Nasceva oggi, nel 1857, William Howard Taft, unico americano a essere stato Presidente degli Stati Uniti e Chief Justice (Presidente della Corte suprema). Il padre, Alphonso, fu Attorney General e trasmise al figlio una venerazione per la Costituzione e il rule of law, ripetendogli in più occasioni che non esisteva onore più grande che servire alla Corte suprema. Nel 1887, all’età di 29 anni, Taft fu nominato come giudice presso una corte statale dell’Ohio. Nel 1889 gli si palesò la prima occasione di essere nominato alla Corte suprema federale: nonostante la sua giovane età (32 anni), fu seriamente considerato per quel ruolo, sia pure senza successo. Il Presidente Harrison lo scelse comunque come Solicitor General (1890-1892), prima, e giudice d’appello per il sesto circuito, poi (1892-1900). Questi anni furono particolarmente felici per Taft: il suo lavoro di giudice lo appagava e a esso egli affiancò un ruolo accademico, come professore di property law presso la sua alma mater (Cincinnati Law School) e di diritto internazionale a Yale (Taft è considerato uno dei padri nobili dell’arbitrato).
Nel 1900, il Presidente McKinley convocò Taft: quest’ultimo sperava di essere nominato alla Corte suprema, ma il Presidente gli offrì l’incarico di organizzare un sistema di governo per le Isole Filippine, da poco entrate nella sfera di influenza americana. Taft accettò con riluttanza, ma finì per apprezzare anche questa sfida, sentendosi una sorta di moderno Solone e ricevendo affetto e stima dai filippini. Nel 1901 McKinley fu assassinato e a lui successe Theodore Roosevelt, che di Taft era molto amico: quando, nel 1902, si liberò un seggio alla Corte suprema, il nuovo Presidente lo offrì immediatamente a Taft, che però, ritenendo non ancora concluso il suo lavoro nelle Filippine, declinò a malincuore. Nel 1904, Roosevelt lo nominò Secretary of War e ne fece il suo pupillo: quando il primo scelse di non ricandidarsi, Taft fu la scelta naturale del Partito Repubblicano per la carica di Presidente.
Taft vinse facilmente le elezioni presidenziali del 1908. Benché considerato il delfino di Roosevelt, egli adottò presto un modello di governo assai diverso da quello del suo predecessore, cosa che finì per rovinare la loro amicizia e farli diventare avversari politici. Taft continuava a coltivare il suo rispetto incrollabile per la separazione dei poteri inscritta nella Costituzione e a considerare le Corti come baluardi della democrazia costituzionale: sicché, quando Roosevelt iniziò una feroce campagna di delegittimazione dei giudici, accusati di essere al servizio di obiettivi politici reazionari, il rapporto tra i due saltò. In vista delle elezioni presidenziali del 1912, Roosevelt tentò di ottenere la nomination come candidato repubblicano, e quando non riuscì a prevalere su Taft, fondò un proprio partito, chiamato dei “Progressisti” (o Bull Moose, dal simbolo). Le elezioni furono vinte dal democratico Woodrow Wilson, e il Presidente uscente finì terzo, dietro Roosevelt. Amareggiato, Taft tornò all’attività accademica, ma non abbandonò né il suo impegno politico (continuando a controllare il Partito Repubblicano), né il sogno di arrivare, un giorno, alla Corte suprema. Negli anni lontani da Washington, Taft divenne professore di diritto costituzionale a Yale e Presidente dell’ordine degli avvocati statunitense.

Nel corso del suo unico mandato, Taft nominò alla Corte suprema ben sei giudici su nove totali, incluso il Chief Justice Edward Douglass White. Quest’ultimo aveva 65 anni al momento della sua elevazione: secondo alcuni, Taft scelse un uomo più anziano di lui, e non il più giovane Charles Evans Hughes, perché sperava di poter diventare egli stesso, in futuro, Chief Justice. Nel 1920, il Partito Repubblicano riconquistò la Casa Bianca e, poco dopo, White morì. Taft avviò una campagna per assicurarsi la successione, riuscendo infine nel suo intento: fu nominato il 30 giugno 1921, confermato l’11 luglio successivo, e servì fino al 3 febbraio 1930, un mese appena prima della sua morte. Gli successe proprio Hughes, che guidò la Corte suprema nei turbolenti anni del New Deal (vedi il #giornopergiorno del 22 luglio).
Taft è unanimemente considerato come uno dei più grandi Chief Justice della storia americana, probabilmente secondo solo a John Marshall: il suo più importante successo fu ottenere l’approvazione del Judge’s Bill (1925), che sollevò i giudici della Corte suprema dall’obbligo di pronunciarsi su qualsiasi appello proposto. L’introduzione di una giurisdizione “discrezionale” è stata essenziale per consolidare il prestigio della Corte suprema, chiamata a pronunciarsi solo in pochi e nei più complessi casi.
Taft è oggi ai più noto come il presidente più grasso della storia degli Stati Uniti, al punto che si diffuse la storia (falsa) che lo voleva rimasto intrappolato nella vasca da bagno della Casa Bianca. Un’altra storia, che lo stesso Taft era solito raccontare con sicura autoironia, è la seguente. Grande amante del baseball, Taft usava comprare, quando si recava allo stadio, due biglietti, così da poter sedere comodo e non mettere nessuno in imbarazzo; un giorno, consegnati i biglietti al ragazzo all’ingresso, questi, in visibile imbarazzo, commentò: «questi sono due biglietti, signore…»; «lo so, ragazzo, come vedi ne ho bisogno»; «capisco… il problema è che questi due posti sono in punti opposti dello stadio». Secondo le più recenti ricostruzioni, Taft soffriva probabilmente di un disturbo alimentare che lo portava a mangiare molto più del necessario nei periodi di grande stress o infelicità: così, durante gli anni della Presidenza, arrivò a pesare 160 kg; terminato il suo mandato, e durante i più soddisfacenti anni alla Corte suprema, perse ben 50 kg.
Si racconta che, un giorno, Felix Frankfurter chiese a Justice Brandeis come mai Taft fosse stato, da una parte, un insoddisfacente Presidente, e, dall’altra, un eccellente Chief Justice; Brandeis rispose: «perché Taft odiava essere presidente, mentre amava essere Chief Justice». Benché il giudizio dei due fosse influenzato dalla loro visione politica progressista, pochi dubbi possono esserci sul fatto che Taft ebbe più fortuna e maggiore successo come Chief Justice di quanto non ne ebbe come Presidente. E di questo, a tutt’oggi, esiste prova tangibile: il magnifico Palazzo della Corte suprema a Washington, che Taft volle come monumento perenne alla dignità dell’ordine giudiziario e la cui costruzione il Congresso decise di finanziare, dopo anni di opposizione, proprio come omaggio all’unico americano ad aver raggiunto il vertice tanto del potere esecutivo, quanto di quello giudiziario.