«Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.»
Così Dante ricorda lo schiaffo d’Anagni nel XX canto del Purgatorio. Pur non nutrendo simpatie per il Papa Bonifacio VIII, il Sommo Poeta si indignò per l’offesa, considerandolo un oltraggio a Cristo.
Nella notte del 7 settembre 1303, Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna, gli emissari del re di Francia Filippo IV il Bello, giunsero ad Anagni, dove si trovava il Papa, con 2000 uomini armati al seguito. Trovarono le porte della città aperte, grazie molto probabilmente alla complicità degli abitanti.
Giunti a cospetto del Pontefice, lo trattennero nell’episcopio annesso alla Cattedrale, sottoponendolo ad angherie e privazioni, nel tentativo di ottenere il ritiro della bolla papale Super Petri Solio, con la quale il Papa scomunicava il re francese. Si narra che Sciarra Colonna arrivò a schiaffeggiare il Papa. Il gesto non è storicamente provato, ma è un simbolo efficace della fine del medioevo cristiano, che in un certo senso si è compiuta con la morte di Bonifacio VIII.
Gli Anagnini, che avevano inizialmente facilitato l’ingresso dei francesi nella città, presero infine le parti del Pontefice, liberandolo dalla prigionia dopo qualche giorno. Il Papa poté dunque tornare a Roma, dove solo un mese dopo morì. La Francia ebbe quindi carta bianca per prendere il controllo del papato, la cui sede sarebbe stata infatti trasferita ad Avignone.
Con Bonifacio VIII tramontava l’era della supremazia della Chiesa sulla politica, tipica della civiltà teocentrica medievale, ma incompatibile con i fermenti del XIV secolo. L’Europa si stava trasformando, si andavano consolidando le monarchie nazionali, politicamente libere e sovrane. I monarchi non avrebbero più tollerato la sottomissione al papato, e lo schiaffo di Anagni ne fu la simbolica prova.