Direttamente dal folle e geniale libro di Carlo D’Addosio, sono tornate le Bestie delinquenti! La storia che vi raccontiamo stavolta parla del processo ad alcuni pericolosi topi di campagna e del loro brillante avvocato difensore, il giurista medievale Bartolomeo Chassenée.
Pescando direttamente dagli annali del 1550, Carlo d’Addosio riferisce di un caso strepitoso, che ha come protagonista l’avvocato e primo presidente del Parlamento di Provenza Bartolomeo Chassanée.
Chi era questo personaggio?
Barthélemy de Chasseneuz (1480-1541) fu uno dei più rinomati giureconsulti del suo tempo, e un uomo dall’ingegno straordinario. Dopo aver studiato nelle scuole di avvocatura più rinomate d’Europa tra Dole, Poitiers, Torino e Pavia, prestò servizio per alcuni anni presso il Ducato di Milano. Nel 1506 si trasferì ad Autun, dove viveva la sua famiglia, e qui iniziò a esercitare la professione di avvocato. Chassanée ebbe una brillante carriera e «quando credette di essere salito abbastanza in alto, prese a pubblicare volumi eruditissimi e importantissimi». Scrisse un Commentario sui costumi della Bognogna (1517), opera largamente citata che servì anche da base per il Codice Napoleonico, il Catalogus de gloriæ mundi (1529), il suo lavoro principale, e un libro di Consigli (1531), repertorio dei suoi consigli legali.
Ma l’impresa per cui fu maggiormente acclamato più da tutti i suoi concittadini ed è rimasto nella storia fu quando nel 1522, in qualità di avvocato, difese i sorci del vescovato di Autun.
Quell’anno, infatti, i topi, «in numero sterminato, avevano invaso la città, spargendosi dovunque, persino nelle chiese, e divorando quanto capitava sotto i loro aguzzi e piccoli denti». Gli animali si erano a tal punto moltiplicati che avevano devastato le campagne e facevano temere una fortissima carestia.
Cosa fare? Le autorità ritennero massimamente giudizioso metterli sotto processo. Il Promotore sporse formale querela contro di essi e l’Ufficiale di Autun li citò a comparire, nessuno escluso, un dato giorno in Tribunale.
Spirato il termine, senza che quei mascalzoni dei topi si fossero presentati, il Promotore ottenne un primo giudizio in contumacia e stava già chiedendo di procedere con una condanna definitiva, quando il l’Ufficiale, «pensando che gli animali avevano assolutamente bisogno di un difensore, loro nominò d’uffizio Chassenée».
Ed ecco quindi che il nostro avvocato entrò in scena con la sua brillante difesa. D’Addosio ci racconta la sua strategia: «Costui, visto il discredito dei suoi poveri clienti, si diede alle eccezioni dilatorie, per dar così tempo agli animali giustamente sdegnati di calmarsi e di ritornare sereni.»
Chassenée sostenne, in prima battuta, che quando i sorci erano stati citati in giudizio si trovavano dispersi in molti villaggi, e «quindi una sola citazione non era stata punto sufficiente per avvertirli tutti. Domandò, quindi, ed ottenne, che una seconda citazione fosse loro notificata, a mezzo di pubblicazioni fatte dal pulpito delle chiese, nei giorni di predica di ciascuna parrocchia».
Quando il nuovo termine spirò, l’abile giurista giustificò di nuovo la contumacia dei suoi clienti asserendo non avevano potuto raggiungere in tempo il tribunale a causa della lunghezza e della difficoltà del loro viaggio, e dei pericoli a cui erano esposti per colpa dei gatti che, avendo saputo della citazione in giudizio, li aspettavano al varco.
Esauriti tutti i mezzi dilatori, Chassanée costruì un’abile difesa, facendo leva sulla compassione dei suoi ascoltatori e «appoggiandosi ad alte considerazioni di umanità e di politica». Così argomentava: «Nulla esservi di più ingiusto delle proscrizioni generali che colpiscono in massa le famiglie, che fanno ricadere sui figli la pena dei delitti dei loro genitori, che colpiscono senza distinzione anche coloro che la tarda età rende incapaci di delinquere!».
Che dire? Come commenta divertito d’Addosio: «E tutte queste belle cose, a proposito dei sorci grigi!».
Non sappiamo come finì il processo e se il giudice infine condannò i sorci, ma certo è che come avvocato difensore il Chassanée diede prova di così grande capacità che la sua reputazione e la stima pubblica di cui godé erano tali da valergli la scalata ai più alti gradi della magistratura. Da quel momento iniziò una fecondissima carriera: divenne prima avvocato del Re al Baliaggio di Autun, poi consigliere al Parlamento di Parigi e, infine, Presidente del Parlamento di Provenza.
E – come aggiunge d’Addosio – «poiché ci troviamo, diciamo tutto quello che ancora ci resta a dire intorno a questa graziosa e bizzarra figura di avvocato e magistrato medievale, per non ritornarci sopra mai più».
Pare che Chassenée non abbia avuto solo topi come clienti. Come si legge nei Consilia, il suo libro «stampato a Lione nel 1531, in un’orribile edizione in folio, dai caratteri addirittura illeggibili, dalle infinite abbreviature che fanno ammattire», si interessò anche di alcuni insetti che avevano invaso i vigneti nei dintorni di Beaune e avevano generato un delirio collettivo.
Anche in questo caso i cittadini chiesero l’intervento del magistrato di Autun, che d’altra parte non lo rifiutava mai. Questi emise un ordine di allontanarsi dai vigneti invasi, ma gli insetti non obbedirono. Ma, come vi abbiamo già raccontato qui, pare che contro gli insetti fossero più efficaci le… folgori ecclesiastiche. E così, pur difesi alacremente dal nostro Chassenée, si procedette contro di essi per via di maledizione e di scomunica.
Del nostro giurista ci restano anche alcune pagine, scritte di suo pugno, in cui egli si pone domande riguardo alla pratica di citare in giudizio gli animali. D’Addosio ci risparmia i “quattordici lunghi ragionamenti” addotti dal Chassanée, e salta subito alla conclusione.
È davvero da considerare un delitto l’atto perpetrato dagli insetti nelle vigne di Beaune? Sì, perché il popolo è privato del suo vino che «rallegra il cuore di Dio e quello dell’uomo, e di cui l’eccellenza è dimostrata nelle disposizioni del diritto canonico, che proibisce di promuovere agli ordini sacri colui che non ama il vino»!
E invece è giusto citare gli animali personalmente? Non sarebbe meglio piuttosto avvalersi della mediazione di un procuratore? Sì, lo sarebbe, infatti, come egli afferma, per gli animali è impossibile accettare un invito che loro stessi non possono conoscere.
Gli animali, poi, possono o non possono essere scomunicati? Dopo aver risposto negativamente, affermando che il flagello arrecato da loro rappresenta una punizione divina per i peccati degli uomini, Chassanée ribalta le sue argomentazioni, elencando ben dodici motivi per cui invece gli animali andrebbero scomunicati.
Per i lettori più restii il giurista elenca numerosi esempi dalle Sacre Scritture, raccontando per esempio di quella volta che Gesù maledisse un fico, oppure dell’episodio della Genesi in cui Dio maledice il serpente.
Nel 1993 la singolare carriera di Bartolomeo Chassenée ha ispirato il film L’ora del porco (regia di Lesley Megahey, con Colin Firth). Ma d’Addosio, che naturalmente non poteva saperlo, conclude così: «Ed ora, punto e basta con Chassenée».
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Non perdete tutte le storie più epiche di processi agli animali dall’antichità fino alle soglie del XX secolo del libro Bestie delinquenti di Carlo D’Addosio, riscoperto da noi ed edito da Le Lucerne!