Strappare dei manifesti elettorali è un forte segno di contestazione politica, ma può diventare un diritto se sono coinvolte le mura di casa? Ce lo spiega una sentenza della Corte di Cassazione di Roma del 1912…
In tempi d’elezioni, si sa, ognuno cerca di tirare l’acqua al proprio mulino. Così accadeva anche cent’anni fa a Pietramelara, in provincia di Caserta, dove nel marzo 1912 correvano le agguerritissime elezioni comunali.
Tale Alberico Zeppetella, con spirito sportivo, permise che al muro della propria casa fossero affissi i manifesti elettorali di molti candidati. Tutti, però, tranne uno: quello del candidato Zampogna. Costui doveva essergli molto inviso (non sappiamo se per questioni di appartenenza politica o per screzi personali), tanto che in uno scatto d’ira strappò il manifesto elettorale che era stato attaccato al suo muro da un terzo coinvolto nella vicenda, il Dott. De Muccio.
Naturalmente la gravità della vicenda finì davanti ai giudici (e andò pure avanti per mesi). Con sentenza del 2 agosto 1912, il Pretore di Pietramelara dichiarò il Zeppetella colpevole della contravvenzione ai sensi dell’art. 446 cod. pen., condannandolo a lire 2 di ammenda e al risarcimento delle spese. Tale articolo recita infatti:
Chiunque stacca, lacera o altrimenti rende inservibili gli stampati, disegni o manoscritti fatti affiggere dall’autorità, è punito, ecc. Se trattasi di stampati disegni o manoscritti fatti affiggere dai privati nei luoghi e modi consentiti dalla legge, e il fatto sia commesso prima del giorno successivo all’affissione, la pena è, ecc..
Ma il nostro protagonista non si fermò certo qui! Il muro era suo! E la faccia e il nome di Zampogna non ci dovevano stare senza la sua autorizzazione. Così richiese il ricorso per cassazione, convinto che il fatto ascrittogli non costituisse reato.
E la Corte gli diede ragione! Con sentenza del 15 novembre 1912, la Cassazione di Roma giudicò infatti che, stando ai fatti, il Zeppetella non era incorso in responsabilità penale, secondo quanto previsto dall’art. 65 della legge di pubblica sicurezza. Esso prevedeva che nessuno stampato potesse essere affisso senza la licenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza, ad eccezione di alcuni come quelli delle pubbliche amministrazioni, quelli relativi ad affari commerciali, a vendite o locazioni, e anche quelli di nostro interesse, ossia in materie elettorali. Tuttavia, tutte le affissioni devono farsi nei luoghi designati dall’autorità.
Nel caso in esame non risultava (e nessuno osò dire) che le mura di casa del Zappetella fossero indicate fra quelle sulle quali l’affissione era consentita. Perciò, era l’affissione del dott. De Muccio a essere abusiva, e repressa anche dall’art. 445. Dunque, se il Zeppetella aveva staccato dal suo muro e buttato a terra un manifesto elettorale abusivamente affisso, egli non aveva fatto altro che esercitare un suo diritto e non era quindi punibile.
Sì, ma perché allora Zeppetella aveva lasciato affissi altri simili manifesti elettorali? Si poteva contestare un atteggiamento parziale verso i candidati? Assolutamente no: secondo la sentenza, era sempre nel suo diritto
tollerarne alcuni piuttosto che altri.
Infine, la denunziata sentenza si annullò senza rinvio, e la fedina penale del contestatore politico risultò immacolata.
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