Giurista, politologo e filosofo del diritto, Schmitt rappresenta tutt’oggi uno dei personaggi più enigmatici e complessi del pensiero giuridico occidentale, per quanto la sua teoretica mantenga sempre un’attualità e una presenza fissa nel dibattito giuridico attuale.
In Schmitt è sempre rimasto impresso il marchio di infamia per aver conferito con la sua produzione scientifica (direttamente o indirettamente e almeno fino all’invasione nazista della Polonia) terreno fertile per l’ascesa del regime nazista in Germania. Come però ebbe modo di insegnarmi un grande Maestro di diritto costituzionale in un seminario dottorale di qualche anno fa, Carl Schmitt per la sua complessità, ma soprattutto per il peso titanico del suo pensiero, andrebbe scisso sotto tre profili:
- Giudizio su Schmitt in quanto persona;
- Un’analisi dello Schmitt “animale politico” e delle sue convinzioni ideologiche;
- Giudizio sullo Schmitt scienziato del Diritto, dell’attualità delle sue idee e del contributo allo sviluppo delle teorie giuridiche più recenti.
Un metodo che potrebbe essere applicato alla quasi totalità dei maggiori teorici e filosofi del diritto, in quanto appartenenti a epoche storico-politiche differenti e che hanno fondato ordinamenti e norme giuridiche con, appunto, diversissime rationes. La terza chiave di lettura porterebbe Schmitt a essere studiato e interpretato come cruciale snodo dell’evoluzione e (perché no?) delle distorsioni del contemporaneo pensiero giuridico occidentale, malgrado l’esistenza dei rapporti con il regime nazista.
Gli studi universitari e dottorali in giurisprudenza lo portarono giovanissimo alla libera docenza presso le Università di Greiswalfd e Bonn fino ad arrivare alla docenza presso l’Università Humboldt di Berlino (cattedra mantenuta fino al crollo del regime nazista nel 1945). Si affermò come studioso durante l’epopea della Repubblica di Weimar, affrontando le tematiche della sua prima metà di carriera, ossia la teoretica dello Stato, le categorie del politico, il concetto di Costituzione e le riflessioni sui meccanismi di tutela e salvaguardia dell’ordinamento politico e costituzionale. Nella “seconda parte” della sua vita accademica consegnerà alla scienza giuridica riflessioni chiave in tema di diritto pubblico internazionale e di geopolitica.
L’esperienza di Weimar forgiò i tratti essenziali della teoretica schmittiana, chiamata a fornire delle chiavi risolutive alla crisi sistemica e probabilmente irreversibile dell’esperienza parlamentaristica post-imperiale sulla scia di Hobbes (v. le opere La Dittatura, Teologia Politica, Dottrina della Costituzione, Le categorie del politico e Il custode della Costituzione). Le soluzioni schmittiane sono intrise di gius-realismo, di un’analisi della costituzione non vincolata all’idea per Schmitt “formalistica” di una Grundnorm (legge fondamentale) kelseniana, ma bensì alla decisione politica fondamentale del sistema partitico alla base. In particolare, egli ritenne come l’evoluzione della società entro un contesto fatto di ordinamenti politici con la presenza di un pluralismo partitico fosse fondamentale per rielaborare meccanismi di neutralizzazione delle fisiologiche dialettiche e conflitti entro questi ordinamenti. Per neutralizzazione e neutralità Schmitt elaborò varie e possibili definizioni, proponendo l’idea di costituire entro lo Stato un centro di definizione e sintesi delle frammentazioni politiche e delle tendenze disgreganti. Questo centro di neutralizzazione della conflittualità politica lo trova nel ruolo del Capo dello Stato come vertice del presidenzialismo, come sovrano in quanto titolare del potere di decisione di neutralizzazione dei conflitti nello stato di eccezione. Il Capo dello Stato si inserirebbe, di conseguenza, come potere neutro, in quanto soggetto agente su presupposti avalutativi, imparziali, se non totalizzanti al verificarsi di crisi irreversibili del sistema. Da qui la valorizzazione schmittiana dell’art. 48 della Costituzione di Weimar, che prevedeva il conferimento di poteri eccezionali al Capo dello Stato come dictator romano nei periodi di crisi di sistema. L’idea della centralità e della superiorità dello Stato, che trova nel suo vertice la sintesi dell’unità politica di base, è per Schmitt l’esatto equilibrio tra il dato giuridico e quello politico-istituzionale: sovrano è chi decide nello stato di eccezione.
Schmitt venne arrestato al termine della Seconda Guerra Mondiale e portato in istruttoria per un eventuale rinvio a giudizio presso il tribunale di Norimberga dinnanzi alla Allied War Crimes Commission americana (v. la preziosa testimonianza delle Risposte a Norimberga, che raccoglie i verbali degli interrogatori della Commissione Alleata). Ottenuta l’archiviazione da parte della Commissione, che riconobbe come Schmitt agì da studioso e non da attivo ideologo del partito nazionalsocialista, trascorse dal 1947 al 1985 un esilio (la cui natura di forzato o volontario è ancora da decifrare) nella natìa Plettenberg, che lui stesso ribattezzò “San Casciano” in onore di Machiavelli (molto interessante l’intervista fatta dal costituzionalista italiano Fulco Lanchester a Schmitt nel 1983, v. Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, 1983).
Questo ritiro dall’insegnamento accademico portò al consolidamento delle sue ricerche sul tema dello Ius Publicum Europaeum, già iniziate durante la guerra con l’opera Terra e Mare. Sarà con Il nomos della terra internazionale dello Jus publicum europaeum e con la Teoria del Partigiano, che Schmitt plasmerà definitivamente il suo pensiero sul punto. Egli denunciò in maniera netta come il diritto internazionale pubblico fosse in continuo mutamento e come pian piano si stesse manifestando un depotenziamento dello Stato nazionale, cedendo terreno ad una progressiva affermazione di una lex mercatoria internazionale (l’archetipo di quest’affermazione risiede nel carattere dominante dell’Impero coloniale britannico ottenuto per politiche espansionistiche per via marittima), che avrebbe portato le entità statuali a non ritrovare un nomos comune e certo di natura giuridica.
Tanti altri sono i concetti riferibili a Schmitt che hanno portato la dottrina giuspubblicistica mondiale ad interrogarsi: basti pensare alla tanto criticata e ambigua idea di “guerra giusta”, così come alla teorica dell’amico-nemico. Tutte idee di “un avventuriero intellettuale” messo in accusa sotto il profilo della responsabilità morale, che lo stesso Schmitt decise di auto-imputarsi nei suoi saggi Ex captivitate Salus e La sapienza della cella, dove in sua difesa alle domande del vice Capo della Commissione, Robert Kempner, asserì che se lui fosse stato responsabile della legittimazione e dell’ascesa del partito nazista, allora a Rousseau si sarebbe dovuto imputare la nascita della Rivoluzione francese con tutte le conseguenze in termini storico-politici e giuridici che ne comportò…
Al di là del biasimo per il merito di molte delle idee politiche di Schmitt, si ritiene rimanga sempre valida la lezione di quel Maestro costituzionalista che sospinse affinché si desse rilievo allo scienziato Schmitt, poiché consente di valorizzare e di preservare l’attività di colui che rimane punto imprescindibile di confronto scientifico per lo sviluppo del pensiero giuridico occidentale.