Nei giorni 30 e 31 marzo 1944, a Salerno, nel corso del Consiglio nazionale del PCI Togliatti espose le misure necessarie a sbloccare la situazione politica, ferma sulla decisione di allearsi, anche solo momentaneamente, con la Corona pur di arrivare alla fine della guerra e riunificare il Paese. Nel giorno dell’anniversario proviamo a ricostruire cosa accadde.
Palmiro Togliatti, soprannominato inizialmente in modo ironico dai suoi avversari “Il migliore”, eccelleva in una qualità fondamentale per un politico: il pragmatismo. La sua storia è ricca di scelte difficili, sia per lui che per il suo partito, il PCI, ma dettate dal superamento di impasse di natura politico-istituzionale.
La prima dura decisione arrivò non appena fece rientro in Italia nel 1944 dall’Unione Sovietica, dove si era rifugiato, con lo pseudonimo Ercole Ercoli.
Facciamo un passo indietro. Il fascismo monarchico era caduto con la seduta del Gran Consiglio che il 25 luglio 1943 sfiduciò di fatto Benito Mussolini. Il Re nominò nuovo Capo del Governo Pietro Badoglio.
Questo nuovo Governo, che dopo pochi giorni abrogò tutti gli organi fascisti, era composto per lo più da militari ed altre figure esterne ai partiti. Poco dopo arrivò l’armistizio dell’8 settembre e, come noto, il Re fuggì a Brindisi.
In questa anomala situazione di una nazione divisa tra il nord, con la neonata della Repubblica Sociale Italiana, ed il sud, con la presenza degli Alleati, nasce il Comitato di Liberazione Nazionale, abbreviato in CNL, costituito dai risorti partiti antifascisti.
Il problema che quindi sottopose Togliatti al suo partito, ma che era lo stesso di tutti gli altri partiti dell’area antifascista, era se allearsi, anche solo momentaneamente, con la Corona pur di arrivare alla fine della guerra e riunificare il Paese. Scelta difficilissima, dal momento che l’avversità del Partito Comunista alla monarchia aveva profonde radici non solo ideologiche, non fosse altro per la accondiscendenza che i Savoia avevano assunto nei confronti del regime fascista a partire dalla marcia su Roma.
Come sbloccare quindi la situazione?
Prima di tutto, l’avversione alla Corona andava momentaneamente “congelata” in attesa di tempi migliori. In vista di ciò, giunse un patto politico secondo cui veniva assunto l’impegno collettivo di convocare subito dopo la fine della guerra un’Assemblea Nazionale Costituente.
Il nuovo governo che andava a formarsi doveva essere costituito e sostenuto da tutti i partiti di massa, da quelle formazioni politiche che durante il ventennio fascista furono costrette all’esilio ed alla clandestinità.
Tutto ciò fu illustrato ed approvato nel corso del Consiglio nazionale del PCI nei giorni 30 e 31 marzo 1944, avvenuto presso Salerno.
La svolta si concretizzò con la nascita del Governo Badoglio II, in seno al quale ricoprivano cariche ministeriali lo stesso Togliatti, oltre che a De Gasperi ed altri esponenti di spicco dei partiti antifascisti. Contemporaneamente avveniva il trasferimento da parte di Vittorio Emanuele III di tutti i poteri reali ad un luogotenente generale, identificato nel figlio Umberto, ritirandosi dalla vita pubblica ma senza una formale, almeno per ora, abdicazione.
In questo modo la lotta di Liberazione diventò di fatto un atto istituzionale.
Uno dei punti su cui gli storici si sono soffermati è se questo indirizzo espresso dal segretario del PCI fosse stato preso in autonomia o concordato con l’Unione Sovietica e Stalin in particolare, con cui aveva stretti rapporti.
Una risposta certa, quantomeno dal punto di vista storico, è impossibile da osare.
Vero è che, come abbiamo detto, Palmiro Togliatti brillava di pragmatismo politico ed era ben capace di adottare (anche contro l’orientamento maggioritario del suo partito) scelte difficili ed in controtendenza. Non va dimenticato che pochissimi anni dopo firmò l’amnistia in favore dei collaborazionisti con i tedeschi.
Quindi il superamento momentaneo delle avversità con Casa Savoia, finalizzato alla lotta contro il nazi-fascismo, poteva rientrare nel suo metodo.
Altra ipotesi, comunque non alternativa ma anzi parallela, vede l’Urss concorde con la svolta di Salerno per arrivare alla fine della guerra pur rimanendo, apparentemente, nelle retrovie.
Giorgio Bocca nella sua opera biografica su Palmiro Togliatti offre una risposta anch’essa non antitetica rispetto a quanto sopra: fu una scelta coerente con quanto già deciso durante il golpe spagnolo, quando i comunisti italiani si schierarono con il fronte popolare che combatteva contro l’esercito di Franco. Pertanto, non adottare la stessa posizione e strategia in Italia sarebbe stato illogico e contradditorio.
Sintetizza Bocca: “Questa è la svolta di Salerno: non l’invenzione miracolosa dell’agiografia togliattiana, ma l’applicazione all’Italia, nel bene e nel male, dell’antica linea comunista” (Palmiro Togliatti, Mondadori, ed. 1991).
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