Opera e diritto: Dio li fa e il librettista li accoppia. Un sodalizio che a vedersi in tanti direbbero improbabile, ma che la pratica nei secoli ha temprato a suon di processi, contratti, matrimoni e testamenti in quattro quarti; un rapporto fondamentale quanto quello tra popolazione civile e legge.
Che cos’è, in fondo, l’opera se non la cornice intorno ad un intreccio fatto di realtà, passioni e umanità, in uno spazio scenico e temporale ben precisi?
Riprendendo Rossini in una delle sue frasi più celebri e goliardiche:
Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo
La vita è opera, e l’opera è vita e in quanto tale risponde alle stesse leggi cui siamo deputati noi del pubblico, che attraverso le sagaci menti del librettista e del compositore vengono traslate nel tempo della narrazione. E l’opera non era e non è un divertissement se non solo in superficie: poteva essere medium di satira e critica verso un sistema giuridico o politico, accentuandone i caratteri caricaturali e grotteschi per divertire l’ascoltatore e nel mentre lanciare un messaggio ben preciso, comprensibile al pubblico coevo (ne ha parlato Matteo Traverso in un articolo dedicato al ruolo del diritto in alcune opere liriche, attraverso i secoli).

Se quindi la vita e il viver civile sono strettamente legate alle leggi degli uomini, nell’opera queste leggi sono messe in spartito a personaggi ben precisi, che incarnano i legislatori al di fuori della quarta parete.
Notai, avvocati, giudici si arrabattano tra i personaggi talvolta con funzione di pacieri, altre come impostori, altre ancora come buffi e caricaturali garanti di una giustizia che emerge in contrappunto alla trama, nei suoi tratti più paradossali.
Ed è di questi personaggi che vi parliamo oggi, in una carrellata da far invidia all’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Si porrà infatti brevemente l’attenzione su sei noti capolavori operistici composti tra la fine del XVII e la seconda metà del XIX secolo, analizzando dapprima casi eclatanti di “falsi giuristi” (nel mozartiano Così fan tutte, rappresentato per la prima volta a Vienna nel 1790, e nel Don Pasquale, composto da Gaetano Donizetti nel 1842), proseguendo con due esempi di stereotipo e “falso storico” del ruolo del giurista (nelle diverse versioni de Le Nozze di Figaro (1876) e nell’operetta straussiana Il Pipistrello (1874); concluderemo poi con ulteriori esempi di stereotipizzazione della figura del giurista che prevede l’accentuazione delle passioni umane, in questo caso quelle positive del Potestà di Colognole (1657) e quelle invece che lo vedono come garante irremovibile della superiorità del diritto e della giustizia alle vicende umane ne Il Barbiere di Siviglia (1872).
Veri e finti giuristi all’opera
Talvolta il teatro musicale ha affrontato il tema del diritto e, in particolare, delle professioni legali anche in un modo assai curioso e… finto!
Non rari sono i casi in cui in scena compaia un vero notaio, più o meno nel pieno delle proprie facoltà, ma non meno rari sono quelli in cui in scena compare un finto giurista.
Nella tradizione occidentale infatti l’avvocato, il notaio ed il giudice hanno sempre rappresentato professioni iconiche, dal momento che la loro sola evocazione rimanda immediatamente ad un mondo, quello giuridico per l’appunto, ben noto al pubblico nelle sue virtù ma soprattutto nei suoi vizi, figure quindi facilmente oggetto di stereotipizzazione selvaggia.
Per tale ragione non stupisce che proprio le professioni legali (come anche altre, come la figura del medico, del soldato e del prete) siano state spesso utilizzate come ruolo di “copertura” in quei “drammi giocosi” dove i protagonisti devono mascherarsi, celando la propria identità agli altri personaggi, per interpretare un ruolo necessario allo sviluppo dell’intreccio.

Così accade proprio nel Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart (1790) e nel Don Pasquale di Gaetano Donizetti (1842).
Al giurista di oggi salterà immediatamente all’occhio che questo costituisce un aspetto un po’ particolare della nostra indagine, sicuramente meno “giuridico” in senso stretto ma ugualmente significativo ai nostri fini in quanto lascia trasparire, tra il serio ed il faceto, l’immagine caricaturale che certe professioni giuridiche presentavano nella società e la loro rappresentazione.
Due notai fasulli, un’identica (e grottesca) rappresentazione
Sia nell’opera del compositore salisburghese (musicata su libretto di Lorenzo da Ponte) che in quella di Donizetti (libretto di Giovanni Domenico Ruffini e dello stesso compositore) troviamo infatti due finti notai, chiamati entrambi a redigere due falsi contratti di nozze.
Nel Così fan tutte il notaio appare quasi al termine dell’opera: si tratta in realtà della cameriera Despina travestita, che partecipa allo “scherzo” organizzato da Don Alfonso per dimostrare l’infedeltà delle due protagoniste Dorabella e Fiordiligi o, per meglio dire, che «la fede nelle femmine è come l’Araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa!». Al culmine di un intreccio incalzante, compare quindi in scena il fasullo notaio Beccavivi per far convolare a nozze le due sorelle protagoniste con due affascinanti ufficiali stranieri a scapito dei loro legittimi fidanzati, che esse pensavano essere impegnati al fronte:
Il notaio Beccavivi
Coll’usata a voi sen viene
Notariale dignità,
E il contratto stipulato
Colle regole ordinarie
Nelle forme giudiziarie,
Pria tossendo,
Poi sedendo
Clara voce leggerà [Atto II, scena XVII]
Certo, né Dorabella né Fiordiligi possono immaginare che i due misteriosi uomini che stanno fintamente sposando sono in realtà proprio i loro due promessi sposi, a loro volta mascherati ed in incognito. Alla fine dell’opera, proprio dopo la stipula ioci causa del contratto nuziale, i vari travestimenti verranno rivelati e l’armonia tra le coppie viene ricomposta, raggiungendo un lieto fine che scioglie (secondo uno schema drammaturgico già visto nel Le Nozze di Figaro) una trama quantomai intricata!
Non meno intricata è poi la trama del Don Pasquale, dove nella quarta scena del secondo atto compare di nuovo un finto notaio per “sposare” l’anziano e ricco Don Pasquale con la giovane e virtuosa Sofronia. Anche l’intreccio di quest’opera si basa su un fitto e complicato gioco di scambi e travestimenti, in cui neppure la sposa Sofronia è in realtà chi dice di essere, ma è una pedina dell’inganno ordito dall’astuto dottor Malatesta per costringere Don Pasquale (al termine di tragicomiche vicende) ad approvare le nozze del nipote Ernesto con una ragazza di umile condizione. La scena del “notaro” è esilarante: fra un profluvio di «etcetera», «Coi titoli e le formule secondo il consueto», il dottor Malatesta fa il verso e regge il gioco al finto notaio, che, coerente al solenne ruolo a cui è chiamato, non può far altro che fare la figura del più classico degli “azzeccagarbugli”.

Siamo lontani secoli (nel vero senso della parola…) dal finto avvocato Porzia/Baldassarre che Shakespeare mette in scena nel Mercante di Venezia il quale, dando prova di una abilità interpretativa fuori dal comune, riesce a “incastrare” uno Shylock (sicuro di essere dalla parte della ragione) ed a rivoltagli contro il contratto di cui pretendeva il sanguinoso adempimento.
Al contrario, in piena coerenza con la natura “buffa” delle due opere sopra citate, la professione notarile è in effetti ridotta ad una macchietta, caricata di luoghi comuni certamente diffusi nelle società del tempo ma ancora ben radicati (bisogna riconoscere ingenerosamente) anche nella nostra.
La rappresentazione del diritto nelle opere
Il diritto nelle opere si inserisce quindi come un elemento collaterale di trame comiche incentrate quasi sempre su vicende matrimoniali. Addirittura, in questa giuridificazione dei rapporti amorosi, molto conveniente per gli intrecci à la Beumarchais, ci si spinge fino ad istituti del tutto inventati, come il ius primae noctis ne Le nozze di Figaro.
Insomma, se ci si dovesse fare una idea del mondo del diritto sulla base dei libretti delle opere, crederemmo che esso sia fatto tutto da notai e contratti nuziali – veri e, soprattutto, simulati. La “tradizione notarile” continuerà almeno fino a Il cavaliere della rosa di Richard Strauss (1910) dove, in omaggio alle trame settecentesche, compare ancora una volta l’immancabile notaio col suo bel contratto di nozze.
Nelle opere serie, poi, gli operatori del diritto sono del tutto banditi. Che tragedia sarebbe quella in cui a un certo punto spuntasse un avvocato? Oddio… Diciamo però che il tono aulico ne risentirebbe. Tuttalpiù sono ammesse considerazioni sul potere e la giustizia; giustizia che, ovviamente, non viene mai fatta da un ufficiale giudiziario (al limite potrà essere d’aiuto una ispezione ministeriale, come nel Fidelio).
È il Secolo XIX a darci qualche maggiore soddisfazione. Il Pipistrello (Die Fledermaus – 1874) di Johann Strauss è forse, tra le operette più note, quella in cui il diritto e i suoi attori si presentano con un maggiore realismo. Venne rappresentata nel periodo del Krach finanziario davanti a una borghesia viennese che certo aveva ancora ben vividi davanti a sé quei fallimenti che danno tanto lavoro ad avvocati e tribunali.

Tutto parte con il Kavaliersdelikt, il reato bagatellare, commesso dal protagonista von Eisenstein per cui viene condannato a 5 giorni di detenzione. Ed ecco che compare il suo non brillantissimo avvocato, Dr. Blind, che impugna la sentenza ottenendo… l’aumento della pena a 8 giorni. Già allora si vedeva come non necessariamente le persone agiate si servano di buoni avvocati. Eisenstein chiaramente non la prende bene e si lancia in una memorabile invettiva (“Con un simile avvocato sei perduto, sei spacciato!”). Blind replica stordendo Eisenstein con una caterva di termini giuridici:
far ricorso, far appello, far reclamo,
revocare, opporre, sovvertire,
devolvere, involvere, protestare,
liquidare, eccepire, estorcere,
arbitrare, riassumere, discolpare
incolpare, calcolare, minutare…
E poi facendo pure la vittima
Ah noi poveri avvocati, dobbiamo sempre aiutare e consigliare, c’è bisogno di pazienza!
Una figura che, seppur sempre macchiettistica, ci è purtroppo familiare. Sul prestigio della professione forense ci metterà sopra una pietra tombale, più avanti nel libretto, una battuta fulminea. Finito in carcere, Alfredo, uno dei personaggi del complicato intreccio, se ne esce con la classica richiesta:
Voglio parlare con un avvocato!
La guardia gli risponde:
Qui è pieno di avvocati: c’è la lista.
Anche i giuristi hanno un cuore
A continuar questa carrellata di azzeccagarbugli, attraversiamo la barricata per approdare sullo scranno di un giudice, balzando indietro nel tempo rispetto agli avvocati poco accorti di Strauss.
Parliamo qui non di un giudice qualsiasi: trattasi di Odoardo, Giudice facente capo ad Anselmo, il Potestà di Colognole nell’omonima opera del dramma rusticale su musica di Jacopo Melani.
Il librettista, Giovannandrea Moniglia, era nel 1657 al principio della propria carriera, consapevole della rilevanza della giustizia non solo nella società ma anche nella poesia.
Tuttavia, come già visto con Mozart e Donizetti, non siamo più nell’era del teatro educazionale e ammonitore. Siamo ormai nell’epoca in cui morale e riso possono incontrarsi, preferibilmente in musica, senz’altro.

E così ecco Odoardo: uomo di giustizia incaricato nel piccolo centro di Colognole, che nel corso della trama impariamo a conoscere soprattutto come uomo e padre infelice di una figlia perduta per un inganno e uno scambio alla nascita. E nel momento in cui la ritroverà sul finire dell’intreccio, ecco la frase che tutto riassume, moderna quanto basta per anticipare i personaggi di Ally McBeal:
Son gentil uomo anch’io, e ‘n petto serro
ardor, e ardir.
Rendendolo più che uomo di giustizia, uomo ed ecco tutto, agli occhi dello spettatore.
E sempre in tema di scambi, celeberrimo eccone uno meno mesto e più spassoso, in una delle opere più rappresentate al Mondo: Il Barbiere di Siviglia, ispirata alla commedia omonima di Beaumarchais.
Ma non parleremo della versione forse più nota dell’adorato Rossini, bensì di quella di Giovanni Paisiello, di qualche anno precedente (siamo nel 1872), su libretto attribuito a Giuseppe Petrosellini, ma in realtà presumibilmente anonimo – per ora.
Perché non Rossini? Perché Paisiello darà voce di basso al suo notaro, mentre Rossini lo farà comparsa.
Nota la trama e l’inganno, dove il buon Barbiere s’ingegna per far sposare la bella Rosina con il Conte D’Almaviva, furentemente innamorato della fanciulla protetta di Don Bartolo, anch’esso pretendente.
Ed è proprio nella scena del matrimonio, celebrato di nascosto, che entra in scena il nostro notaro insieme al complice Don Basilio, celebrante.
Son questi gli sposi futuri?
Domanda impugnando il contratto, arma del delitto della nostra opera, e puntualizzando, da buon notaio:

Mancan i nomi. Il contratto, egli è qui
E celebrato il matrimonio, egli non cederà nemmeno alle richieste prepotenti di un furioso Don Bartolo che, scoperto l’inganno, chiederà di annullare il contratto; il notaio gli farà notare che la legge è legge: testimoni e firme valgon più delle pretese di un amante infelice.
Allor quando in giovin core
è d’accordo il dio d’amore,
qualsivoglia precauzione
sempre inutil si trovò
Ed ecco che disvelata L’Inutil Precauzione, sottotitolo dell’opera stessa, cantata dai protagonisti sul finale, ai quali versi si potrebbe aggiungere, oltre al dio d’amore, anche quello del diritto, garante in questo caso della felice unione.
E vissero tutti felici e contenti, o quasi.
(c) riproduzione riservata
Bibliografia
Annunziata, Filippo, Colombo, Giorgio Fabio, Law and Opera, Springer, 2018 (1° ed.).
Resta, Giorgio, L’armonia nel diritto. Contributi a una riflessione su diritto e musica, Roma, TrE-Press, 2020.
Gigliotti, Valerio, Traverso, Matteo, Riberi, Mario, La sentenza è pronunziata. Rappresentazioni della giustizia nell’opera lirica, Collana: Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza – Università di Torino, Milano, LeDizioni, 2019.
Libretti d’opera
Jacopo Melani, Giovanni Andrea Moniglia, Il Potestà di Colognole (1657).
Wolfgang Amadeus Mozart, Lorenzo Da Ponte, Le Nozze di Figaro (1786).
Wolfgang Amadeus Mozart, Lorenzo Da Ponte, Così fan tutte (1790).
Gaetano Donizetti, Giovanni Ruffini, Don Pasquale (1843).
Giovanni Paisiello, Giuseppe Petrosellini, Il Barbiere di Siviglia (1872).
Johann Strauss, Carl Haffner e Richard Genée, Die Fledermaus (1874).
Image credits: William Hogarth, Matrimonio alla moda – Il contratto, cm. 68,5 x 89, National Gallery di Londra.