Nel 1881 Lidia Poët è la prima donna a laurearsi in Legge all’Università di Torino, discutendo una tesi sull’emancipazione femminile e in particolare sul diritto di voto, che abbiamo recuperato e vi facciamo leggere qui.
È il 17 giugno 1881 quando Lidia Poët, davanti a un’immensa folla plaudente, si laurea in Giurisprudenza alla Regia Università di Torino. Lo scritto, dal titolo “Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale ed al diritto amministrativo nelle elezioni”, affronta il tema della partecipazione femminile alla vita pubblica, con particolare attenzione alla questione del diritto di voto.
Era una delle prime donne nell’intero Regno d’Italia a conseguire la laurea, la prima in assoluto in Legge. Al suo ingresso all’Università, accompagnata dal fratello Enrico, aveva destato curiosità e stupore: una donna fra i banchi? Compagni e professori stentavano a crederci (un professore le chiese persino se volesse un tavolino separato, ma Lidia prese posto in prima fila e da lì non si mosse più).
Quello stesso anno c’erano solo altre tre donne iscritte all’ateneo torinese: Maria Farnè Valleda alla Facoltà di Medicina, Teresa Bargis e Carlotta Capra-Novarese alla Facoltà Lettere. Ne abbiamo la prova tramite un documento che fu prodotto dall’Università stessa nel 1879 a seguito di un quesito posto dal Ministero della Pubblica Istruzione che indagava proprio su quale fosse la rappresentanza femminile nelle Università, della quale il rettore di quegli anni, lo zoologo Michele Lessona, era particolarmente fiero. In effetti, già quattro signorine nel 1879 doveva sembrare un numero considerevole!
Erano solo tre anni, infatti, che il nuovo Regolamento universitario del 1876 permetteva esplicitamente alle donne di frequentare l’Università. Lidia Poët frequentò i quattro di anni di corso con impegno e passione, fino a ottenere la laurea a pieni voti il 17 giugno 1881. Il 18 giugno l’impresa è già su tutti i giornali, che lodano con ammirazione e quasi incredulità la neo-dottoressa.
Avrebbe continuato a fare scalpore, diventando la prima donna a essere ammessa all’ordine degli avvocati (una storia che negli anni vi abbiamo raccontato tante volte sul nostro sito, ma soprattutto nel nostro nuovo libro).
Ma torniamo al momento della sua laurea, per conoscere meglio quella sua tesi così moderna. Cercando negli archivi dell’Università ne abbiamo trovato la versione integrale, che abbiamo riprodotto nell’appendice documentale del nostro libro. Ve ne riportiamo qui un estratto.
STUDIO SULLA CONDIZIONE DELLA DONNA RISPETTO AL DIRITTO COSTITUZIONALE ED AL DIRITTO AMMINISTRATIVO NELLE ELEZIONI
A mia madre
A mio fratello Enrico
Che con la parola e coll’ esempio
Mi furono guida e sostegno
Queste poche pagine
Debole prova di riconoscente affetto
La questione del diritto elettorale ed in genere della partecipazione diretta della donna alla vita politica è questione moderna, abbenchè si possano trovare nell’antichità cenni che fanno argomentare che non fosse ignota nella Grecia (come p. e. si rileva da una commedia di Aristofane) e che, in fatto la donna, si dai tempi più remoti, abbia preso parte al governo sociale come regina presso molti popoli […].
Se questione v’ha, si è di certo perché la cosa è discutibile e quando uno venga ad esaminare quali siano i sostenitori del voto muliebre, i loro argomenti e quelli die vi si oppongono, sempre maggiormente si radica la persuasione che non è questa una così mischievous and idle proposal come volle chiamarla Tom Chaplin nel 1875 alla Camera inglese e lo prova anche presso di noi il fatto di uomini seriissimi che trattarono la questione sia dal lato dottrinario, sia proponendo alla Camera fin dal 1871 la partecipazione della donna al diritto elettorale amministrativo. Questo diritto di nominare i consiglieri comunali e provinciali non è d’altronde cosa nuova per le donne lombarde e venete che erano eziandio eleggibili all’ ufficio di consigliere comunale senza che nessuno trovasse questo ufficio disadatto alle loro peculiari facoltà, né che si possa dire ne abbiano esse fatto mal uso, venendo meno a quel decoro e a quella riservatezza che sono fra le prime doti femminili.
Se si guarda infatti alle condizioni richieste per l’elettorato dalla nostra legge, non si può trovare un motivo ragionevole di esclusione per le donne, mentre nei paesi detti a suffragio universale è addirittura un assurdo che si neghi ad una donna colta, istruita, indipendente il diritto che si concede al suo domestico. Vediamo le condizioni richieste dalla nostra legge:
Un dato censo che si considera come una guarentigia di indipendenza e di interesse al bene pubblico,
oppure:
Un grado di coltura, di istruzione od una determinata posizione sociale che provino la intelligenza dell’elettore,
od infine:
La intelligenza e la indipendenza unite in misure determinate dalla legge. Inoltre è necessario soddisfare a certe condizioni generali di cittadinanza, di età, di domicilio e di moralità specificate dalla legge. Ora quando la donna soddisfaccia a queste condizioni, è egli giusto, è egli ragionevole il negare ad essa il diritto di nominare un rappresentante? Forse che non sia anch’essa interessata ad avere un buon governo, leggi savie, umane, giuste? Né si può dire che il loro concorso sarebbe per lo meno inutile, poiché non poche sono le questioni che le interessano direttamente ed il loro modo di apprezzarle non è sempre lo stesso che quello degli uomini.
Se ad esse sfuggono alcuni lati delle questioni è egli ben certo che gli uomini li vedano tutti, che nella loro pronta sintesi non sfugga loro un lato pratico che forse può essere quello che soltanto assicura l’attuabilità dei concetti i più giusti? E forse la scienza politica delle nazioni giunta a tal segno di perfezione che nulla più vi sia a desiderare? Che un intuito pronto e netto, un senso pratico della attualità non sia degno di essere ricercato?
Ma, mi si risponde, la donna questa ingerenza la esercita e la esercita molto meglio colla sua influenza personale indiretta che non coll’essere elettore.
Non nego l’influenza femminile in politica, anzi trovo che ve n’ha fin troppa e credo che il riconoscere il diritto di voto alle donne, dando loro una partecipazione diretta che renda l’indiretta meno nocevole, sarebbe l’unico modo di dare a questa influenza un carattere utile e non pernicioso come avviene troppo spesso. […] Date loro una partecipazione diretta e le vedrete interessarsi in tutt’altro modo alla cosa politica, farsi un punto d’onore di conoscere e sapere formulare un giudizio prima di dare il loro voto, le vedrete soprattutto ricercare uomini morali, virtuosi e non sarà mai un male pel paese lo avere molti di questi onesti alla Camera.
Ma tocchiamo appunto ad una delle più gravi obbiezioni che si fanno al voto muliebre.
Non hanno, si dice, attitudine a questo ufficio.
Che s’intende qui per attitudine?
Non la intelligenza, né la indipendenza, sole qualità richieste nei maschi, poiché la relazione della Commissione dice queste precise parole: «sia pure che possa votare con perfetta intelligenza, con piena indipendenza, ma a questo ufficio non è chiamata dalla sua esistenza sociale».
E viene quindi tracciando una poetica e splendida descrizione di questa esistenza o missione sociale della donna, descrizione che non ha che due difetti: quello di dimenticare una metà quasi delle donne, e quello di supporre in loro attitudini e qualità in contraddizione con quanto venne dicendo la stessa relazione intorno al carattere femminile.
Infatti non tutte le donne sono chiamate all’alto e nobilissimo ufficio di spose e madri. Ve ne sono non poche che, o per naturale inclinazione o per concorso vario di circostanze, non dovranno praticare questi doveri, conoscere queste gioie; che, una volta sciolta, come pur troppo è nell’ordine naturale si sciolga, la famiglia paterna, non avranno una famiglia propria, alla cui assidua cura dedicare tutte le doti della loro intelligenza, tutta la potenza del loro cuore; cui non basta l’ufficio di Wiegentante, come dicono i tedeschi, né sorride il faticoso ed ingrato mestiere di istitutrici cui non si sentono chiamate da speciale vocazione.
E se queste, — che hanno eguaglianza di diritti civili cogli uomini, che forse hanno uguaglianza di sapere con molti uomini segnalati, che godono perciò di una indipendenza perfetta e che, dovendo talvolta amministrare una ingente fortuna, hanno acquistato una pratica degli affari che esclude la mancanza di cognizione di causa, — vi domandano di impiegare parte delle loro doti intellettuali e morali per la loro patria, le respingerete voi dicendo che la patria non conosce per donna se non colei che le dà figli forti e buoni, mariti onesti ed intemerati, che questa fa molto bene alla patria e che delle altre non vi curate?
[…]
Non vedo adunque teoricamente ragioni sufficienti per escludere le donne dall’elettorato politico. Se però ci facciamo a considerare la questione dal lato pratico, a domandarci se la riforma sia attuabile o desiderabile soltanto nelle nostre condizioni attuali, non esito a rispondere: no, il voto alle donne nelle condizioni presenti sarebbe un male, come lo sarebbe a mio credere il suffragio universale agli uomini; le nostre condizioni di coltura intellettuale si oppongono a quest’ ultimo, all’altro si aggiungono i costumi— sì, anche i pregiudizi, ma il legislatore può e deve tenere conto degli uni e degli altri, — la questione non è matura.
Se riforma s’ha da fare, si è riguardo all’istruzione ed all’educazione femminile, allargandole tanto da fare sì che la donna, anche ristretta nel cerchio della vita di famiglia, dove la sua vocazione di sposa e madre od i suoi doveri di figlia e sorella la tratterranno pur sempre , sappia e possa corrispondere a tutte le esigenze, ai bisogni ed ai progressi della vita moderna, che sia davvero anche nell’ ordine morale ed intellettuale, come la volle Iddio, un aiuto per l’uomo e non un inceppamento, che cammini accanto a lui come una compagna e non trascinatavi come una schiava, che sappia e possa all’ uopo bastare a sè stessa ed assicurarsi una onesta e dignitosa indipendenza.
[…]
Ed intanto la donna continuerà sempre più e, speriamo, con sempre migliori risultati, a misura che meglio si esplicherà la sua personalità, ad avere una influenza moralizzatrice sui costumi, a tenere alta la fiaccola della fede e del dovere, in onta alle esitanze dei paurosi e dei timidi, e ciò per questo semplice motivo che nessuna protesta può valere contro la natura delle cose e che, per citare ancora una volta lo Stuart Mill, quello che alle donne ripugna non lo si farà mai fare loro, anche dando ad esse piena libertà. Così le donne continueranno generalmente ad annoverare come adesso, e forse meglio e più che adesso, nelle loro file, mogli fidenti e serene, madri dignitose e fanciulle pure, continueranno ad esservi quelle creature che seppero ispirare le graziose e pudiche vergini dell’Angelico e del Giambellino ed ancora, e sempre, fossero anche, nei giorni di là da venire, non solo elettrici politiche , ma anche eleggibili, si potrà ripetere, per molte di loro, i bei versi di Schiller:
Aber mit sanft, überredender Bitte
Führen die Frauen den Scepter der Sitte,
Löschen di Zwietracht, die tobend entglüht,
Lehren die Kräfte, die feindlich sich hassen.
Sich in der lieblichen Form zu umfassen.
Und vereinen, was ewig sich flieht.
Lidia Poët. La prima avvocata
Tutta la storia di Lidia Poët, la sua tesi di laurea e gli atti e le sentenze dei giudizi nel nostro libro Lidia Poët. La prima avvocata, edito da Le Lucerne.