… Venticinque, Sessanta e Trentotto! Erano i numeri che alcuni pappagalli colorati avevano dato in sogno a Carosone per giocarli al lotto e che Carosone aveva poi cantato nella celeberrima canzone del 1955.
Ma la storia del lotto è molto più antica, e di sicuro risale almeno al ‘400. Si scommetteva su qualsiasi cosa, su qualsiasi evento. Persino sulle carestie o sull’arrivo della peste e la vittoria delle battaglie degli eserciti (e la mente corre rapidissima a immaginare soldati che puntavano contro se stessi, mollando le armi, dandosi disordinatamente alla fuga, per incassare il danaro della scommessa). A Genova nel ‘500 si estraevano a sorte i cinque membri dei Serenissimi Collegi estraendoli a sorte da 120 nobili genovesi. E i genovesi puntavano, scommettendo su chi sarebbero stati gli eletti. Da 120 poi si passò a 90, e col tempo ai nomi furono sostituiti i numeri.
Può dunque considerarsi Genova la culla del gioco del lotto – e non Napoli, come qualcuno, me compreso prima di leggere https://it.wikipedia.org/wiki/Lotto#Storia , avrebbe pensato. Non deve quindi stupire che il protagonista di questa vecchissima vicenda che vado a raccontarvi sia un genovese. Un genovese peraltro con un nome prussiano: Rizmann.
Augusto Rizmann aveva vent’anni, ma una passione per il gioco già spiccata. Tanto da non sapersi limitare al semplice tentar la fortuna, ma di voler proprio vincere! E d’altronde come biasimarlo, chi non vorrebbe fare un terno al lotto? Ma dato che la sorte non baciava la sua fronte, Augusto Rizmann decise una volta di andarsela a prendere con la forza. Prese la sua bolletta del lotto, cancellò con reagenti chimici i numeri che aveva inutilmente giocato, e trascrisse al loro posto altri numeri, quelli estratti. E così con quella schedina visibilmente alterata si presentò al collettore di zona per riscuotere la vincita. Centoventimila lire: tantissimi soldi nel 1895.
Fu subito scoperto Rizmann, denunciato e condannato per reato di falso. Si era difeso sostenendo che quella sua idea non avrebbe mai potuto comportare danno allo stato, visto che la matrice della giocata non corrispondeva a quella vincente. Ma non aveva convinto nessuno: accettare questa tesi per i giudici avrebbe significato ammettere a chiunque di poter alterare le schedine di gioco, “quasiché si trattasse di un lecito passatempo, o di un esercizio calligrafico od artistico“.
Chissà se poi nella sua vita Augusto Rizmann avràmai vinto qualcosa o se avràsfruttato la sua abilità di chimico in attività lecite, o se si sarà dedicato ad altre fantasiose truffe. Questo la sentenza non lo dice, ma io vi invito comunque alla lettura.
Chiudo con un consiglio per gli acquisti: terno secco sulla Ruota di Genova: 42 (il lotto), 47 (la truffa) e 81 (l’artista, perché sì Augusto Rizmann era un artista).
“..Usciranno tutti e tre !”
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