La morte del Re non è cosa da poco. Vittorio Emanuele II è stato l’unico “capo di stato” italiano a morire in carica e sul trono, a Roma al Quirinale. Accorsero al capezzale del Re morente tutti i dignitari di corte, i figli, i principali ministri. Raccontiamo gli ultimi giorni e le fatidiche ultime ore del Re grazie ai quotidiani commossi dell’epoca.
Tra poche settimane assisteremo curiosi alle votazioni in parlamento per il nuovo Presidente della Repubblica. Si tratta del momento più solenne della vita repubblicana. Accade (vuole la regola) ogni sette anni. Negli ultimi venticinque anni ci sono state quattro elezioni, e non manca ora molto per conoscere il nome del nuovo Presidente.
Se ci astraiamo dal presente, possiamo osservare in quel palazzo muoversi tutti i precedenti presidenti, ma anche i papi, e poi i Re che hanno regnato su Roma e l’Italia.
E fu proprio in quel palazzo che si consumò il primo grande lutto nazionale del nostro paese: la morte di Vittorio Emanuele II il 9 gennaio del 1878.
La morte del Re è un evento assai raro. L’Italia ha visto solo due Re morire regnanti, e solo uno morire al Quirinale (l’altro, Umberto, morì assassinato alla Villa Reale di Monza nel 1900).
Vittorio Emanuele II non è solo il primo Re d’Italia, è anche l’unico capo di stato del nostro Paese morto regnando e possiamo dire sul trono, a Roma, al Quirinale.
È quindi con lo spirito di chi ama la storia che vogliamo oggi raccontarvi le ultime tragiche ore del “Re Galantuomo”, dopo averne diffusamente letto sulla stampa dell’epoca che commossa raccontava quei momenti fatali.
Anzitutto, il Re aveva 58 anni e godeva apparentemente di ottima salute. Le prime avvisaglie di un malessere si ebbero a dicembre, verso la fine dell’anno 1877, dopo una battuta di caccia nelle campagne laziali. Per alcuni polmonite, per altri addirittura malaria.
“Quando è arrivato a Torino il 29 dicembre, il Re era già indisposto. Durante il viaggio Sua Maestà, che per abitudine non portava lana sotto gli abiti, avvezzo com’era fino dall’infanzia alle rigidezze del clima alpino, sentì un freddo insolito; tanto che i mantelli e le coperte da viaggio non gli bastarono a scaldarsi.
Per abitudine, il Re, nei suoi viaggi, mangiava nella carrozza, e questa volta non volle prendere nulla. Il male si manifestava con sintomi chiarissimi, ma il Re non se ne diede per inteso“.
Giunto poi a Roma, il Re ricevette il presidente del Consiglio, Depretis, che gli sottopose la firma di alcuni decreti. Il Re gli disse:
– Veda, Depretis, ho fatto accendere il fuoco nel caminetto, contrariamente alle mie abitudini, perché ho un gran freddo. Stanotte non sono stato punto bene.
– Bisogna curarsi, Maestà…
– Mi curo. Non vado a caccia. Del resto, di notte sto male; ma di giorno mi sento meglio.
Detto questo, il Re cominciò a firmare i decreti che mano a mano gli passava Depretis. Si fermò quando lesse un decreto che collocava in aspettativa, per motivi di salute, un impiegato di un qualche ministero.
Si rivolse a Depretis e disse:
– Anch’io avrei bisogno di un poco di aspettativa per motivi di salute.
– Maestà – gli rispose Deprestis turbato – per i Re i motivi di salute non sono motivi di aspettativa.
L’ultima firma di Vittorio Emanuele fu messa sotto il telegramma di condoglianze per la morte del generale La Marmora.
Corriere della Sera, 8 gennaio. La malattia del Re, – benché fortunatamente non offra sintomi molto gravi, – è per tutti causa di preoccupazione e di discorsi. In tutt’i crocchi essa è il primo soggetto della conversazione, e dappertutto è un chiedere di dispacci e bollettini.
Iersera, in una casa privata, abbiamo trovato un medico circondato da persone che con ansiosa premura lo tormentavano con una serie di domande sulla natura della malattia, sulle conseguenze, sull’esito finale, sulla cura e persino sui medici chiamati a consulto.
Ma non fu più possibile nascondere ancora quanto grave fosse la malattia del Re.
Bollettino medico, Gennaio 8, ore 6 pomeridiane. È più aumentato che stamattina il risalto della febbre nel processo morboso polmonare, mentre sarebbe quasi cessato il dolore pleuritico. Polsi sono irregolari.
Bollettino medico, Gennaio 9, ore 8 antimeridiane. La malattia di S.M. si è aggravata ancora nella notte; crebbe l’affanno del respiro e l’irregolarità dei polsi. Si osserva un principio di eruzione migliare.
Roma 9, ore 12 pom. La malattia è molto grave. L’augusto infermo è inquietissimo; rifiuta di stare ben coperto e di bere pozioni calde.
Comprende la gravità delle sue condizioni.
Al principe Umberto i medici non permisero di rimanere nella camera del padre che pochi momenti.
Il Papa ha mandato già due volte a domandare notizie al Quirinale. Di sua iniziativa ha ordinato che, se Vittorio Emanuele chiederà i sacramenti, gli sieno somministrati senza perturbarne menomamente la coscienza di Re.
Gravissime le preoccupazioni degli uomini politici.
Roma 9, ore 1.55. S. M. Il Re chiese i Sacramenti ed i medici aderirono.
I Sacramenti sono stati somministrati adesso a S.M. Il Vaticano non ha fatto nessuna difficoltà, né ha apposto nessuna condizione.
L’Augusto malato ricevette i conforti religiosi con animo saldissimo e fermo, nella doppia fede della Religione e della Patria.
La folla si accalca in piazza Quirinale reverente, afflitta ed ansiosissima.
Sono avvenute scene strazianti a Palazzo. Gli ufficiali piangono come pel padre in pericolo.
Malgrado sia cresciuta la gravità della malattia, i medici non disperano ancora.
Il Pungolo. Il compito penoso di proporre a Vittorio Emanuele i Sacramenti fu assunto dal commendatore Bruno.
Il prof. Bruno aveva già avuto tale penoso incarico un’altra volta, nel 1869, quando Vittorio Emanuele rischiò di morire a S. Rossore.
Quando il prof. Bruno si avvicinò al letto del Re, Vittorio Emanuele era seduto.
L’egregio scienziato non trovava parole per significargli la sua missione, finalmente rompendo ogni esitazione:
– Maestà, disse, debbo anche questa volta adempiere ad un doloroso compito. La malattia è grave se non gravissima… è prossima una eruzione di migliare… potrebbe prodursi una crisi… sarebbe bene che la Maestà Vostra adempisse ai doveri della religione.
Vittorio Emanuele non si mostrò punto spaventato a questo consiglio, che lo avvertiva della prossimità della morte, né si mosse dalla posizione in cui stava: aveva le mani chiuse, e faceva girare i pollici l’uno sull’altro come per distrarsi.
Guardò il prof. Bruno in volto, e seguitando nel gioco delle dita, rispose borbottando in piemontese.
– Bene, bene, faccio quello che volete, vengano pur subito.
All’una e mezzo soltanto ebbe luogo la mesta solenne cerimonia del Viatico, che fu amministrato al Re dal canonico Anzino, preside delle RR. Cappelle. Il Viatico entrò nell’appartamento del Re, seguito dal Principe Umberto e dalla Principessa Margherita, che, mesta e cogli occhi pieni di lagrime, si appoggiava al braccio della Marchesa di Montereno.
L’augusta donna procedeva vacillante; un momento essa si sentì venir meno, e sarebbe caduta a terra se la Marchesa di Montereno e un ufficiale d’ordinanza, che la precedeva d’accanto, non l’avessero sorretta.
Seguivano poi il Viatico tutto il personale della Casa Civile, e quello della Casa Militare, tanto del Re, quanto dei Principi.
Nella camera da letto del Re entrarono soltanto il Principe, la Principessa ed i primi dignitari di Corte, gli onorevoli Depretis, Crispi e Correnti. Tutti si posero in ginocchio intorno al letto dell’augusto moribondo con un cero acceso in mano.
Vittorio Emanuele era sempre seduto sul letto; pareva che egli avesse raccolto in quel momento tutte le sue forze per dare ancora una speranza a tutti gli astanti; pareva che non fosse neppure malato.
Finita la cerimonia del Viatico, il Principe e la Principessa si alzarono in piedi e si avvicinarono al letto del Re, e gli hanno detto parole di conforto, dopo di che sono usciti dalla camera.
La Principessa fu quasi subito colta da un attacco di convulsioni. Tutto il seguito sfilò avanti al letto del Re, come prescrive il cerimoniale.
S.M. Fissava in faccia e salutava col capo; egli salutò qualche ufficiale per nome.
Dopo mezz’ora circa sono sopraggiunti sintomi che accennavano ad una fine precipitata.
Roma 9, ore 2 pom. È stato chiamato per telegrafo da Napoli il dott. Cardarelli, mandandosi ordine alle Ferrovie che lo si faccia partire alle ore 4,50 pom. con speciale convoglio.
Continui ed insistenti telegrammi dalle Corti estere dimandano notizie con viva premura.
I ministri sono tutti al Quirinale.
Il pericolo è gravissimo.
Immantinente vennero avvertiti il Principe Umberto, il primo ajutante di campo di S.M. generale Medici, il Presidente del Consiglio che si trovava nel palazzo del Quirinale; essi si riunirono nella stanza attigua alla camera del Re.
Visto l’imminente pericolo il comm. Aghemo pregò il Principe di voler permettere che il Conte di Mirafiori potesse entrare nella camera del Re; Il Principe Umberto acconsentì ed il Conte di Mirafiori fu introdotto [il Conte di Mirafiori era Emanuele, figlio naturale del Re avuto dalla sig.ra Rosina, storica amante del sovrano. Era la prima volta che i due fratelli si incontravano, n.d.r.].
Il principe Umberto si precipitò nella stanza del padre e si pose in ginocchio ai piedi del letto, e accanto a lui s’inginocchiò il Conte di Mirafiori. Assistevano all’ultimo momento del Re anche i tre medici che stavano in piedi vicino al letto, il generale DeSonnaz, il generale Medici, il presidente del consiglio, il Comm. Correnti, il generale Mezzacapo, ministro della guerra, l’on. Mancini guardasigilli, il comm. Aghemo, il Conte Visone, il colonnello Guidotti, il tenente colonnello Carenzi, oltre ad altri ufficiali di servizi e quattro “garzoni di camera”, che erano i quattro domestici di fiducia di Vittorio Emanuele, pei quali esso avea grandissimo affetto.
Il Diritto. Le ultime parole dette da Vittorio Emanuele a suo figlio Umberto sono state: – Ti raccomando fortezza, amore alla patria ed alla libertà.
Tutti si inginocchiarono. L’on. Depretis più che in ginocchio era disteso a terra piangente.
Vittorio Emanuele, dopo di aver guardato un’altra volta in viso tutti gli astanti, mandò un leggero sospiro, chiuse a metà i suoi grandi occhi e morì seduto sul letto, e appoggiato sull’anca sinistra colla testa alquanto piegata.
Il professore Bruno si avvicinò allora al Re per accostare l’orecchio al suo cuore: l’esperimento durò un baleno; e rialzandosi disse, interrotto dal pianto, ma ad alta voce:
Il primo Re d’Italia è morto; pare che dorma, e che si riposi dopo un lungo e glorioso lavoro
Roma 9, ore 3 pom. Il Re è spirato in questo momento.
Piangete
Il Principe Umberto, sorretto dal professor Baccelli e dal generale De Sonnaz, venne condotto via a forza dalla stanza dell’augusto defunto: nell’uscire strinse quasi convulsamente la mano dell’on. Depretis.
L’Italie. Il Re riposa sul suo letto mortuario.
Il capezzale di questo letto, quasi un letto da campo, strettissimo, è guernito di una stoffa azzurra. Una coperta bianca è stesa sul suo corpo. Alla testiera del letto si nota un piccolo scudo di Savoja.
Un crocifisso è posto ai piedi del Re. Quattro ceri ardono ai quattro angoli del letto.
Il canonico Anzino recita le ultime preghiere. Con lui vegliano un ufficiale di ordinanza ed un maestro di cerimonie in uniforme, i quali sono cambiati ogni tre ore.
Il viso energico di Vittorio Emanuele è calmo e sereno. Colui che fu il primo Re d’Italia sembra che dorma, e dorme infatti l’ultimo suo sonno. La calma più profonda aleggia sulla sua fisionomia così schietta e marziale.
Appena morto il Re, per cura dei Ministri, vennero posti i suggelli a tutti i mobili racchiudenti carte.
Alle 7 p.m. si procederà all’imbalsamazione della salma reale che sarà fatta con un processo, il quale renderà sicura la sua conservazione per lunghissimo spazio di tempo.
Subito fu mandata in stampa la Gazzetta Ufficiale listata a lutto con l’annuncio della morte del Re e il proclama di Umberto che si rivolgeva per la prima volta agli italiani come nuovo Re.
Fonte: Onoranze funebri alla memoria del grande re Vittorio Emanuele II
Immagine: Emilio Magistretti, Il 9 gennaio 1878 a Milano. Annuncio della morte di Vittorio Emanuele II
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