3 Luglio 1849 – La fine della Repubblica Romana
Nel ’48 della primavera che da Parigi travolge l’Europa, del Manifesto Comunista pubblicato a Londra, delle Cinque Giornate, del tricolore con la trinacria. Nell’anno dei Napoletani e dei Veneziani che insorgono, di Carlo Alberto che dichiara guerra all’Austria, non ci si sarebbe aspettati che l’esperienza rivoluzionaria più significativa, la cui eredità fu determinante per l’Italia che si sarebbe fatta di lì a breve, avesse luogo proprio a Roma, dove il potere temporale si mescolava ancora a quello religioso, e il popolo, doppiamente suddito, era avvezzo all’obbedienza.
Quando Pio IX, il Papa pacioccone, inizialmente favorevole all’indipendenza e amato dai democratici, voltò le spalle al progetto italiano per paura di inimicarsi gli alleati cattolici europei, il malcontento esplose tra il popolo romano e trovò il suo capro espiatorio nel primo ministro Pellegrino Rossi, che venne ferito a morte una mattina mentre tentava di raggiungere il Palazzo della Cancelleria. Pio IX, spaventato dalla piega che gli eventi prendevano a Roma, fuggì dalla città al riparo di un cappello a falda larga e di un paio di occhialoni scuri, per rifugiarsi a Gaeta, ospite dei Borbone.
“Roma repubblica, vieni”: il telegramma che Goffredo Mameli inviò a Giuseppe Mazzini, che abbandonò il suo nascondiglio toscano per spendersi nella sua prima – e unica – esperienza governativa, assieme ai triumviri Carlo Armellini e Aurelio Saffi. Roma, fallito ogni tentativo di conciliazione con il Papa, aveva dichiarato il papato decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato romano, e si era proclamata repubblica, il 9 febbraio 1849.
L’intraprendenza romana destò l’ammirazione dei patrioti di tutta Italia e l’ira dei monarchi e dei cattolici. Il cardinale Antonelli, segretario di stato di Pio IX e tra i più intransigenti esponenti del fronte anti-indipendentista ecclesiastico, si appellò alle cattoliche Austria, Francia, Spagna e al Regno delle due Sicilie, invitandoli a intervenire in favore del Papa contro quella fazione di tristi. Sia Antonelli, sia il Papa si riferivano ai repubblicani come a una fazione, pur di non concedere dignità politica all’esperimento repubblicano. Allo stesso modo la Francia, che fu decisiva per le sorti della Repubblica Romana, non ritenne necessario dichiararle guerra, come si suole fare con gli Stati nemici, ma procedette ad attaccarla senza troppi convenevoli.
Il 29 aprile 1849, 7000 francesi entrarono dunque a Roma guidati dal generale Oudinot. Furono accolti da cori della Marsigliese e da una scritta sul muro dell’Acqua Paola: “(l)a Francia rispetta le sovranità straniere, e mai le sue forze non saranno volte contro le libertà dei popoli”. Era l’art. 5 della Costituzione francese: un ultimo tentativo dei repubblicani di distogliere i francesi dai loro propositi. Che fallì.
Da parte sua, l’esercito della Repubblica Romana era piuttosto colorito. Riuniva uomini, ragazzini, persino donne, dagli abiti e gli accenti diversi, alcuni parlavano anche lingue straniere. Erano guidati da una delle celebrità della Repubblica, l’eroe dei due mondi, Garibaldi. Brandivano il tricolore caro ai patrioti, con su la sigla della Repubblica: R.R., e il mazziniano motto Dio e popolo.
Dopo l’inaspettata vittoria di Garibaldi al primo scontro, il 30 aprile, i Francesi fatti prigionieri vennero trattati dai repubblicani come compagni, fratelli repubblicani ingannati dai preti, e furono infine liberati. Questo destabilizzò l’opinione pubblica francese, in particolare le sinistre, che richiesero il ritiro degli uomini dall’Italia. Il presidente Luigi Bonaparte, impegnato nella campagna elettorale, condusse da questo momento in poi un doppio gioco per non inimicarsi né le destre, né le sinistre, intavolando delle trattative diplomatiche farlocche, condotte da de Lesseps, e al contempo continuando a inviare risorse a Oudinot perché concludesse quello che aveva incominciato.
Fu quest’ultima linea che infine prevalse. La Repubblica Romana dovette arrendersi ai Francesi, ma contrapponendo fino all’ultimo al loro avanzare una fierezza testarda, in un grottesco gioco di contrasti. Il 29 giugno, festa di Roma, i Francesi aprivano una breccia a Porta San Pancrazio; a piazza San Pietro, illuminata a festa, si celebravano i patroni Paolo e Pietro. Il 3 luglio, mentre Oudinot sfilava trionfante nella città, Galletti, il presidente dell’Assemblea Costituente, dal balcone del Palazzo Senatorio annunciava l’adozione della Costituzione della Repubblica Romana, una carta senza precedenti per democraticità e laicità, che rimase in vigore dal 3 al 4 luglio 1849.