Era il 13 settembre 1968 e la Procura della Repubblica di Roma sequestrava “Teorema”, il film di Pasolini. L’accusa era quella di “oscenità”. A causa delle scene di rapporti sessuali e familiari e degli amplessi carnali che facevano da padrone.
Il 14 ottobre dello stesso anno seguì la Procura della Repubblica di Genova. Il processo contro Pasolini e il produttore del film, Donato Leoni, venne poi trasferito per competenza territoriale a Venezia, terminando poco dopo, il 23 novembre 1968. Al termine di una camera di consiglio lunga una intera ora, il Tribunale decise di assolvere gli imputati, stabilendo che “trattandosi incontestabilmente di un’opera d’arte, Teorema non può essere sospettato di oscenità”.
Di Teorema protagonista è un giovane, che giunge a Milano ospite di una famiglia benestante. Il padre, proprietario di una fabbrica, la madre, moglie fedele, il figlio maschio, appassionato d’arte, ma senza il coraggio necessario a farne una professione, la figlia femmina, fragile, malinconica, inquieta, e la servitù, tra le cui fila stava Emilia.
Tutti da lui conquistati carnalmente, uno dopo l’altro. Al suo congedo, il vuoto dell’ignoto, la consapevolezza della dissolutezza.
L’idea di Teorema, esposta da Pier Paolo Pasolini in un’intervista del 1966, era quella della visita di Dio, che mostra e rivela, avvolto nell’aura del sacro, il reale, in tutta la sua brutalità.
Teorema fu presentato alla ventinovesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il pubblico degli specialisti ne disertò la proiezione.