Ci sono tanti delusi dietro la conferma di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. La gran parte di loro sono quei candidati che, più o meno ufficialmente, hanno aspirato alla sua successione. A far loro compagnia sono senza dubbio diversi leader politici che, mentre facevano a gara a intestarsi la soluzione di ieri, annunciavano già approfondite e pensose pause di riflessioni per razionalizzare ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. Tra questi delusi, possiamo immaginare, c’è però anche un illustre sconosciuto: l’uomo o la donna che ha stipulato il contratto di locazione, per un immobile al quartiere Parioli, avendo come futuro inquilino proprio Mattarella.
La domanda che viene da porsi è scontata: che ne sarà di quel contratto di locazione, ora che Mattarella prolungherà il proprio soggiorno romano nella più augusta residenza quirinalizia? Codice civile, giurisprudenza e dottrina alla mano, possiamo immaginare una serie di soluzioni.
La più semplice è che, in vista della possibile rielezione, Mattarella abbia chiesto e ottenuto l’inclusione di una condizione sospensiva o risolutiva. La condizione è, ai sensi dell’art. 1353 c.c., un avvenimento futuro e incerto, dal quale le parti fanno dipendere o la produzione degli effetti del negozio, cui la condizione (sospensiva) è apposta, o l’eliminazione degli effetti che il negozio ha già prodotto (condizione risolutiva). Dubbia sarebbe la qualificazione della condizione come causale o potestativa: nel primo caso, l’avveramento della condizione dipende dal caso o dalla volontà di terzi (ad esempio: se scoppierà una guerra); nel secondo caso, esso dipende dalla volontà di una delle parti (ad esempio: se andrò negli Stati Uniti). Come va considerata una elezione chiesta a furore di grandi elettori ma, in ultima istanza, legata all’accettazione del locatario? Probabilmente, una soluzione di equilibrio sarebbe quella di qualificare la condizione come mista, ossia come dipendente, in parte, dal caso o dalla volontà dei terzi e, in parte, dalla volontà di una delle parti.
Cosa potrebbe accadere, invece, nel caso in cui Mattarella non abbia chiesto l’apposizione, al regolamento contrattuale, di una condizione? Qui la situazione si complica. A livello di diritto positivo, infatti, manca un rimedio espresso. Potrebbe, però, farsi ricorso a una figura pretoria, invero dai confini piuttosto incerti, che viene dalla tradizione dottrinale e giurisprudenziale tedesca: la cosiddetta presupposizione. Questa, inizialmente definita come una condizione implicita e successivamente rifinita nella concezione della base negoziale, fa riferimento a circostanze di fatto o di diritto che le parti assumono come rilevanti ai fini della stipulazione del contratto, senza però farne espressa menzione nel regolamento pattizio.
Secondo un indirizzo consolidato nella giurisprudenza italiana, che la condicio facti o iuris rimasta inespressa sia stata determinante per la conclusione dell’affare deve risultare da una interpretazione secondo buona fede della volontà negoziale (Cass. sez. un. 20 aprile 2018, n. 9909). Sia pure en passant, è opportuno osservare che il rilievo della situazione rimasta solamente presupposta, ai fini della valutazione della tenuta del sinallagma contrattuale, più che evocare una questione di correttezza tra le parti, si riallaccia a considerazioni di tipo equitativo, ossia alla possibilità, per il giudice, di rimettere mano al contratto in nome della giustizia del caso concreto. Non sorprende, allora, che la questione della presupposizione abbia ricevuto una marcata attenzione nell’ordinamento tedesco, là dove la buona fede (§ 242 BGB) è sempre rimasta segnata da una commistione con l’aequitas di origine romanistica.
La presupposizione, quale perturbazione dell’equilibrio contrattuale, produce una sopravvenuta inutilità della prestazione: quest’ultima è ancora possibile, ma il creditore ha perso l’apprezzabile interesse a incamerarla. L’esempio più classico è quello che, nella giurisprudenza inglese, viene dal caso Krell v Henry [1903] 2 KB 740 (ma si vedano, in generale, i cosiddetti Coronation Cases). Il 26 giugno 1902 si sarebbe dovuta tenere l’incoronazione, con annessa parata celebrativa, di re Edoardo VII, successore della Regina Vittoria. Tuttavia, il 24 giugno, il Re fu vittima di un ascesso addominale che richiese un intervento medico, e l’incoronazione fu pertanto rinviata al 9 agosto di quell’anno. Si pose, allora, la questione del destino dei moltissimi contratti di locazione di balconi sulle vie di Londra interessate dalla parata. Nel caso Krell, la Corte adita estese il principio dell’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti (cosiddetta frustration of contract), che la giurisprudenza inglese aveva – sotto l’influenza di Domat e Pothier – riconosciuto in Taylor v Caldwell [1863] EWHC J1, anche alle sopravvenienze cosiddette qualitative (frustration of purpose). Non, dunque, un caso di force majeure (ne abbiamo parlato nel nostro articolo sul Law French), e da non confondere con un Act of God, ma comunque circostanze che sfuggono al controllo delle parti e che finiscono per vanificare il senso economico e funzionale del vincolo contrattuale.
L’argomento comparatistico offre un ulteriore spunto interessante. Nei Coronation Cases, infatti, le Corti inglesi hanno tracciato una distinzione importante, statuendo lo scioglimento dei soli contratti che fossero risultati del tutto privi di uno scopo alla luce della sopravvenienza, e conservando invece quelli che, anche solo parzialmente, potessero avere ancora una qualche utilità. Nel caso dell’appartamento di Mattarella, dunque, il rieletto Presidente, per ottenere la liberazione dal vincolo, potrebbe dover dimostrare di non poter riutilizzare in nessun modo ragionevolmente apprezzabile la prestazione in parola.
Come si è anticipato, la presupposizione non è una figura legislativamente disciplinata e ciò lascia aperta la questione del rimedio in concreto esperibile. Spulciando i repertori giurisprudenziali si trovano le più disparate soluzioni. Vi è chi ha ritenuto che il contratto divenga inefficace, ricalcando il modello del contratto condizionato o facendo riferimento alla nozione di causa in concreto. Con particolare riferimento ai contratti del settore del turismo, si è sviluppata una giurisprudenza che assimila, sul piano degli effetti giuridici, la sopravvenuta inutilità e la sopravvenuta impossibilità della prestazione: la prima, comportando il venir meno dell’interesse creditorio, dovrebbe determinare, al pari della seconda, l’estinzione del rapporto obbligatorio (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958).
Vi è chi ha affermato che si realizzi un’ipotesi di risoluzione per eccessiva onerosità del contratto ex art. 1467 c.c. (Cass. 5 maggio 2010, n. 10899): questa impostazione eleva lo strumento risolutorio a generale strumento di controllo delle sopravvenienze rispetto all’assetto di interessi tracciato dal contratto, mettendo però così in ombra la distinzione tra sopravvenienze quantitative (l’eccessiva onerosità) e sopravvenienze qualitative (la presupposizione).
Secondo un altro indirizzo, in presenza di un’alterazione della situazione di fatto presupposta, le parti avrebbero addirittura diritto di recedere dal contratto: Cass. 13 ottobre 2016, n. 20620 ha per l’appunto statuito che il venire meno della “condizione” presupposta possa legittimare il recesso ante tempus da un contratto di locazione.
Insomma, come agevolmente si comprende, la presupposizione, trattandosi di istituto di fonte giurisprudenziale, è rimasta esposta al mutare degli indirizzi e non ha ancora ricevuto una sistemazione definitiva, al punto che autorevolissima dottrina l’ha descritta, in modo forse eccessivamente severo, quale «formula magica alla quale il giudice rimette problemi che non intenda o non sia in grado di governare attraverso le ordinarie tecniche di applicazione e integrazione delle discipline legali» (Belfiore, La presupposizione, Tratt. Bessone, 2003, p. 117).
Chissà cosa ne penserebbe un giudice chiamato a decidere del destino del contratto di locazione sottoscritto dal signor Sergio Mattarella, nato a Palermo il 23 luglio 1941 e rieletto Presidente della Repubblica il 29 gennaio 2022…
