La vita
Nato a Pescasseroli, in provincia dell’Aquila, il 25 febbraio 1866, in una famiglia di agiati proprietari terrieri, Benedetto Croce trascorse quasi tutta la sua vita a Napoli; nel luglio 1883 conseguì la licenza liceale e, pochi giorni dopo, il 28 luglio, perse i genitori e la sorella Maria nel terremoto di Casamicciola; egli stesso rimase molte ore sotto le macerie. Essendo ancora minorenne, ne assunse la tutela Silvio Spaventa, zio per parte di padre, nella cui casa romana Croce trascorse circa due anni; qui conobbe Antonio Labriola, di cui anche seguì le lezioni all’università. Già nel biennio romano si era dato a studi eruditi, che lo occuparono esclusivamente dopo che, nel 1886, tornò a stabilirsi a Napoli: i temi principali, la storia letteraria e politica dell’Italia meridionale, dall’età aragonese alla fine del Settecento.
La sua prima opera teorica che ebbe risonanza anche fuori d’Italia fu la ‘memoria’ del 1893 su La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte; e alla meditazione sulla storia fu ulteriormente stimolato dalla lettura (1895) del saggio di Labriola In memoria del Manifesto dei comunisti, del quale si fece editore; nel 1896 incominciarono gli scambi epistolari con Giovanni Gentile, preludio di una stretta amicizia che si interruppe nel 1924.
Del 1900 sono le Tesi fondamentali di un’estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, cui faceva seguito la grande Estetica del 1902, ove sono già presenti i lineamenti del ‘sistema’ di filosofia dello spirito; prima di redigere gli altri due volumi destinati a darlo per intero, la Logica e la Filosofia della pratica (1909), Croce tradusse e studiò intensamente Hegel. Nel 1903 incominciò a uscire «La critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia», con fascicoli a rigorosa cadenza bimestrale: fu con essa che Croce assunse rapidamente un posto di primo piano nella cultura italiana, non soltanto come pensatore e storico, ma anche come portatore di un suo ideale di cultura e di moralità, dichiaratamente ispirata alla tradizione del Risorgimento.
I saggi che vennero pubblicati nella prima serie vertevano principalmente sulla letteratura (Croce) e sulla filosofia (Gentile) in Italia nella seconda metà del 19° sec.; un bilancio critico per aprire la strada a una fase nuova; e, per aprire a orientamenti attuali, i saggi erano seguiti da recensioni di opere contemporanee, italiane e straniere. Nel dicembre 1901 erano iniziati i rapporti con Giovanni Laterza, che divenne l’editore, dal 1906, della «Critica» e delle opere di Croce, ma anche delle grandi collane dei Classici della filosofia moderna e degli Scrittori d’Italia, i cui volumi Croce programmava e curava con estrema attenzione.
Nel 1910 Croce fu nominato senatore del Regno; lo fu per censo, ma fu una sorta di riconoscimento ufficiale della posizione che ormai aveva assunto anche nella cultura europea. Già nel primo decennio del secolo l’Estetica era tradotta in inglese, francese, tedesco, il Saggio sullo Hegel in francese e tedesco, il Materialismo storico in francese; e nel 1909 gli fu proposto di scrivere, per una serie tedesca di manuali filosofici istituzionali, una «filosofia della storia», che poi sarà, invece, la Teoria e storia della storiografia.
Nell’aprile 1915, alla vigilia dell’intervento, scrisse il Contributo alla critica di me stesso, facendo un consuntivo ideale che si concludeva con una non celata inquietudine per il prossimo futuro; durante la guerra, oltre a molti scritti di orientamento politico e morale, redasse una delle sue opere più importanti, la Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono. Nel 1920 fu chiamato da Giovanni Giolitti, con il quale non aveva avuto precedentemente alcun rapporto, a far parte del suo ultimo gabinetto, come ministro dell’Istruzione; dopo la marcia su Roma mantenne, verso il governo Mussolini, un atteggiamento inizialmente riservato, che divenne aperta opposizione dalla fine del 1924. Nel 1929 parlò in Senato contro l’approvazione dei Patti lateranensi e, dalle pagine della «Critica», condusse una tenace polemica su temi filosofici e storici che avevano, allora, anche un significato politico: divenne così l’esponente maggiore dell’opposizione interna. In questo periodo, che Croce disse la sua seconda giovinezza, egli compose le sue più note opere storiche (la «grande tetralogia») e La storia come pensiero e come azione.
Dopo la caduta del regime e l’armistizio del settembre 1943, Croce s’impegnò intensamente onde si prendessero misure che consentissero all’Italia di uscire dallo stato di nazione sconfitta; valore simbolico aveva per lui l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, e questa sua proposta venne accolta al congresso dei partiti antifascisti svoltosi a Bari nel gennaio del 1944. Ottenuta l’assicurazione che l’abdicazione sarebbe avvenuta dopo la liberazione di Roma, accettò di entrare, come ministro senza portafoglio, nei governi Badoglio e poi Bonomi (aprile-luglio 1944). Fu in seguito presidente del ricostituito Partito liberale e membro della Consulta nazionale (1945-46); eletto all’Assemblea costituente, tenne incisivi discorsi contro l’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione (sui rapporti tra Stato e Chiesa) e contro l’approvazione del trattato di pace, i cui termini gli sembravano offensivi della dignità nazionale; nel maggio 1948 tornò in Senato.
In quel turbolento periodo, non aveva abbandonato gli studi e la sua opera di promozione di essi; nel febbraio 1947 venne fondato l’Istituto italiano per gli studi storici, alla cui direzione chiamò Federico Chabod; chiusa «La critica» alla fine del 1944, fece uscire, senza periodicità fissa, i «Quaderni della “Critica”» (1945-1951); nel 1952 pubblicò le sue Schede nella rivista «Lo spettatore italiano», anima della quale era la figlia Elena, con il genero Raimondo Craveri.
Morì a Napoli il 20 novembre 1952.