Erano gli anni d’oro di Hollywood, delle grandi stelle, dei classici indimenticabili, di un’industria inarrestabile. Ma dietro la patina scintillante c’era un terreno devastato di guerra: quello della Guerra Fredda.
«E se ci fosse una lista? Una lista che dice: “Ai nostri migliori attori non è permesso recitare. Ai nostri migliori scrittori non è permesso scrivere. Ai nostri comici più divertenti non è permesso farci ridere”. Come sarebbe se ci fosse questa lista? Sarebbe come l’America nel 1953.»
Così recita la locandina del film di Woody Allen del 1976 Il prestanome, che racconta la Hollywood nel periodo del maccartismo. Fu anzi il primo film hollywoodiano a raccontare, dal di dentro, la grande caccia alle streghe che dagli anni Quaranta agli anni Sessanta investì centinaia di attori, registi e sceneggiatori sospettati di affiliazione al comunismo.
Già nel 1938 era stata istituita la HUAC, la Commissione per le attività antiamericane, per indagare su possibili infiltrazioni sovietiche nel programma nucleare, nei sindacati, nel sistema dell’istruzione e nei mass media.
Nel dopoguerra, però, la paura rossa si era acutizzata e il senatore Joseph McCarthy passò alla dirigenza della commissione per la repressione delle attività antiamericane, prestando il suo nome a un periodo di esasperato sospetto e comportamenti persecutori nei confronti di individui, gruppi, funzionari governativi, uomini di spettacolo e di cultura ritenuti comunisti e quindi pericolosi per lo stile di vita della società americana.
E uno degli ambienti che per primi e in modo più invasivo fu colpito dal maccartismo fu proprio Hollywood, dove lavoravano molti europei legati alla sinistra che erano emigrati in America dopo l’avvento del nazismo.
Tutto cominciò quando il 29 giugno 1946 William R. Wilkerson, editore e fondatore del The Hollywood Reporter, pubblicò una rubrica intitolata “Un voto per Joe Stalin“, in cui compilò una lista di simpatizzanti comunisti includendovi sceneggiatori, attori, registi, musicisti e altri professionisti dello spettacolo.
Nell’ottobre del 1947, attingendo a questa lista, la HUAC, allora presieduta dal senatore J. Parnell Thomas, citò in giudizio quarantatré professionisti del cinema a testimoniare in udienza al fine di verificare se “i fascisti rossi e i loro simpatizzanti” stessero facendo propaganda nei film statunitensi.
Dei quarantatré testimoni, dodici contestarono l’autorità del comitato e vennero definiti unfriendly witnesses, “testimoni non amichevoli”.
Le udienze iniziarono con l’interrogatorio di due produttori fra i più importanti di Hollywood, Jack L. Warner (presidente della Warner Bros.) e Louis B. Mayer (a capo della Metro Goldwyn Mayer), chiamati a rispondere di due film da loro prodotti nel 1943, Mission to Moscow di Michael Curtiz e Song of Russia di Gregory Ratoff, con l’accusa di aver diffuso un’immagine favorevole dell’URSS.
Il 24 ottobre comparirono alle udienze Walt Disney e Ronald Regan, allora presidente della Screen Actors Guild, il sindacato dei lavoratori del cinema e della televisione.
Disney si dichiarò fermamente convinto che la minaccia dei comunisti nell’industria cinematografica fosse reale, parlando anche dello sciopero avvenuto il 29 maggio 1941 durante i lavori per il film Dumbo, a cui avevano aderito 200 animatori dei suoi studi, e facendo delazioni su suoi ex dipendenti come possibili comunisti.
Fu chiamato a depositare anche Gary Cooper, che recitò la parte dello smemorato un po’ sciocco per non citare nessun nome, e Bertolt Brecht, anche lui abile a mantenere il silenzio.
I registi Edward Dmytryk ed Elia Kazan invece furono obbligati a denunciare i propri colleghi. Anche lo scrittore Arthur Miller finì sotto inchiesta.
In novembre, al termine delle udienze dieci fra i “testimoni non amichevoli” furono condannati per oltraggio al Congresso degli Stati Uniti d’America per essersi rifiutati di testimoniare a un periodo di reclusione da un minimo di sei mesi a un massimo di un anno.
Ma persecuzioni e proscrizioni erano appena cominciate: in una riunione segreta al Waldorf Astoria di New York del 26 novembre 1947 l’associazione dei magnati dell’industria cinematografica decideva a maggioranza di licenziare i “Dieci di Hollywood” e di compilare una vera e propria black list, che nel corso degli anni Cinquanta, anche sull’onda del patriottismo durante la guerra di Corea, si allungò sempre di più.
La lista nera di Hollywood fu inesorabile: negò il lavoro a sceneggiatori, attori, registi, musicisti e altri professionisti dello spettacolo, rovinando la carriera a centinaia di persone.
Anche Charlie Chaplin fu accusato di attività antiamericane e l’FBI si attivò per fare in modo che venisse cancellato il suo visto di rientro dopo un soggiorno in Europa nel 1952. E da allora la sua carriera cinematografica negli USA finì.
Fu soltanto negli anni Sessanta si pose fine alla lista nera. La stagione di McCarthy era già tramontata.