La prima maturità si tenne nel 1924, con ritardi sul regolamento, critiche sui metodi e un dissidio tra il Ministero dell’Istruzione e quello delle Finanze…insomma, niente di così diverso da oggi!
Gli esami di maturità non sono solo una gran seccatura per gli studenti, ma anche per i ministeri. Se infatti gli adolescenti di tutta Italia attendono i fatidici mesi di giugno e luglio con timore, ansia o noia – a seconda dell’antico e consolidato modello di studente: secchione, disinteressato o caprone – i dipendenti del Ministero dell’Istruzione s’affannano sin dalla primavera. Visti i complessi meccanismi – burocratici più che disciplinari – e le necessità organizzative che portano alla produzione delle prove, ritardi e incongruenze sono sempre dietro l’angolo, così ogni anno giornalisti e opposizione soffiano sulle braci della polemica.
Di fatto, persino il primo esame di maturità ebbe delle criticità, e i giornali non mancarono di tuonare!
Correvano l’anno 1924, e i nuovi esami di stato rispecchiavano la rinnovata scuola pubblica del filosofo, e ministro dell’Istruzione, Giovanni Gentile. Da umanista nel solco del pensiero del neoidealismo, Gentile aveva costruito e messo in pratica nella sua riforma del 1923 l’idea di un’istruzione pubblica laica, dunque svincolata dal monopolio culturale che per secoli aveva stretto la Chiesa nel suo pugno dorato, e un programma disciplinare capace di formare la classe dirigente del Paese – amministratori pubblici, industriali, governanti. Il focus, per il filosofo, stava nella preparazione del singolo in molteplici discipline, in modo tale da formare la persona nella maniera più completa possibile (pur nei limiti del possibile) e permetterle di scegliere una professione che più poteva addirsi all’indole della stessa, producendo un professionista competente.
In proposito, Gentile trasse spunto e migliorò l’offerta didattica delle riforme precedenti, istituendo le seguenti scuole medie e secondarie:
• il ginnasio, che durava cinque anni e dava l’accesso al liceo classico, di tre anni;
• il liceo scientifico , della durata di 4 anni;
• l’istituto tecnico, articolato in un corso inferiore, quadriennale, seguito da corso superiore, quadriennale;
• l’istituto magistrale, articolato in un corso inferiore, quadriennale, e in un corso superiore, triennale;
• la scuola complementare di avviamento professionale, che durava tre anni.
Esisteva persino un liceo femminile, della durata di tre anni, che non prevedeva educazione fisica, matematica e scienze per le ragazze, ma venne sciolto nel 1928 a causa delle polemiche sull’effettiva validità e delle scarse iscrizioni.
La riforma giovò moltissimo alle famiglie: quelle più abbienti non erano più costrette a far studiare i propri figli negli istituti privati ecclesiastici o ad affidarsi a un tutore che potesse garantire ai piccoli allievi un alto livello d’istruzione (nonostante molti continuarono a farlo), mentre le più povere non dovevano pagare per dare la possibilità ai propri pargoli non solo di imparare a leggere, scrivere e far di conto, ma anche di apprendere un ventaglio più ampio di discipline. Inoltre, poiché l’età d’istruzione obbligatoria era stata innalzata ai 14 anni e alla licenza di terza media, gli studenti con minori possibilità economiche erano incoraggiati ad acquisire competenze sufficienti per accedere a professioni più proficue rispetto a quelle dei propri genitori.
Ma veniamo al succo: gli esami di stato introdotti dalla riforma.
La prima sessione d’esami ebbe luogo in luglio 1924, quella riparatrice in ottobre. La prima prova di maturità prevedeva quattro prove scritte ed esami orali su tutte le materie e su tutto il programma svolto negli anni della scuola media superiore. Una bella gatta da pelare per gli studenti: non a caso i promossi furono soltanto il 59,5% alla maturità classica e 54,9% alla maturità scientifica.
Se pensiamo poi che la commissione esaminatrice era costituita esclusivamente da docenti esterni, in gran parte professori universitari, e che gli esami si tenevano fuori sede (40 sedi su tutto il territorio nazionale per la maturità classica, 20 sedi per la maturità scientifica), possiamo ben comprendere i poveri studenti del tempo, lontani da casa e interrogati da studiosi di rango ben superiore ai maestri che li avevano accompagnati nel corso degli studi.
Come abbiamo accennato, persino nel primo anno di maturità ci furono problemi. Un articolo della Stampa pubblicato il 16 aprile 1924 scrive infatti che a poco più di due mesi di distanza dall’esame non era ancora stato pubblicato dal Ministero il Regolamento per gli esami di Stato, incluse le date precise delle prove e le sedi.
Dove, quando, come si daranno questi esami?
Per di più, il giornale cita un problema ben serio per le famiglie: devono mettere da parte il denaro necessario per pagare l’alloggio ai propri figli nella città più vicina designata per la prova.
Alla fine il Regolamento venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale pochi giorni più tardi, il 28 aprile, poi riaggiornato e ripubblicato i primi giorni di maggio. Fonti rivelano che il ritardo sarebbe dovuto a un dissidio tra il Ministero dell’Istruzione e quello delle Finanze circa i fondi da destinarsi alle giornate d’esame.
I giornali del tempo criticarono moltissimo il funzionamento dei nuovi esami: un altro articolo della Stampa, pubblicato il 16 agosto 1924, giudicava “improvvisato e grossolano” il funzionamento degli esami, con operazioni molto lente sia nello svolgimento delle prove – visto l’elevato numero di studenti in proporzione ai posti messi a disposizioni nelle sedi designate – sia nelle correzioni. Inoltre, viene criticato il fatto che a passare gli esami non furono gli alunni migliori bensì i fortunati, giacché risultava troppo difficile per un ragazzo medio essere messo alla prova dalla commissione di professori universitari.
Infine, viene contestato il metodo di giudizio: i singoli commissari attribuiscono un voto all’alunno caso per caso, materia per materia. Capita così che uno stesso studente possa avere 8 a matematica, 7 a italiano e 5 a latino. A questo punto è il presidente della commissione che decide, in base ai voti, di promuovere o meno il giovine, e questi sarà bocciato se possiede 5 a tre materie. Ai tempi si credeva fosse ingiusto per un ragazzo che eccelleva in talune materie – ad esempio quelle scientifiche – essere bocciato per un deficit in quelle umanistiche, e viceversa, giacché il solo raggiungimento di buoni voti in parte delle materie era per la mentalità del tempo segno di grande valore e impegno. Una disparità di trattamento a giudizio dei giornalisti, che si ritengono la voce delle famiglie e dell’opinione pubblica, auspicando che per l’anno successivo il Ministero dell’Istruzione avrebbe riformulato il procedimento d’esame.
L’eterno ritorno dell’uguale, non credete?
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