Nacque il 29 giugno 1864 a Poggio Mirteto (Rieti) da Innocenzo e da Nevilla Monteneri. Terminati gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma. Gli furono maestri tra gli altri Filomusi-Guelfi, Schupfer e Scialoja; sotto la guida di quest’ultimo si laureò il 7 luglio 1887 discutendo una tesi sulla distinzione tra res mancipi e res nec mancipi.
Da questo tema nacque il primo lavoro importante di Bonfante, che venne poi pubblicato a Roma in due parti nel 1888 e nel 1889 (Res mancipi e res nec mancipi). Il collegamento effettuato fra il problema della struttura della proprietà privata e quello dell’organizzazione della famiglia romana arcaica non costituiva di per sé stesso una tesi innovativa; quel che vi era di nuovo e di suggestivo era la ricchezza dei riferimenti culturali a cui nel corso della ricerca Bonfante approdava e che consentiva tra l’altro a questa prima ipotesi generale di ricerca di precisarsi in soluzioni specifiche originali, destinate a rimanere un punto di riferimento per la dottrina e la storiografia posteriore. Prendendo le mosse dalle teorie elaborate in Germania soprattutto dal Voigt, circa il carattere unitario dei poteri del pater familias, Bonfante se ne staccava decisamente qualificando la potestà del pater in modo diverso, a seconda che gravasse sulla moglie, sui figli, o sulle res, onde la distinzione tra manus e mancipium volta a mostrare “come già in epoca assai remota i due poteri, patrimoniale e personale, fossero distinti…“. Proprio in questa distinzione doveva quindi collocarsi chiaramente la distinzione tra res mancipi e nec mancipi a seconda della rilevanza dell’interesse sociale o individuale delle due categorie di res “in un’antitesi di beni propri dell’individuo e beni propri di uno o altro gruppo sociale, proprietà individuale e proprietà sociale”.
L’esperienza di Bonfante sul tema della res mancipi e nec mancipi non segna forse soltanto un momento decisivo nella sua formazione di storico e di giurista, ma, più in generale, un punto di maturazione importante nella tradizione culturale della scienza romanistica. In modo più ricco e sfumato che non, ad esempio, in Scialoja, si riproponeva nel lavoro di Bonfante il problema d’una recezione di temi positivistici e di elaborazioni sociologiche della coeva cultura europea. Nella sua ricerca si possono cogliere, oltre un generico richiamo agli schemi darwinisti e spenceriani allora così in voga, evidenti derivazioni dalle teorie del Summer-Maine e del Laveleye, cui il Bonfante fa del resto esplicito riferimento.
La ricerca sulla res mancipi e nec mancipi aprì fra l’altro a Bonfante le porte della carriera accademica. Chiamato a ricoprire, nell’anno accademico 1889-90, la cattedra di materie romanistiche all’università di Camerino, l’anno seguente passava a quella di istituzioni di diritto romano a Macerata, e il medesimo insegnamento ricopriva poi a Messina dal 1891 al 1894 e ancora a Parma dal ’94 al 1901 (ove tenne anche per incarico la filosofia del diritto) e a Torino dal 1901 al 1904. In quell’anno veniva chiamato a Pavia, ove succedeva al Ferrini nella cattedra di diritto e di storia del diritto romano; nel 1917 diveniva titolare degli stessi insegnamenti nell’ateneo romano. Fin dal 1906 aveva tenuto un corso di storia del commercio presso l’università commerciale L. Bocconi, e nell’anno accademico 1915-16 ne era stato anche rettore.
Molta dell’attività scientifica di Bonfante corre parallela al suo insegnamento universitario. Già nel 1896 uscirono a Firenze le sue Istituzioni di diritto romano, manuale scolastico che realizzava una felice fusione della costruzione dogmatica e dello svolgimento storico degli istituti giuridici, ebbe numerosissime edizioni italiane e traduzioni in altre lingue e divenne presto, assieme alla Storia del diritto romano (Minano 1902), opera classica della scienza romanistica, già preludente al più tardo Corso di diritto romano, in quattro volumi, punto di arrivo delle ricerche storico-giuridiche di Bonfante. E vanno inoltre. ricordati i corsi universitari poi non rielaborati nel suo Corso, come la Teoria del possesso e istituti possessori (Pavia 1905-1906), Delle obbligazioni (ibid. 1906-1907), Le obbligazioni (ibid. 1912); Lucri a causa di morte (ibid. 1914-15) e ancora Le obbligazioni (Roma 1918-19). Non vanno neppure dimenticate, le traduzioni con le quali Bonfante rese note in Italia alcune opere fondamentali, come il Disegno storico del diritto pubblico romano di Mommsen (Milano 1907), la Giurisprudenza emologica del Post (traduz. compiuta in coll. con C. Longo, ibid. 1906-08), nonché la traduzione di più parti del Commentario alle Pandette di Glück, che corredò inoltre di numerose “note” ed “appendici”, e del Diritto delle Pandette di Windscheid, lasciata interrotta da C. Fadda e P. E. Bensa e portata a termine da Bonfante in collaborazione con Maroi (IV-V, Torino 1926).
Uno scritto di Bonfante del 1917, Il metodo naturalistico della storia del diritto, oggetto della prolusione ai suoi corsi romani tenuta il 20 gennaio dello stesso anno, pubblicato nella Rivista italiana di sociologia, XXI, pp. 53 ss., fu all’origine di un’altra lunga polemica con Gentile e Benedetto Croce. Bonfante sottolineava con chiarezza quello che era il punto di vista dello studioso di storia del diritto rispetto al complesso delle fonti extragiuridiche quando affermava che “il movimento degli istituti giuridici è un perenne adattamento della struttura a nuove funzioni…: vieti istituti periscono per il cessare delle funzioni che essi adempivano e nuove funzioni possono dar vita a nuovi istituti: istituti di origine straniera possono essere trasportati in un nuovo ambiente sociale, adattandosi e acclimatandosi ad esso”. Non mancavano qui gli echi della tradizione metodologica positivistica. Bonfante stesso tentò di segnare le differenze che intercorrevano tra il punto di vista storico-giuridico tradizionale rappresentato dalla scuola storica e quello del pensiero positivistico. Egli notava come prima della recezione del pensiero di Spencer “la scienza giuridica era quasi da mezzo secolo piantata su quelle basi”. “Solo l’acquisizione piena del “metodo organico e naturalistico” segnava “la definitiva acquisizione scientifica e l’autonomia della storia giuridica e insieme… della scienza del diritto”. Ma in realtà qui la sua polemica “antimetafisica” si risolveva nella facile e troppo elementare proposizione dei consueti schemi positivistici.
Il riconoscimento attribuito alla sua opera, in Italia e all’estero, è attestato dai tre volumi di Studi che vennero raccolti in occasione del suo quarantesimo anno di insegnamento. Ebbe la laurea honoris causa a Parigi, Varsavia, Vilna; fu membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Istituto lombardo, dell’Accademia delle scienze di Torino e di quella di Bologna e della Pontaniana di Napoli. Il 18 marzo 1929 venne nominato membro dell’Accademia d’Italia ove, in seguito, tenne la vicepresidenza per la classe di scienze morali e storiche. Nazionalista, come testimoniano alcuni suoi scritti di occasione raccolti nel quarto volume degli Scritti vari, non ebbe né aspirò mai a una parte di qualche rilievo nella vita pubblica che non fosse quella dell’uomo di studi. La vicenda interventista lo vide partecipe in alcune polemiche giornalistiche e presidente a Milano del Comitato lombardo per la riscossa nazionale.
Bonfante morì a Roma il 21 novembre 1932.