Peculato, s.m.
La parola di oggi, peculato, vogliamo presentarvela scomodando una delle penne più abili e ingegnose che abbiano toccato la Terra dei vivi.
Scomodiamo Luigi Pirandello che in Sole e Ombra, Novella stampata per la prima volta nel 1896, riporta l’Io narrante di Ciunna nella durezza di una vita di sacrifici, interrotti da un unico reato compiuto per cercare di sollevare le sorti della famiglia:
Zitto zitto, duemila e settecento lire. Duemila e settecento lire sottratte alla cassa del magazzino generale dei tabacchi. Dunque reo… ssss… di peculato.
Autoconfesso reo in un monologo con un gendarme immaginario, l’ex Garibaldino troverà ammenda in un epilogo dove c’è poco spazio per l’escatologia, consapevole che le colpe di questo tipo, per uno come lui, possano scontarsi solo lasciando andare la vita, per tenersi stretto l’ultimo barlume di onore, mentre i cavalli stanchi trascinavano con pena la carrozza nera per lo stradone polveroso, bianco di luna.
Peculato o malversazione: reato e colpa anticamente punito con una vasta gamma di pene, a scelta tra deportazione su un’isola, lavori forzati in miniera, pena di morte oppure, in tempi più recenti, con la confisca dei beni e l’interdizione dai pubblici uffici.
Ribadito il peso giuridico, non ci resta che capirne l’origine etimologica.
Il termine ci riporta ad un altro, bellissimo, reato già indagato in questa sede: l’abigeato. I due sono legati, oltre che dall’essere squisiti latinismi tutt’oggi gelosamente conservati nel linguaggio tecnico giuridico, dall’essere testimoni della tutela dei beni più preziosi che avevano i nostri antenati: il bestiame.
Peculato deriva dal latino PECULATUS, a sua volta derivato di PECULOR, “amministrare in malo modo, rubare allo stato”. Il termine contiene la radice di PECULIUM, “patrimonio”, che ci è data nientemeno che da PECUS, “bestiame, pecora”. Ancor prima che fosse introdotta la moneta come convenzione e mezzo di scambio, gli animali erano la fonte di ricchezza più alta per gli antichi, e qualsiasi reato compiuto per sottrarli al legittimo proprietario era, chiaramente, tra le azioni più gravi che si potessero compiere.
Per scavare un po’ più a fondo verso le radici ancor più antiche del latino, scopriamo come PECUS derivi dal Proto Indo Europeo *pek-u, appunto “bestiame”; il termine lungo il percorso storico e le mutazioni geolinguistiche ha dato i natali a quel *fehu proto-germanico, che a sua volta è diventato feho nell’inglese antico. Suona familiare? È proprio il “feudo”, il bene mobile per eccellenza, o per dirla in termini più recenti e medio-inglesi, il fee, il pagamento in cambio di un servigio.
Insomma, il percorso dal soffice mantello delle pecore al duro metallo della PECUNIA, è stato parallelo e inevitabile.
La riconosciuta gravità del reato accompagnò il termine per tutta la sua storia. Se ne parlava già nelle Leggi delle XII tavole del 450 a. C., dove delitti come il peculato o il SACRILEGIUM erano puniti con la Interdìctio aqua et igni, l’allontanamento e l’esilio dal territorio romano.
Il Crimen Peculatus venne quindi accolto a braccia aperte in epoca Augustea nella Lex Iulia de peculàtu et de sacrilègiis, dove, ancora una volta, lo vediamo affiancato dal SACRILEGIUM: reati contro lo stato, all’erario, e contro le cose sacre uniti in un matrimonio sancito dalla gravità dell’azione compiuta.
Il restante percorso giuridico di questo reato è presto fatto.
Ancora oggi è moralmente una delle azioni più vili che minano la credibilità di uno Stato democratico – e ancora oggi, le cariche di rappresentanza non si esimono talvolta dal ricordarci come sia complicato rimanere ligi al proprio giuramento.
Ben lo sapeva Luigi Einaudi che in un intervento sulla Legge Tributaria apparso il 2 agosto di centouno anni fa sul Corriere della Sera, chiosò:
Molte operazioni materiali, di copia, di compilazione di ruoli, ecc., non occorre siano affidate ad impiegati di ruolo, i quali debbono far carriera e costano un occhio del capo. Non è una assurdità pagare 500 o 600 lire al mese ad un semplice amanuense, solo perché è anziano? Invece di sprecare i denari in così malo modo, si diano le 6000 lire al capo ufficio, coll’obbligo della resa dei conti. Saprà ben egli trovare una signorina, un giovanotto felici di ricevere 100 o 150 lire al mese, supponiamo anche 200, i quali faranno un lavoro ugualmente ben fatto. Il risparmio dovrebbe essere per una parte, un terzo od un quarto, restituito all’erario e per la parte maggiore, due terzi o tre quarti, dato in premio al capo ed ai suoi collaboratori.
Senza dubbio, ciò contrasta ad una massima fondamentale dell’amministrazione italiana: che è la sfiducia, la quale fa ritenere capaci di concussione e di peculato tutti i pubblici funzionari, dal direttore generale all’ultimo usciere. Massima pestifera, la quale non impedisce le concussioni e produce solo controlli innumerevoli ed ingombranti, attraverso a cui i ladri passano con facilità ed agli onesti vien tolta la capacità di agire. Ad essa bisogna sostituire un’altra massima: se un funzionario è disonesto o sospettato di ladrerie e di corruzione, lo si licenzi; ma si abbia fiducia in coloro i quali sono conservati in ufficio.
Fiducia nei rappresentanti dello Stato e nella loro condotta; gestione delle paghe dei dipendenti pubblici. La storia a volte è così ciclica che quasi potrebbe sembrare di non muoversi affatto.
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Bibliografia
Peculato, in GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana, UTET (http://www.gdli.it/pdf_viewer/Scripts/pdf.js/web/viewer.asp?file=/PDF/GDLI12/GDLI_12_ocr_916.pdf&parola=peculato).
*Pek-u, in DIACL (https://diacl.ht.lu.se/Lexeme/Details/55696).
Einaudi, Luigi, Il buongoverno: Saggi di economia e politica (1897-1954), Roma-Bari, Laterza, 2012.
Crimen Peculatus, in Dizionario Storico-Giuridico Romano, edizioni Simone.
Savelli, Marco Antonio, Pratica uniuersale del Dottor Marc’Antonio Sauelli, Autore della Rota Criminale di Firenze, Parma, Eredi di Paolo Monti, 1733.
Compendio degli elementi del dritto criminale di Filippo Maria Renazzi, Volume 2, Napoli, Pe’ tipi di Nunzio Pasca, 1835.
Pirandello, Luigi, Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, Prefazione di Giovanni Macchia, I Meridiani 2 volumi, Arnoldo Mondadori, Milano 1987.