9 Giugno 1991 – Il referendum per la preferenza unica
Il referendum abrogativo sull’abrogazione della preferenza plurima, prevista dalla legge elettorale della Camera (D.P.R. n.361/1957), venne votato il 9 giugno 1991 e diede voce ad un’importante istanza di cambiamento politico e sociale che si ebbe in Italia subito dopo il crollo del Muro di Berlino.
La cruenta guerra intestina contro la mafia corleonese, la caduta, assieme al Muro, di decennali meccanismi di convenzioni costituzionali (tra cui la notissima conventio ed excludendum nei confronti del PCI) e le prime avvisaglie della futura Tangentopoli portarono l’opinione pubblica ad utilizzare l’istituto del referendum abrogativo come valvola di sfogo e come momento di proposta politica riformatrice.
La battaglia referendaria del 1991 si pose l’obiettivo di abbattere tramite l’abrogazione normativa uno dei piloni dello storico sistema partitico, lanciando, quindi, un primo ma significativo grido: la legge elettorale proporzionale per il Parlamento.
L’iniziativa venne presa, principalmente, da una personalità che avrebbe giocato un ruolo chiave nella “transizione” (in senso a-tecnico e come passato agli annali tramite la stampa) tra la cd. Prima e la Seconda Repubblica: Mariotto “Mario” Segni. Figlio dell’ex Presidente della Repubblica, Antonio Segni, è un accademico e giurista che arrivò nel 1991 all’iniziativa referendaria dopo un lungo percorso di riflessione iniziato nel 1988 con il cd. Manifesto dei 31, un documento programmatico firmato da importanti figure proveniente dal mondo dell’imprenditoria e della scienza: l’obiettivo dichiarato fu quello di promuovere l’instaurazione di un sistema elettorale maggioritario su due turni sulla falsariga del modello della V Repubblica francese. L’iniziativa di Segni confluì inizialmente in un’iniziativa legislativa popolare per la riforma elettorale, ma si trasformò rapidamente, visto anche il sostegno di Marco Pannella e dei Radicali Italiani, in un’azione referendaria che raccolse ben 600.000 firme nel 1991.
Il Comitato promotore, guidato da Segni e con il decisivo contributo giuridico dato dal costituzionalista Augusto Barbera (endorsement anche da altri illustri giuristi come Paolo Barile, Massimo Severo Giannini e Pietro Scoppola), formulò tre quesiti per il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale e l’intento dei promotori, ricostruito poi dalla stessa Consulta nella decisione sull’ammissibilità, fu quello di colpire alcuni settori nevralgici della legislazione elettorale italiana per poter aprire le porte ad una graduale introduzione di un sistema maggioritario. Il primo riguardò il sistema elettorale per il Senato, dove si chiese l’abrogazione della soglia del 65% dei voti da raggiungere per raggiungere l’elezione nel collegio uninominale; con l’abrogazione della soglia si sarebbe esteso automaticamente l’effetto maggioritario in prevalenza sui meccanismi di elezione del Senato, lasciando così una sola quota residua di seggi da attribuire con metodo proporzionale. Il secondo quesito ebbe ad oggetto l’abrogazione delle preferenze plurime nell’ambito della lista votata per la Camera (fino a tre preferenze esprimibili) per una normativa di risulta contenente la possibilità di esprimere la preferenza unica. Il terzo si diresse verso il sistema di elezione dei Comuni con popolazione maggiore dei 5.000 abitanti e l’obiettivo dei promotori fu quello di estendere il sistema elettorale maggioritario, previsto per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, a quello per i Comuni con una soglia maggiore di abitanti: oggetto di abrogazione furono le disposizioni rivolte ai Comuni maggiori che differenziavano le due modalità di elezione.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 47 del 1991 diede il via libera solamente al secondo quesito sulla riduzione delle preferenze alla Camera, mentre gli altri due non superarono il vaglio di ammissibilità. La pronuncia rimase storica, in quanto per la prima volta la Consulta affermò la possibilità di poter sottoporre leggi elettorali al vaglio del referendum abrogativo: la Corte ebbe modo di chiarire come condizione necessaria per l’abrogazione di normativa elettorale fosse la permanenza di una legge auto-applicativa, vale a dire la permanenza in vigore dopo l’abrogazione di un sistema elettorale perfettamente funzionante e capace di garantire l’eleggibilità e quindi il funzionamento dell’organo costituzionale in questione. Ciò in quanto la legge elettorale è una legge “costituzionalmente necessaria”, ossia leggi che devono necessariamente esistere affinché l’ordinamento possa ritenersi funzionante.
Le votazioni del 9 giugno 1991 riportarono una clamorosa vittoria dei SI con il 95,57% dei voti validi con il quorum strutturale ottenuto con l’affluenza del 65% degli aventi diritto al voto. La tornata referendaria venne ampiamente osteggiata in particolar modo dal Psi e dalla Lega Nord, la Dc rimase su posizioni criptiche con casi di illustri esponenti schieratosi contro (come Antonio Gava e Ciriaco De Mita, mentre il neonato Pds si schierò a supporto dell’iniziativa. Passati alla storia i noti appelli a tema “Andate al mare!”, attribuiti in particolare a Craxi e Bossi).
Infine, il referendum sancì oltre al singolo ma altamente significativo risultato abrogativo, anche un primo netto distacco degli elettori da molti dei protagonisti del sistema partitico e segnò un apripista importante verso un periodo istituzionale decisivo della Storia repubblicana italiana.