Il diritto di voto alle donne arrivò soltanto nel 1945, e fu necessario il decreto n. 74 del 10 marzo 1946 per sancire in modo chiaro la possibilità dell’elettorato politico per le cittadine italiane. Eppure, a livello locale ci furono delle eccezioni: vi raccontiamo una di queste, era il 1906.
Le cittadine italiane acquisirono pieni diritti politici solo nella metà del Novecento: eppure, casi di elettorato passivo e attivo concessi al gentil sesso si registravano già in età pre-unitaria, a livello locale (qui un approfondimento sul voto). Ad esempio, in regioni come Lombardia, Toscana e Veneto, le donne benestanti e possidenti potevano partecipare alle elezioni locali, e in alcuni comuni addirittura essere elette.
Il Regno d’Italia fece una prima mossa concreta con la legge n. 6972 del 17 luglio 1890, che conferiva alle donne la possibilità di votare e di essere votate nei consigli di amministrazione delle istituzioni di beneficenza. Tre anni dopo, la legge n. 295 del 16 giugno 1893 ammetteva le donne al voto nei collegi di probiviri volti a risolvere i conflitti di lavoro. La legge n. 121 del 20 marzo 1910 permetteva alle donne la partecipazione elettorale nelle Camere di Commercio e infine la legge 487 del 4 giugno 1911 affermava il diritto di partecipare alle elezioni di organi dell’istruzione elementare e popolare.
Se le tappe lungo l’iter legislativo furono raggiunte in modo lento e ostacolate da molte polemiche, la pratica in molti casi vinse sulla teoria: il 6 febbraio 1906, la Commissione elettorale comunale di Mantova ammetteva una cittadina.
Protagonista fu Beatrice Sacchi, figlia di un medico, dott. Achille Sacchi, che aveva combattuto nella rivoluzione lombarda del 1848 ed era stato amico di Garibaldi, e sorella dello scienziato ed esploratore Maurizio Sacchi.
Assieme alla sorella Ada, fu femminista tenace e sempre impegnata nella lotta per i diritti delle donne. Laureata in matematica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, scrisse moltissimo: pubblicò per L’Avanti, l’Unione femminile nazionale, Vita femminile italiana, La Vita, Il giornale per la donna e L’Alleanza. Proprio nel 1906 si iscrisse nelle liste elettorali del comune di Mantova .
Le fu possibile sfruttando la propria intelligenza e le solite lacune della legge. Mentre infatti l’art. 22 b della legge comunale e provinciale 4 maggio 1898 n. 164 dichiarava espressamente che le donne non potessero essere né elettori né eleggibili, nei corrispondenti artt. 1, 97 e 93 della precedente legge elettorale politica 28 marzo 1895 n. 83 non si faceva alcun cenno alle donne, né per l’ammissione né per l’esclusione.
Una commissione formata da tre avvocati, un professore e un negoziante, fu chiamata a deliberare sulla validità della candidatura. Nella cronaca si legge che:
nel silenzio della vigente legge elettorale politica non si abbiano a ritenere escluse le donne dal diritto di inscrizione fra gli elettori politici
Questo, nonostante fosse stato preso in considerazione anche il discorso fatto dal’on. Crispi nella tornata del 12 luglio 1888, colle considerazioni del quale persuase la Camera a non accettare la proposta di dare alla donna l’elettorato amministrativo. La Commissione ammise poi che la legge elettorale in questione citava l’art. 40 dello Statuto fondamentale del Regno, il quale non enunciava espressamente che la donna fosse esclusa dall’elettorato passivo (in questo caso entro il Parlamento), perciò neppure la legge su base locale poteva essere interpretata nel senso di esclusione.
L’evento animò il dibattito sui diritti delle donne tra l’opinione pubblica, e nonostante le critiche diede enorme risalto alla lotta al suffragio femminile.
Beatrice Sacchi divenne poi membro del Comitato direttivo dell’Associazione per la donna e vicepresidente del Comitato Pro Voto, ma morì prima di poter veder realizzato il suo sogno. Ciononostante, la sua vicenda contribuì enormemente alla causa femminile in Italia, e noi la ricordiamo per questo suo tenace impegno.
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