Breno è un piccolo comune della Val Camonica, provincia di Brescia. Oggi ha 4700 abitanti, ma quando si svolge questa nostra storia, nel 1893, ne aveva circa 3200.
A Breno vi era un uomo, tal Pietro Benedetti, che doveva avere diversi figli. Non sappiamo quanti fossero maschi e quanti femmine, ma sappiamo sicuramente che dovevano frequentare la scuola elementare.
La legge Casati del 1859, estesa a tutta Italia lo stesso anno dell’Unità, aveva già reso obbligatori i primi due anni di istruzione. La legge Coppino del 1877, una parte fondamentale del programma politico della Sinistra Storica, aveva poi creato la scuola elementare gratuita di cinque anni, rendendone obbligatori i primi tre e imponendo sanzioni contro chi disattendesse tale obbligo.
E infatti qui parliamo di sanzioni. Il Signor Pietro, infatti, si era rifiutato di mandare i suoi figli alla scuola elementare del Comune perché questa… aveva le classi miste!
Intollerabile! La cosa proprio “non gli andava a grado“. Il Sindaco di Breno più volte chiamò Pietro cercando di “conciliare paternamente“, ma questo, anche dopo una ammonizione formale, proprio non voleva sentirne parlare.
Il Sindaco, dunque, denunciò questa contravvenzione al pretore di Breno (sì, una sede giudiziaria in un comune di 3200 abitanti… erano davvero altri tempi), il quale condannò Benedetti a un’ammenda di cinquanta centesimi di Lira.
Una somma irrisoria, potreste pensare. In realtà, è difficile da valutare quanto valessero cinquanta centesimi, perché corrispondono sia a circa 5€ di oggi, che al salario giornaliero di un operaio semplice del tempo.
Comunque sia, il Benedetti trovò intollerabile anche questa decisione e fece ricorso fino ad arrivare alla lontana Cassazione di Roma. In tempi abbastanza rapidi, aggiungeremmo: sentenza del Pretore il 17 febbraio 1894, udienza in Cassazione il 3 aprile seguente.
E la Cassazione diede ragione al Signor Pietro: non tanto perché avesse diritto a non mandare i figli in una scuola mista, ma per il classico cavillo procedurale. Infatti tutta l’attività di ammonimento e conciliazione del Sindaco era vana e non poteva portare alla condanna per omissione dell’obbligo di mandare i figli alla scuola elementare, se questi, come ultimo supremo atto, non avesse prima proceduto a pubblicare il nome del riottoso nell’Albo Comunale. Siccome ciò non era stato fatto, la condanna per contravvenzione era da annullare.
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