Romagnosi nasce l’11 dicembre 1761 a Salsomaggiore, primo di dieci figli, da Marianna Trompelli e dal notaio Bernardino, consigliere del Ducato di Parma e Piacenza, ufficiale pubblico e amministratore di piccoli feudi.
Trascorse la giovinezza fra il paese natale e i centri di Borgo San Donnino (oggi Fidenza), dove studiò presso il ginnasio dei gesuiti, e di Piacenza, dove frequentò il collegio della congregazione di S. Vincenzo de’ Paoli. Le sue letture di formazione compresero i testi di Francis Bacon, John Locke, Christian Wolff e in particolare di Étienne Bonnot de Condillac, che aveva soggiornato a Parma per alcuni anni come precettore del piccolo duca. Rinunciando al sacerdozio si iscrisse nel 1782 all’Università di Parma, dove si laureò nel 1786 in utroque iure esordendo, sulle orme paterne, come praticante notaio per un triennio. Nel 1789 fece parte della Società letteraria di Piacenza, dove lesse i suoi primi lavori: il Discorso sull’amore delle donne considerato come motore precipuo della legislazione, il Discorso sullo stato politico di tutte le nazioni, Sull’opinione pubblica. Nel 1790 fece parte dell’Accademia degli Ortolani.
Nel 1791 pubblicò a Pavia il suo primo saggio, redatto nel 1789 e più tardi da lui stesso definito «scorretto ed immaturo»: Genesi del diritto penale.
Comunque grazie a questo saggio, venne eletto alla carica annuale di pretore di Trento, dove si trasferì nel 1791. Nel 1792 pubblicò a Trento l’opuscolo Cosa è eguaglianza e nel 1793 Cosa è libertà, testi nei quali rivelava le sue moderate simpatie per le idee della Rivoluzione francese. Nell’esercizio del suo ufficio difese rigorosamente le prerogative dall’autorità civica resistendo contro l’avocazione al foro vescovile di una causa penale di sua competenza. Concluso il mandato di pretore, affrontò alcuni contrasti con il principe vescovo di Trento, Pietro Vigilio Thun, che tuttavia gli concesse nel 1793 il titolo di consigliere aulico d’onore. Per alcuni anni ricoprì diversi incarichi giuridici a Trento e nel 1796, all’arrivo di Napoleone, celebrò l’evento inviando al Senato municipale un memoriale in cui inneggiava alla «sapienza ed autorità dell’invitto generale francese».
Nel 1801, con la seconda occupazione francese del principato di Trento, venne nominato segretario generale del Consiglio superiore del Tirolo meridionale, presieduto da Carlo Antonio Pilati, mantenendo l’incarico fino al 1802. Il 29 dicembre 1802 – per iniziativa del generale Médéric-Louis-Élie Moreau de Saint-Méry, amministratore generale degli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla e su proposta del giurista Claude Emmanuel de Pastoret – fu nominato professore di diritto naturale e pubblico all’Università di Parma, dove rimase fino al 1806, pubblicando nel 1805 la sua seconda opera di rilievo: l’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale che consolidò definitivamente la sua fama nel mondo del diritto.
Concepito come trattato giuridico, in esso si scorgeva già abbozzata la successiva teoria dell’incivilimento cui Romagnosi avrebbe dedicato, nel 1832, uno dei suoi libri più importanti. Nell’Introduzione, premesso che ogni complesso giuridico dovesse basarsi sui bisogni della comunità, sosteneva che lo scopo del diritto doveva essere il rafforzamento delle strutture civili e politiche della società. Sullo stretto rapporto fra diritto e morale si fondava anche la «civile filosofia» romagnosiana che postulava una rigorosa distinzione fra i due ambiti a livello di analisi, ma al tempo stesso la capacità di considerarli nel loro insieme quando poi si affrontava la sostanza delle cose nella vita reale. Per Romagnosi, infatti, il fine dichiarato della scienza del diritto pubblico era quello di «produrre la moralità pubblica» e il risultato era la possibilità di associare la giustizia alla «possanza degli Stati». Secondo l’ispirazione illuministica, obiettivo della filosofia civile era realizzare la pubblica «felicità» nella vita associata, mediante l’‘incivilimento’, ossia il costante perfezionamento del genere umano all’interno della vita associata. In base a queste premesse il «diritto pubblico universale» finiva per coincidere con l’«arte della sociale felicità particolarmente pubblica». La «molla» dell’agire umano era dunque costituita dalla volontà, che era a sua volta sollecitata dall’«amor proprio», ossia dalla ricerca del piacere e dalla fuga dal dolore. Il fine ultimo era la realizzazione della «massima felicità distribuita nel maggior numero».
Chiamato nell’agosto del 1806 a Milano, in qualità di consigliere di Stato del napoleonico Regno d’Italia, a occuparsi della revisione del progetto del primo codice italiano di procedura penale, entrato in vigore nel 1807, contrastò con forza ogni tentativo di concedere al potere politico prerogative superiori a quelle del potere giudiziario. Nel 1808 era nuovamente impegnato nella revisione del Codice penale napoleonico che sarebbe entrato in vigore nel Regno d’Italia nel 1810.
Nel 1807 fu nominato consultore del ministero di Giustizia e ispettore generale delle scuole di diritto e ottenne la prestigiosa cattedra di diritto civile all’Università di Pavia, a inaugurare la quale pronunciò il discorso Dell’origine e progressi della civile giurisprudenza auspicando che «un moderato contrasto di passioni e di poteri da una parte, leghi l’interessi particolari col generale; e dall’altra, rimossi i ceppi di una costituzione inflessibile, faccia incessantemente inoltrare l’incivilimento fino al punto che la nazione rendasi sicura e felice». Dalla cattedra pavese, in neppur troppo velato contrasto con il regime napoleonico, Romagnosi affermò esser preferibile liberarsi dagli ‘Stati grandi’ e tendere alla costituzione di Stati repubblicani, mirando a una confederazione internazionale di repubbliche di medie dimensioni. Nel gennaio del 1809 fu quindi nominato professore di alta legislazione civile e criminale nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione nelle Scuole speciali di pubblica amministrazione di Milano da lui stesso progettate e destinate a formare i futuri magistrati e funzionari del Regno. In quegli anni di intenso lavoro si dedicò alle prime riflessioni sulle costituzioni, alle Lezioni di diritto civile (pubblicate postume) e ai Principi fondamentali di diritto amministrativo (pubblicati nel 1814).
Entrato così a far parte a pieno titolo dell’élite di governo, Romagnosi percorse anche una significativa carriera all’interno della massoneria italiana, ricoprendo prima la carica di maestro venerabile della Loggia reale Giuseppina di Milano, poi quelle di ‘grande esperto’ e di ‘grande oratore aggiunto’ del Grande Oriente d’Italia.
Colpito nel 1812 da un attacco di emiplegia, rimase invalido, ma continuò a lavorare con intensità immutata. Nell’ultimo anno del Regno d’Italia, tuttavia, non lesinò critiche a Napoleone, toccando il culmine con lo scritto anonimo Giudizio sul Regno di Napoleone Bonaparte, uscito nel 1814, in cui l’imperatore era raffigurato come il traditore della rivoluzione.
La fine dell’esperienza napoleonica e la restaurazione del dominio austriaco coincisero con l’elaborazione del volume Della Costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa, pubblicato anonimo nel 1815, con la falsa indicazione di Filadelfia (ma Lugano). In questo lavoro affermò ideali costituzionali che gli sarebbero valsi i sospetti della polizia austriaca.
Romagnosi affermava l’importanza di una definizione giuridica dell’assetto istituzionale e amministrativo fondato su un testo scritto: la costituzione, appunto. Il saggio romagnosiano – concepito fin dal 1813, in un contesto di crisi dell’Impero napoleonico, ma stampato dopo la Restaurazione – cercava di conciliare teoricamente il principio monarchico con quello della rappresentanza cetuale, partendo da una ridefinizione dei ceti, basata non sulla tradizione di antico regime, ma sulla proposta di una nuova nozione di nobiltà per merito fondata sugli eletti in rappresentanza del ceto dei possidenti, degli uomini di opinione e dei militari. Questo scritto testimoniava la prima presa di distanza di Romagnosi dal modello napoleonico e preludeva alla sua successiva opzione repubblicana. Il compito fondamentale di una buona costituzione rappresentativa stava infatti nel ridurre la massima concentrazione di potere del sovrano per non cadere nel dispotismo, mantenendo tuttavia salda la figura del sovrano.
Con il 1815 si concluse la prima fase della vita di Romagnosi che lo aveva visto emergere come tecnico di altissimo livello del diritto; con la Restaurazione iniziava una seconda stagione che, pur isolato, lo vide affermarsi a pieno titolo come pensatore politico e civile a tutto campo, più propenso a pubblicare saggi brevi di argomento diverso, piuttosto che trattati giuridici. Al ritorno degli austriaci fu sospeso dall’insegnamento universitario, pur ottenendo la licenza per l’insegnamento privato, che continuò a esercitare per alcuni anni. Fra gli allievi più ragguardevoli di questo periodo ebbe personaggi come Carlo Cattaneo, Cesare Cantù, Giuseppe Ferrari, Defendente e Giuseppe Sacchi. Emarginato dopo la caduta di Napoleone, Romagnosi spostò i suoi interessi dal diritto alla politica, all’economia e alla statistica, alla storia delle civiltà, cui si avvicinò con sguardo laico e disincantato.
Nel 1820 aveva pubblicato l’Assunto primo della scienza del diritto naturale, una delle sue opere più riuscite, in cui, riprendendo temi già sviluppati nella Genesi del diritto, sostenne che nella natura era presente tanto il principio di individualità quanto quello di socialità e pertanto lo sviluppo umano avveniva naturalmente verso uno stato di società, l’unico in cui si sviluppava l’incivilimento, illuministicamente inteso come un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico e politico. In questo scritto Romagnosi affrontò anche il tema della libertà di coscienza e della libertà religiosa, definendo laicamente il rapporto fra religione e politica.
Nel 1821, in seguito al fallimento dei moti carbonari di Napoli e di Torino e all’arresto a Milano di Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e Federico Confalonieri, Romagnosi venne accusato su base indiziaria, a partire da alcune confessioni dello stesso Pellico, di essere stato a conoscenza della congiura carbonara dei Federati e di non averla denunciata alle autorità. Incarcerato a Venezia, nell’isola di S. Michele, tra il giugno e il dicembre del 1821, subì il sequestro dei propri manoscritti e fu interrogato a lungo dal giudice Antonio Salvotti al quale tenne testa con consumata esperienza di giurista. Assolto dall’accusa di mancata denuncia della congiura, alla fine di un processo conclusosi il 10 dicembre 1821, fu tuttavia sospeso definitivamente dall’insegnamento, anche privato.
Nel 1825 uscirono le Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica, testo elaborato per le lezioni che avrebbe dovuto tenere all’Università di Corfù su invito del governo britannico, ma che non tenne mai a causa del divieto di espatrio impostogli dalle autorità austriache. In quel periodo lavorò anche alla terza edizione della Genesi del diritto penale (Milano 1823-1824).
Si apriva così l’ultima, operosissima, fase della vita di Romagnosi, che spostò ormai decisamente i suoi interessi dal diritto all’economia, alla scienza politica e alla filosofia. Nel 1824 fondò con Pietro Custodi e Melchiorre Gioia gli Annali universali di statistica, pubblicati dall’editore Lampato di Milano, la cui direzione assunse dal 1827 proseguendo la sua riflessione sull’incivilimento e sulla filosofia civile sulle pagine del periodico, dove dedicò particolare attenzione all’economia politica, trasmettendo così alla cultura dell’Ottocento la migliore eredità dei lumi.
Il frutto più maturo del suo pensiero fu sicuramente il libro Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento con esempio del suo risorgimento in Italia (Milano 1832), che raccoglieva e rielaborava gli scritti in parte già usciti fra il 1829 e il 1832 sugli Annali universali di statistica.
In questo lavoro Romagnosi si pose il problema di quale fosse il motore del progresso umano nella storia. La sua tesi era che la società umana stessa fosse l’organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Sulla scorta di una rilettura critica di Vico lo sviluppo civile veniva scandito in quattro periodi: l’epoca del senso e dell’istinto, l’epoca della fantasia e delle passioni, l’epoca della ragione e dell’interesse personale, l’epoca della previdenza e della socialità. Solo nell’ultima epoca le principali funzioni sociali erano state trasferite agli organi pubblici rappresentativi, garantiti dal consenso dei cittadini. Il punto d’arrivo della civiltà era quindi una configurazione sociale in cui prevalevano la proprietà e il sapere. In polemica con Sismondi e con i sansimoniani Romagnosi difendeva la libera concorrenza come fattore di progresso e attribuiva il pauperismo a difetti di legislazione. L’incivilimento, che non era un processo lineare, appariva così come «una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla». Il motore di tale macchina era il commercio, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale. A determinare l’incivilimento concorrevano dunque il clima, il territorio, l’economia e la politica, ma era solo quest’ultima a costruire quel «sistema artificiale della socialità», capace di comporre beni, forza e opinione, base per raggiungere l’obiettivo del «massimo di bene ottenibile col minimo di male inevitabile».
Costretto a vivere di una modesta pensione, malato, perseguitato, sempre più spesso, negli ultimi anni della sua vita, Romagnosi si rifugiò nella villa dell’amico Luigi Azimonti a Carate Brianza.
Morì a Milano, celibe e senza figli, l’8 giugno 1835, assistito da Cattaneo, al quale consegnò il suo testamento e affidò i manoscritti inediti.
Fu sepolto nella cappella dei conti Cusani Confalonieri del cimitero di Carate Brianza.