Luigi Cremani nacque ad Arezzo il 17 febbraio 1748 da Cosimo, cancelliere maggiore, e Alessandra Stefani. Compì gli studi di giurisprudenza all’università di Pisa, dove ebbe come maestri Leopoldo Guadagni e Giovanni Maria Lampredi, col quale entrò presto in una relazione di stretta amicizia. Conseguita la laurea, venne nominato lettore straordinario di diritto civile nel 1772 nella stessa università.
Al periodo iniziale della sua attività scientifica appartengono numerosi lavori eruditi sul diritto romano e civile, che testimoniano della sua solida formazione classica e del suo attaccamento alla tradizione. Nel 1767 pubblicò a Lucca De igne et luce dissertatio, ad Philippum Borbonium, Liburni Praesidem; cinque anni dopo usciva De promissis metu extortis, sive in Digestorum titulum de eo, quod metu causa gestum erit dissertatio; mentre del 1774 è l’altra monografia De officiis legumlatoris et iurisconsulti in condendis vel interpretandis legibus, ex naturali et civili Romanorum iure derivatis.
Nell’aprile 1775 il Senato di Milano gli offrì la cattedra di istituzioni criminali in Pavia, che tenne per circa venti anni. In questo periodo pubblica, dedicandolo a Karl Joseph von Firmian, governatore generale della Lombaria austriaca, un interessante opuscolo sulla storia della giurisprudenza criminale, dal titolo De varia iurisprudentia criminali apud diversas gentes, eiusque causis, oratio habita in Regio Caesareo Ticinensi Gymnasio. Esso costituisce un tentativo di studiare i nessi tra legislazione criminale e governo politico e vi si trovano già accennati vari concetti sul diritto e la procedura penale, che sarebbero stati sviluppati e approfonditi in seguito nel trattato sul diritto criminale, che costituisce il titolo principale della fama di Cremani in Italia e all’estero. A Pavia, nell’atmosfera pacata e protetta dell’assolutismo illuminato dell’Imperatore Giuseppe II, ebbe modo di entrare in contatto con gli ambienti accademici e diplomatici del regime austriaco, come anche di stringere rapporti e amicizie nel mondo culturale lombardo e italiano in genere. Fu in relazione con il Filangieri, col quale intrecciò un’interessante corrispondenza, da cui traspare il sentimento di ammirazione e di debito intellettuale che il filosofo napoletano provava nei suoi confronti. Conobbe Gian Domenico Romagnosi, il quale gli dedicò la Genesi del diritto penale, e, sempre tra i giuristi, Giovanni Carmignani.
La lettera a Romagnosi del 7 maggio 1789, in cui Cremani ringraziava della dedica ed elogiava l’opera, vale a smorzare le accuse che gli vennero rivolte di ingratitudine e di scarsa considerazione nei confronti dell’autore della Genesi. Le obiezioni che in quella stessa lettera egli rivolgeva al Romagnosi erano dettate soprattutto dal desiderio “di prevenire i rilievi di quelli, che hanno per sistema di non dichiararsi contenti di veruna cosa”. Ad esempio, sul problema della pena di morte, Cremani si mostrava pienamente d’accordo col Romagnosi nel propendere per un uso responsabilmente moderato di essa.
Del 1777 è l’orazione latina, tradotta poi in italiano, letta all’università di Pavia il 25 giugno, in occasione del conferimento della laurea a una studentessa. Cremani vi deplorava il fatto che le donne, non solo in virtù del costume, ma in forza delle leggi, fossero tenute lontane dagli studi, in special modo da quelli giuridici, dove anzi esse dimostravano spesso maggiori capacità di apprendimento rispetto agli uomini. Nell’anno scolastico 1787-88 fu eletto rettore dell’università.
Con la morte di Giuseppe II nel 1790 e l’assunzione della corona imperiale da parte del fratello Leopoldo II veniva dato un nuovo impulso in Lombardia a quella politica legislativa e di riforme che l’ex granduca aveva attuato negli anni precedenti in Toscana. A tale scopo Leopoldo chiedeva a Cremani di stendere relazioni sull’università di Pavia e sulla situazione del Milanese, come anche istituiva nel 1791 una commissione per la compilazione del codice penale, opera fortemente influenzata dal trattato De iure criminali libri tres di Cremani, che veniva pubblicato infatti proprio negli anni 1791-93 a Pavia. L’opera, costruita secondo gli schemi tradizionali, ma attenta alla letteratura giusfilosofica del momento, si muoveva nel solco aperto da Beccaria e da Filangieri e può essere considerata uno dei più significativi trattati scientifici di diritto penale dell’Italia tardosettecentesca.
Nel primo dei tre libri della sua opera Cremani esaminava il fondamento e l’origine del diritto di punire e affrontava il problema, allora assai controverso nelle discussioni tra i giuristi, dell’interpretazione della legge penale, che risolveva nel senso di una rivalutazione della attività interpretativa della giurisprudenza. Il secondo libro conteneva un’analisi dei singoli delitti, mentre il terzo riguardava la procedura penale. Nonostante la sua difesa del processo inquisitorio, Cremani mostrava anche in quest’ultima parte quella capacità sistematica e quell’esattezza nel definire e distinguere che costituiscono probabilmente il maggiore pregio dell’opera. Il medesimo intento di semplificazione e di razionalizzazione del materiale giuridico tradizionale si ritrova nelle Institutiones iuris civilis pubblicate nel 1795 e utilizzate anch’esse, come il trattato di diritto criminale, quale testo universitario.
Gli avvenimenti militari della campagna napoleonica in Lombardia nel 1796 indussero Cremani, legato all’antico regime e per natura contrario alle idee democratiche della rivoluzione, a riparare in Toscana, dove nell’anno successivo venne nominato dal granduca Ferdinando III assessore del Supremo Tribunale di giustizia. Dopo la breve parentesi francese del 1799, con il ritorno del granduca, aveva inizio la politica reazionaria contro i colpevoli di giacobinismo o di “genialità francese” e il Cremani venne chiamato ad assistere un triumvirato di senatori eletti per gli affari di polizia.
Entrò così a far parte della avversata “camera nera”, partecipando alla inquisizione degli “infetti di massime democratiche” e teorizzando la necessità di risolvere in via sommaria le cause per i reati contro la religione e la sovranità, allo scopo di eliminare qualunque garanzia formale per l’inquisito e di impedire la difesa.
Con il ritorno dei Francesi in Toscana nel 1800, Cremani si ritira a Cetona, piccolo comune nell’attuale provincia di Siena. Nel 1807, su richiesta di Giuseppe Luosi, ministro della giustizia del Regno d’Italia napoleonico, redigeva le Osservazioni sul progetto del codice penale per il regno d’Italia.
Nel 1814 la restaurazione del governo di Ferdinando III in Toscana premiava la fedeltà di Cremani, che venne nominato presidente della Ruota criminale di Firenze e, nell’anno successivo, membro di una commissione delegata al riordinamento della legislazione penale.
Nonostante i lavori che il suo ufficio comportava, Cremani continuò a dedicarsi con impegno agli studi scientifici. Del 1830 è un interessante parere su un problema di competenza dell’azione penale che fu pubblicato insieme con quelli dati sulla stessa questione dal Carmignani e dal Romagnosi nella Memoria a favore dei signori Mondolfi e Fermi.
Morì a Firenze il 15 dicembre 1838.