“Un boato tremendo, era come se fosse scoppiata una bomba”, queste furono e parole di uno dei sopravvissuti alla catastrofe.
Erano le 19:34 di domenica 23 novembre 1980, per 90 interminabili secondi una scossa di magnitudo 6,9 della scala Richter fece tremare Campania, Basilicata e parte della Puglia. Precisamente l’epicentro fu registrato tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, e in totale il sisma interessò un’area di 17mila chilometri quadrati, ma è proprio in queste tre regioni che i danni furono catastrofici, arrivando fino al decimo grado della scala Mercalli. Alcuni comuni, come quelli di Santomenna, Lioni, Laviano, Muro Lucano furono quasi rasi al suolo, ma moltissimi altri furono gravemente danneggiati. Quasi tremila morti, il triplo dei feriti e trecentomila senzatetto: questo è il drammatico bilancio di quella fatidica sera. Probabilmente il simbolo della è la Chiesa di Madre Balvano (Potenza), il cui crollo costò la vita a 77 persone, la maggior parte dei quali ragazzi e bambini, quasi un’intera generazione di quel paese che venne cancellata in un attimo.
“A distanza di 48 ore non erano giunti in quei paesi gli aiuti necessari”. Emblematiche ed evocative le parole di denuncia dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, in diretta televisiva la sera successiva alla catastrofe, dopo aver visitato di persona l’Irpinia. In alcuni casi si dovettero aspettare fino ai cinque giorni prima che gli abitanti potessero incrociare gli sguardi dei soccorritori. Di fatto, gli effetti del terremoto furono aggravati dal ritardo e dall’inadempienza dei soccorsi.
Fu grazie a Giuseppe Zamberletti, nominato Commissario straordinario del Governo, che mise si finalmente in moto la macchina dei soccorsi. Fu la premessa di una moderna struttura di Protezione Civile, di cui il paese dispone tutt’oggi. Solidarietà ed aiuti preziosi arrivarono dall’Italia e dalla comunità internazionale, tutti stretti attorno a quelle zone del Mezzogiorno. Così come indispensabili furono l’azione costante dei sindacati; degli amministratori locali, ai quali vennero concessi competenze straordinarie; delle forze armate; della Chiesa e delle moltissime associazioni di volontariato.
Nonostante l’enormità della tragedia, il processo di ricostruzione non fu caratterizzato dalla rapidità, ma tristemente accompagnato da un’esasperante lentezza, che fece compagnia all’eco disperato dei migliaia di sfollati, costretti a vivere in tende, vagoni ferroviari e container prima di poter mettere piede entro un prefabbricato che potesse dare la parvenza di una vera dimora. Così come non furono indulgenti gli sciacalli e la criminalità organizzata, le cui ruberie sono attestate nelle inchieste giudiziarie, per avere allungato le mani sulle ingenti risorse messe a disposizione dallo Stato: oltre 50 mila miliardi di lire, è la cifra conclusiva presentata dalla commissione parlamentare dell’inchiesta presieduta da Oscar, Luigi Scalfaro. Azioni criminali che ostacolarono e ridussero ai minimi termini i progetti per la ricostruzione ed il futuro sviluppo industriale che era stato pianificato per quelle aree all’indomani della tragedia.A quarant’anni esatti dall’avvenimento, quei 90 secondi scosse sismiche rimangono una ferita sia per i territori, che per i sopravvissuti, ma anche per la memoria collettiva italiana, che quasi trent’anni dopo quella sera del 23 novembre sarà costretta a rivivere per due volte i dolorosi ricordi di quei momenti, prima con l’Abruzzo (2009) e poi con l’Emilia-Romagna (2012).