L’anno è il 1933 e siamo a Furci, “negli Abruzzi”. Come ci dicono i giudici della Cassazione, “ricorrendo una festa religiosa, si fece una processione che, stando per concludersi, fu turbata da un grave incidente”. Cosa sarà successo mai?
Si avvicina il tempo della Pasqua e con esso la Settimana Santa con tutta la sua costellazione di processioni.
Sarebbe inutile passarle rassegna tutte quante, ma limitiamoci segnalare l’elemento che hanno in comune: la grande partecipazione popolare. Dove si tengono, la vediamo dalle grandi città ai piccoli paesi. Anzi, spesso in quest’ultimi tutta la popolazione si riunisce per strada e la processione è un grande avvenimento, un grande evento, che si aspetta per mesi o per un anno. È un momento di giovalità e spettacolo in odore di santità.
Bisogna anche dire che quasi ogni parrocchia si mette in moto per fare la propria processione e spesso questa diventa in comuni molto piccoli l’unico avvenimento annuale. Magari comuni di mille abitanti.
Nel caso che vogliamo qui presentare siamo a Furci, negli “Abruzzi”, provincia di Chieti, che di abitanti ne conta 819. L’anno però è il 1933: allora erano più sui 2000. Come ci dicono i giudici della Cassazione, “ricorrendo una festa religiosa, si fece una processione che, stando per concludersi, fu turbata da un grave incidente“.
Cosa sarà successo mai?
Era consuetudine che la processione, prima di rientrare in chiesa, si fermasse sulla via per lo scoppio dei mortaretti. C’era però un problema e don Lorenzo Pauluzzi lo sapeva bene: Sua Eccellenza Reverendissima l’Arcivescovo, Giuseppe Venturi, nel bollettino diocesano aveva comandato che le processioni non dovessero più assistere a “questi spettacoli di carattere profano”. Dunque don Lorenzo, che guidava il corteo, sentì esplodere i mortaretti e subito entrò in chiesa.
Chissà se poteva immaginarsi le conseguenze! Probabilmente no, visto che era arrivato a Furci proprio quell’anno.
Vennero elavate proteste dalla popolazione, che inseguì il parroco nella chiesa e ne nacque un tumulto: “il sacerdote che essendo del Veneto (Baia presso Udine) era considerato forestiero”. La località era in realtà Buja. Se invece può stupire vedere Udine nel Veneto, allora il Friuli non aveva la dignità di regione e tutto faceva parte della Venezia Euganea con capoluogo, appunto, Venezia.
Tralasciati questi dettagli geografici-amministrativi, don Lorenzo sotto le navate della chiesa fu oggetto di “ingiurie, minacce, e violenze, poichè a lui si attribuiva tutta la colpa del non tollerato divieto”.
Il parroco chiaramente non aveva responsabilità, bisognava guardare all’arcivescovo: ma forse anche lui non sarebbe piaciuto ai Furcesi, visto che Giuseppe Venturi era di Mezzane di Sotto, provincia di Verona, ed era stato nominato a capo dell’arcidiocesi di Chieti solo due anni prima, nel 1931. C’erano evidenti problemi di diverse sensibilità.
Della rissa si interessò subito l’autorità giudiziaria e la Corte di Appello di L’Aquila indicò una prospettiva assai grave per i tumultuanti: turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa (art. 405 codice penale vigente) e aggravata ai sensi del secondo comma perchè in concorso con violenza alle persone, ulteriormente aggravata perchè nel reato erano concorse più di 5 persone (art. 112 comma 1), ancora più aggravata per aver commesso il fatto contro un ministro del culto cattolico (art. 61 comma 10).
La Cassazione confermò tutto: non sappiamo il computo degli anni ma i condannati dovettero avere parecchio tempo per riflettere nel silenzio dei propri peccati. Io avrei confidato in una grazia.
Insomma, le processioni sono belle ma non fatevi prendere troppo dall’entusiasmo del momento.
P.S. Questo fatto non deve aver troppo inciso sul rapporto fra i Forcesi e don Lorenzo Paoluzzi, che rimase a reggere la parrocchia fino al 1951: qua un video a Furci del 2018 dove il sindaco del paese e quello di Buja lo ricordano.
L’Arcivescovo Giuseppe Venturi rimase a Chieti fino alla morte nel 1947. Durante la guerra si impegnò per alleviare le condizioni della popolazione, ottenendo che il 24 Marzo 1944 il comando tedesco dichiarasse Chieti “città aperta”, primo caso in Italia.
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