dove di fantasy c’è ben poco, a parte la politica che ci delizia con trame ed intrecci degni di George R.R. Martin.
Dopo le perigliose consultazioni, la presentazione della compagnia di avventurieri, e le esiziali dichiarazioni di voto alle due camere, ci godiamo la quiete prima della probabile tempesta, con la ripresa della battaglia con armi nuove: si vocifera l’arrivo dei micidiali Decreti-legge, in sostituzione all’uso dei D.P.C.M. che, comunque, ricorderemo con pacato affetto.
In questa parentesi ci prendiamo anche una licenza etimologica, uscendo dagli ambiti propri della giurisprudenza e del suo linguaggio tecnico, pur non eccedendo in licenziosità nella scelta di un termine che in Corte di Cassazione ha fatto capolino in diverse occasioni per ribadire il concetto fondamentale del “prima di parlare conta fino a dieci”.
Oggi parliamo di gaglioffi, i pitocchi, i furfanti e bricconi dai quali esperienza insegna che è meglio diffidare; cercheremo di capire perché questo termine sia così amato dalla nostra classe politica e non solo, tanto da finire ciclicamente sulle pagine dei quotidiani, amatissimo nei duelli all’ultimo share o come delicato, ricercato ma costosissimo epiteto.
I dotati di buona memoria ricorderanno forse due episodi in particolare: il primo, eclatante, risale al 2008, con sentenza della Corte di Cassazione del 27/12/2011, e tra i gaglioffi in questione vi era nientemeno che il Cav. Silvio Berlusconi, così epitetati dal severo giudizio di un togato; la seconda invece risale al 2006, con sentenza del 22/06/2007, quanto l’allora sindaco di Venosa venne stilnovisticamente descritto quale “gaglioffo azzeccagarbugli” da un avversario politico. La Cassazione in quell’occasione diede anche una interessante interpretazione del lemma dall’eco Manzoniano, come
Operatore del diritto di scarsa levatura morale, imbroglione e manigoldo, delinquente, avvezzo alla sopraffazione.
Un terzo episodio, pur non consacrato sull’altare del Diritto, quello che ci ha donato la fu ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Accadde in una ardentissima e stellata sera d’estate dell’agosto 2020, e in una puntatina televisiva il ministro definì Matteo Salvini, Leader della Lega, quale “gaglioffo” con un estremo e impellente bisogno di istruzione. E in un periodo in cui “scuola” rimava imperfettamente con “banchi a rotelle”, insomma, il livello del dibattito raggiunse davvero Endor.
Per capire da dove possa esser derivata questa deriva, iniziamo ad indagare l’etimologia di gaglioffo per capirne i segreti più reconditi.
Ebbene, udite udite: l’etimo di questo termine risulta, ad oggi, ancora incerto. Qualcuno lo descrive, con un po’ di fantasia, come l’incontro tra “gagliardo” e “goffo”, ma l’ipotesi più accreditata ci parla in realtà di un’origine tutta spagnola: da gallofa, che già nel XIV secolo designava un tozzo di pane abitualmente riservato ai pellegrini in marcia verso Santiago de Compostela.
Il termine spagnolo sarebbe una tarda invenzione conventuale, essendo proprio i monaci i più beneamati host per i forestieri lungo il Camino, che vede un connubio tra “galli”, i francesi, nazionalità prevalente tra i pellegrini in questione, e “offa”, che ha un’origine di estremo interesse.
Offa deriva probabilmente dal greco antico OPTOS, “cotto, arrosto”, e in età romana designava una sorta di focaccia che i sacerdoti davano in pasto ai polli sacri per ottenere auspici e auguri. Figura anche nell’Eneide (VI, 618), quale espediente utilizzato da Sibilla per addormentare il temibile Cerbero:
Allor la saggia maga,
Tratta di mèle e d’incantate biade
Una tal soporifera mistura,
La gittò dentro a le bramose canne.
Egli ingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre
Trangugiando mandolla, e con sei lumi
Chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto
Giacque ne l’antro abbandonato e vinto.
Il termine passò poi ad indicare in generale un boccone di cibo.
Dunque, il gaglioffo sarebbe stato storicamente, e letteralmente, il “boccone del francese”, offerto ai pellegrini come ristoro dalle fatiche corporee del pellegrinaggio.
L’accezione dispregiativa, verosimilmente, venne plasmata per iperbolico riferimento semantico al mendico, il fannullone, colui che vivacchia grazie alla generosità – o stupidigia – altrui.
Anche il volgare italico del XIV secolo si era già lasciato alle spalle il significato di tonificante focaccia per quello di mascalzone, e in tal guisa, talvolta anche ingiuriosa, lo ritroviamo soprattutto in area toscana. Primissima attestazione scritta ad oggi nota nei Libri Criminali della Città di Lucca, dove leggiamo:
Sosso ribaldo, gagloffo trayditore, che conveni che tu fia morto p(er) le miei mani.
Da qui in avanti, gli esempi d’uso brulicano oscillando tra tutte le possibili sfumature dell’inettitudine e della nullafacenza.
Utilizzato dalla voce di nobilissimi e reverendi scrittori, come già Fra Domenico Cavalca nei suoi Frutti della Lingua:
In questo punto dobbiamo imprendere dagli cerretani e dagli truffatori tristi e disonesti e gaglioffi, i quali, per provocar gli uomini ad aver pietà di sé, si mostrano più tristi e più miseri ed infermi che non sono.
Mentre più tardi, tra le citazioni più gagliarde lo troviamo nel Settecento nascosto nelle Commedie del Della Porta, per voce del ruffiano Mangone:
Mangone. Ponnosi veder le piú belle provature, formaggi, bottarghe e barilotti di malvagia?
Panfago. Diteli che le provi un poco.
Dottore. Di grazia, provatene alcune.
Mangone. Odorerò il vino. O gaglioffo traditore! il barilotto è pieno di piscio, le bottarghe sono di mattoni, il formaggio di pietra e le provature vessiche piene di sporchezza! O Dio, non gli bastava l’ingiuria, se non giongeva ingiurie ad ingiurie!
Passando poi per illustrissimi come Da Castiglione, Manzoni, Carducci, Serra e… Beh, i detti togati, ministri, avversari politici. Tutti ammaliati dalla potenza espressiva di questo termine, nato come espressione panificatoria di una virtù Teologale, per finire sugli scranni e tra le massime dei Tribunali contemporanei declassandola a diffamazione e insulto, relegando tuttavia il peso storico e morale sulle spalle del condannato.
Quindi, badate bene a come gaglioffate il vostro prossimo: potrebbe non prenderla bene. Parola di Cav.
Bibliografia
Gaglioffo, in TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (accessibile online).
Gaglioffo, in GDLI, UTET (accessibile online).
Publio Virgilio Marone, Eneide, trad. di Annibal Caro, Firenze, G. Barbèra, 1892.
Sentenza Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32577 del 9 agosto 2007.
Sentenza Cassazione civile, Sez. un., 27/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 27/12/2011), n.28813.
Domenico Cavalca, I frutti della lingua di Fra Domenico Cavalca, Milano, Giovanni Silvestri, 1837.
Giambattista della Porta, Delle commedie di Giovanbattista de la Porta …: L’Olimpia. La fantesca. La tabernaria. La carbonaria, Napoli, Stamperia, e a spese di G. Muzio erede di Michele-Luigi, 1726.
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