Nell’anno in cui le luci delle feste si sono spente, abbiamo pensato di intervistare Giorgio Spiller, personaggio eclettico e di profonda sensibilità culturale, protagonista indiscusso di una delle più belle storie che abbiamo recuperato dalle riviste giuridiche del passato. La storia del processo per atti osceni contro un costume carnevalesco a forma di enorme pene.
Ci sono storie che nascono solo perché se ne tramandi il mito. D’altronde le nostre ricerche hanno proprio questo fine.
Nell’ambito di questa attività di ricerca, condizionata da pulsioni personalissime, capita di imbattersi in vicende che trascendono il caso giuridico e si trasformano in epica. Uno di questi è sicuramente il caso di Giorgio Spiller, imputato a Venezia perché – tenete aperte le orecchie –
La sera del 18 febbraio 1982, mentre a Venezia impazzava il carnevale, due vigili urbani fermavano nei pressi della piazza S. Marco un giovane che indossava un costume a foggia di enorme pene.
Questo è l’esordio della sentenza della Pretura di Venezia del 5 novembre 1982, pubblicata su Il Foro Italiano e che è mitica non solo per il caso in sé, ma anche per la massima e per i grassetti. Vi riporto qui il frammento.
Quanto possa essersi divertito il massimatore nello scrivere il grassetto “esibizione sulla pubblica via con costume carnevalesco a foggia di enorme “fallo” “ lo sa solo lui. Provo per egli una invidia inaudita, di certo nemmeno un po’ appagata dal fatto di avere poi recuperato questa storia.
Il tutto era ulteriormente mitizzato dalla dettagliata descrizione che di quel costume carnascialesco aveva fatto il pretore (che di certo sarà stato quello a divertirsi di più):
la maschera da costui indossata era propriamente « un costume », cioè una « interpretazione » più che una riproduzione dell’organo genitale maschile attuata con sistemi oltremodo suggestivi, talché il risultato appare, in forza della gigantizzazione del glande, della stilizzazione del fremulo ottenuto col prolungamento del naso di una « bautta », della identificazione dei testicoli negli sbuffi dei pantaloni all’altezza delle ginocchia, del tutto apprezzabile sotto l’aspetto estetico. Ne è derivato, infatti, un esilarante e gioioso simulacro fallico di indubbio effetto scenico.
Fu peraltro questa uno dei post di maggior successo dei primi mesi della nostra pagina facebook (qui il link al post originale), nel quale poi a un certo punto e con immenso sbigottito e piacevole stupore era intervenuto tra i commenti lo stesso Giorgio Spiller, il protagonista di quella storia. Era la prima volta che uno degli attori delle vicende che raccontavamo si palesava in “carne e ossa”: e fu subito festa. Da allora ogni anno a Carnevale ricordiamo quella storia e quella scoperta. Quest’anno, proprio quest’anno che le luci della feste sono spente, abbiam pensato di fare qualcosa in più, e abbiamo intervistato Giorgio Spiller, personaggio eclettico e di profonda sensibilità culturale. Gli abbiamo chiesto di ricordare la sua vicenda e di parlare di passato, presente e futuro.
Intervista a Giorgio Spiller
Caro signor Spiller, Lei è un personaggio mitico per i nostri lettori, per via del suo caso giudiziario. Cosa ricorda di quei giorni? Come mai decise di indossare quel “particolare” travestimento, ed è vero che era stato solo uno dei tanti?
Era già il terzo anno del rinato Carnevale, l’anno prima con la Mona avevo sfidato l’impossibile e a quanto pare ci ero riuscito. A quel punto era d’obbligo cimentarmi col Cazzo, un soggetto più facile, già di per sé è una scultura: un cappello esuberante, collegato con le palle da un peplo a soffietto da kouros greco, buono per gli occasionali allungamenti. Tra l’altro ero ben protetto dalle aggressioni e la goccia di silicone che mi pendeva dal naso, fatta roteare all’occorrenza, teneva alla larga il branco “Cazzo maschilista primo della lista”. Con la Mona avevo avuto più problemi a difendermi dagli agguati dei branchi politicizzati. Poi il fermo dei vigili in Piazza San Marco, il sequestro del cappello, il mio rilascio tra la gente che rumoreggiava all’esterno; la Mona dopo mezz’ora era già lì di fronte a implorare la liberazione del Cazzo, tra la folla che nulla sapeva di me e quelli che invece sapevano e mi facevano da spalla nel corteo di piazza. A seguire la multa per “atti contrari alla pubblica decenza”, per l’ammontare di 20.000£ che ovviamente non ho pagato: si è andati a processo.
Come ha vissuto l’esperienza del processo? Ha mai avuto realmente paura di essere condannato?
Sono andato al processo molto sereno, meno lo era il mio avvocato, che è arrivato in ritardo di mezz’ora, tanto che abbiamo cominciato senza di lui. Avevo portato con me il costume-corpo del reato, “evirato” del cappello. Era mia intenzione farlo visionare al pretore, per chiarire che si trattava propriamente di un costume che, una volta indossato, raggiungeva oltre due metri di altezza, contro i 20 cm, più o meno, ai quali veniva associato. Volevo inoltre dimostrargli che all’interno del cappello non c’era nessun marchingegno per spruzzare liquido biancastro sulla folla, come invece sostenevano i vigili, per sentito dire, una volgarità che non mi si addiceva. In verità avevo pensato a qualcosa di simile, dei palloncini candidi, ma da far salire in cielo. La cosa è andata bene più per i fotografi che per il pretore Pietro Pisani, il quale non ha ritenuto necessario visionarlo. Pisani, appartenente ad una famiglia veneziana di nobile lignaggio, nel testo di assoluzione con formula piena e con i complimenti, mi ha rilasciato una delle più belle critiche d’arte che un artista possa desiderare. Negli anni successivi ho quindi creato Tette e Culo, i Bronzi di Riace, Franz, l’uomo in mutande, Cacca Dura e Cacca Molla, la Morte e la Fanciulla e ultimo il Satiro. Dall’89 ho collaborato agli allestimenti di piazza con scenografie urbane e natanti mascherati dal marchio Coop e da bottiglia Asti che inauguravano il Carnevale.
Sono passati un po’ di anni da allora, chi è oggi Giorgio Spiller? Sappiamo che lei si occupa di difesa del territorio, di storia e – se non sbaglio – di poesia. Ci può raccontare qualcosa di più?
In realtà non l’ho ancora capito neanch’io, ogni dieci anni volto pagina disperdendo le tracce, ma ora di pagine e tempo me ne rimangono poche. Negli ultimi anni rientrando a vivere sui monti dell’Altopiano dei Sette Comuni ho lavorato moltissimo, scavando nel vero senso della parola. In dieci anni di picco e badile ho fatto emergere un’antica cava di stoan platten, le antiche pietre con cui si recintavano pascoli e strade. Ne è uscito un anfiteatro naturale, “Il Teatro del Bel Calcare”, nel quale organizzo eventi e spettacoli prima che tutto venga di nuovo ricoperto dalla natura. Contemporaneamente ho cercato di salvare le memorie dei tre villaggi che vedo dalle mie finestre, raccogliendo testimonianze per non disperdere il patrimonio orale degli “ultimi”. Basandomi su queste sto scrivendo dei libri, sono giunto al terzo. Ma il Carnevale mi chiama, non per quell’irripetibile magico momento che non tornerà più, ma per raccontare il “Carnevale visto dalla Mona”, con una mostra di sculture in scala 1 a 1 e uno stampato. Devo dire la mia, prima che lo dicano gli altri: è vero che la storia filtrata dai miti è sempre la più veritiera, ma ora dopo quarant’anni dai fatti sono nella condizione giusta per farlo.
Quest’anno il carnevale a Venezia, per ovvie ragioni, è spento. Il presente che stiamo vivendo sembra lontano anni luce dai periodi di festa. Ma ci lascerà qualcosa di buono, secondo lei, questa pandemia?
Il Carnevale è stato spento dagli stessi veneziani, la città puttana ha lasciato fare per qualche anno, dal 1980 al 1985 poi se n’è impossessata senza capire nulla delle aspettative e dell’enorme potenzialità che il tam tam culturale aveva identificato nella città eternamente moribonda. O per lo meno non ha avuto neanche la lungimiranza di lasciare uno spazio dedicato a questo aspetto. I veneziani si sono ridotti a fare i figuranti in un fondale fotografico venduto a caro prezzo, creando l’equivoco che il Carnevale sia una sola questione di belli, mentre fin dalla sua nascita è stato una contrapposizione di belli e brutti, Dionysos docet. Sicuramente il virus segnerà una tappa salutare, ormai le masse si muovono in transumanze amorfe al seguito del dio denaro, ma dio Pan ogni tanto si sveglia e torna, chissà…
Ringraziamo Giorgio Spiller per questa intervista, che siamo certi diventerà una delle pietre miliari della nostra avventura, in attesa del ritorno del dio Pan. Per altri aggiornamenti sulle attività di Giorgio Spiller vi invitiamo a visitare il sito www.giorgiospiller.it.
(c) riproduzione riservata, in copertina Giorgio Spiller in una foto recente insieme alle sue creazioni. (c) DJ Spiller – pagina facebook