Di quella volta che per un furto di pane in Inghilterra fu scomodato un decreto del ‘700 la cui applicazione diede luogo a un clamoroso colpo di scena
Nella nostra Massima numero 79 abbiamo raccontato una sentenza della Corte di Cassazione di Torino del 1887 che puniva con la reclusione tale Teresa Donati di Pontremoli per furto campestre: infatti aveva osato impossessarsi di alcune castagne cadute da un albero, che si ritenevano cose esposte alla buona fede pubblica. Questo a tutela del contadino che non poteva certe stare lì continuamente a sorvegliarle.
Trasferiamoci però in un’altra giurisdizione per vedere come venivano gestiti altrove i piccoli furti. In Rivista Penale del 1895 abbiamo recuperato la storia di un furto di pane in Inghilterra.
Siamo a Londra, e ci troviamo nell’aula della Police Court (sorta di giudice di pace) di Bow Street (che la rivista storpia in Boustreet). La strada è vicina a Covent Garden e la stazione di polizia è quella menzionata pure da Sherlock Holmes in “L’uomo dal labbro spaccato“. Il tribunale non c’è più dal 2006. Da maggio 2021 nel palazzo ha aperto un museo della polizia di Londra, dove è visitabile l’aula originale della corte.
Davanti al giudice John Bridge (giudice estremamente famoso, tanto che per la sua morte nell’anno 1900 ci fu un necrologio pure sul New York Times) viene portato William Bornous, querelato per aver rubato un filone di pane dalla bottega di un fornaio, tale Peekon. Il primo aveva approfittato del fatto che il fornaio avesse lasciato incustodita la bottega per andare a bere un bicchierino con un amico a un bar lì vicino.
Proprio rientrando in bottega, Peekon s’imbatte in Bornous che sta uscendo col filone di pane sotto il braccio. Il ladro viene subito acciuffato dal fornaio, mentre il suo amico gli sferra un colpo che lo tramortisce e assieme lo consegnano a un poliziotto di ronda.
Il poliziotto, vendendosi portare di peso un tizio ormai quasi incosciente, chiede di vederci chiaro su quale sia stato il vero andamento dei fatti.
Bornous giustifica il suo furto con una storia dickensiana, spiegando di aver rubato il pane perché, lui che si ingegnava nella vita per trovare una qualsiasi occupazione e che si affannava a non cadere nel mondo della criminalità, era senza lavoro da una settimana e aveva fame. Nonostante questo, pentitosi, offre di restituire il pane al fornaio, il quale tuttavia, deciso ad andare fino in fondo alla faccenda, non accetta di ricomporre bonariamente la vicenda (a dispetto anche degli inviti in tal senso da parte del poliziotto)
Nel corso del processo, appurati i fatti, il giudice John Bridge così sentenzia: “Evidentemente voi avete rubato, perché tanto è rubare un pane di cinquanta centesimi [questa è probabilmente una invenzione della Rivista, perché allora una sterlina si suddivideva in 20 scellini a loro volta composti da 12 penny] che un orologio d’oro: è sempre rubare. Dunque voi, per vostra disgrazia, di fronte alla legge siete colpevole: per vostra disgrazia dico, e aggiungo per vostra disgrazia immeritata. Pertanto io vi dovrei condannare; ma, lo dichiaro altamente, una tale sentenza sarebbe iniqua. Fra il mio dovere di magistrato e la mia coscienza d’uomo, non posso esitare un istante. Io vi assolvo.“
Il folto uditorio corso ad assistere (all’epoca si andava al tribunale come si andava al teatro) scoppia in un applauso.
Il giudice a quel punto impone il silenzio e continua: “Sennoché, a tutti quanti ci ritroviamo qua resta un dovere cristiano da compiere. Che cosa farete voi solo e senza un lavoro a Londra? Tornerete a rubare per mangiare. Non sia. Ecco mi levo di tasca una mezza corona [la moneta aveva il valore di un ottavo di una sterlina, cioè due scellini e sei penny] e consiglio a tutti quanti qui di darvi quello che possono, perché possiate prendere in affitto una stanza e mangiare mentre cercate lavoro“.
Fra gli astanti scoppia un nuovo e ancor più fragoroso applauso e iniziano persino a versare qualche moneta nel cappello di un giornalista là presente che raccoglie le offerte.
L’imputato William Bornous, messo in libertà, si profonde in ringraziamenti e inchini; ma la cosa non finisce qua. Non è ancora questo il colpo di scena.
Il giudice fa chiamare il querelante, il fornaio Peekon e ordina al poliziotto di servizio di arrestarlo: “la meraviglia è sul volto di tutti, e più in quello del malcapitato fornaio che sembra ammattito”.
Messo alla sbarra al posto degli imputati, il giudice gli domanda se fosse vero che lui avesse abbandonato la sua bottega il giorno dell’ormai famoso furto. Il fornaio, ora imputato, ammette che è vero.
E allora il giudice: “Un decreto della regina Anna [che ha regnato dal 1702 al 1714, quella del film La Favorita del 2018 per intenderci], proibisce ai bottegai di abbandonare i loro esercizi, perché questo abbandono può essere una tentazione, un incitamento al furto. Un tal delitto è punito col carcere e con l’ammenda. Voi non avete avuto vergogna di far arrestare ed esporre a condanna un povero disgraziato che non mangiava da tre giorni e che vi aveva offerto la restituzione del vostro pane, quando lo stesso poliziotto vi consigliava di riprendere il pane e lasciare andare l’individuo. Voi non avete avuto pietà e chi l’avrà di voi? Io, pertanto, vi condanno a due giorni di carcere e trenta scellini di ammenda. Questa volta la mia coscienza d’uomo è d’accordo col mio dovere di magistrato.“
Così pronunciatosi, il giudice proseguiva ad esaminare le cause successive, mentre “un poliziotto batteva sulla spalla di Peekon, invitandolo a seguirlo in prigione“.
P.S. Lo stesso anno il giudice John Bridge spiccava il mandato di arresto per sodomia contro Oscar Wilde, rifiutando categoricamente ogni possibilità di cauzione. Il mondo è piccolo.
