Nell’anno delle elezioni, la politica è argomento scottante e cruciale.
Che poi se non ci fosse che cosa faremmo nell’estate senza i mondiali? Il panorama attuale è alquanto stravagante e tutti abbiamo qualcosa di cui lamentarci, un politico da preferire e un ideale da tradire – ché tanto non ci sono più.
Ma da un po’ di tempo, e in particolare da quanto ho iniziato a raccogliere queste vecchie sentenze, mi sono convinto che in realtà si stava peggio quando si stava… peggio.
Ad esempio, facciamo finta di essere in Italia nel 1927 e immaginiamo di essere non proprio gli ultimi arrivati, di essere stati – sempre ad esempio – austriaci di nascita, brillanti giornalisti e magari anche eletti al Parlamento austriaco, di esserci “ritrovati” italiani dopo la prima guerra mondiale (scusate la semplificazione, ma un po’ è così), e subito eletti anche al Parlamento in Italia. E di aver persino votata una volta la fiducia al primo Governo Mussolini, e poi essere stati a capo di un importantissimo – seppur giovane – partito politico, che aveva segnato una novità storica eccezionale.
Insomma, facciamo finta di essere Alcide De Gasperi.

Nella seduta parlamentare del 6 novembre 1926 la maggioranza fascista dichiarò decaduti tutti i deputati dell’opposizione, compreso De Gasperi, che da tempo non partecipavano più ai lavori parlamentari, in segno di protesta dopo le vicende relative all’assassinio di Matteotti. Nello stesso giorno fu emanato il R.D. n. 1841 che di fatto rendeva illegali tutte le associazioni, incluse quelle dei partiti, non allineate al regime. Una data da ricordare insomma.
Dopo quel giorno, De Gasperi fu costantemente braccato e controllato da regime, in ogni suo spostamento, di fatto privato della sua libertà personale.
Così accadde che insieme a sua moglie un giorno tentò di fuggire, di superare il confine italiano e rifugiarsi a est, in Jugoslavia.
Preparò tutto alla perfezione (o almeno così credette). Si era anzitutto procurato documenti falsi: lui era il Prof. Paolo De Rossi, sua moglie Francesca De Rossi Prati, oltre a due tessere del Touring Club Italiano che recavano i medesimi nominativi e soprattutto cartine di Fiume, di Trieste e della zona di confine tra l’Italia e la Jugoslavia.
Era partito da Roma l’11 marzo 1927, in automobile però, non in treno, per non destare sospetti. Il treno lo avrebbe preso a Orvieto, per raggiungere poi Trieste, e da lì poi varcare il confine.
Ma mentre era sul treno Orvieto – Trieste, De Gasperi alias De Rossi fu fermato alla stazione di Firenze dalla polizia, riconosciuto, interrogato, arrestato denunciato per il reato di espatrio clandestino, aggravato dal fine politico, trattandosi peraltro del segretario del Partito Popolare, sciolto perché ostile al Governo nazionale.
De Gasperi si giustificò sostenendo che aveva assunto una falsa identità solo per “evitare noie da parte di avversari politici” che si stava recando a Trieste per cercare un lavoro.
Ma non servì a molto. Di seguito la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che cosi occupò del caso e che sostenne come il tentativo di espatrio clandestino fosse certamente mosso da ragioni politiche “l’intento di chi voglia sottrarsi al controllo del proprio Governo, che ha invece il diritto e il dovere di difendersi dai propri nemici, onde tanto più vuole vigilare e quindi permettere o impedire la uscita dal paese di coloro che abbiano un passato d’incompatibilità politica col seguire, quanto più il loro stato di animo possa fare ritenere con fondatezza come sussistente il pericolo di una loro azione contraria agli interessi nazionali, come si verifica nel caso in esame, essendo stato il De Gasperi Segretario generale del partito popolare italiano, contrario al Governo Nazionale“.
Fa un certo effetto leggere questo documento con gli occhi del presente, e di chi sa che da lì a 15 anni questa la stessa persona ritenuta un pericolo, addirittura un nemico del Governo, sarebbe stata l’ultimo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia, e il primo della Repubblica Italiana.

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La Corte : — Rileva in fatto che il Dott. De Gasperi Alcide, già Deputato al Parlamento e Segretario generale del disciolto partito popolare italiano, fu rinviato per citazione diretta al giudizio del Tribunale di Roma sotto le imputazioni: 1) del delitto di cui all’art. 160 della legge di pubblica sicurezza, per avere, allontanandosi clandestinamente da Roma nell’11 marzo del volgente anno, senza essere munito di passaporto, e per motivo politico, tentato di espatriare; […]
In esito all’orale dibattimento il Tribunale, con sentenza del 28 maggio 1927, dichiarava il De Gasperi colpevole, e condannava il medesimo alla pena complessiva di anni 4 di reclusione e L. 20.000 multa e al pagamento delle spese di giudizio.
Nel termine di legge l’imputato appellava per i[l] seguent[e] motiv[o]: 1° inesistenza del reato di tentativo espatrio, perchè gl’indizi non pongono in essere se non degli atti preparatori e non gli atti esecutivi, e perchè ogni caso manca il fine politico […]
La Corte considera, in diritto, sul primo motivo principale che esso non [ha] alcun fondamento.
Da un rapporto del Questore di Roma in data 7 aprile del volgente anno, confermato al pubblico dibattimento, infatti, è risultato che nella sera dell’11 del precedente mese di marzo, per segnalazione ricevuta dalla Questura di Roma, l’Autorità di p.s. di Firenze, in quella stazione ferroviaria, fermava il Dott. Alcide De Gasperi, che viaggiava, con la moglie, sul treno n. 44 proveniente da Roma e diretto a Bologna. Essendo stato perquisito, egli veniva trovato in possesso di due biglietti di 2a classe, pel viaggio da Orvieto a Trieste, di due tessere del Touring Club Italiano valevoli per questo anno, intestate l’una al Prof. Paolo De Rossi e l’altra alla Signora Francesca De Rossi Prati, e portanti le fotografie del De Gasperi e della moglie, inoltre di due carte topografiche di Fiume, di Trieste, e della zona di confine tra l’Italia e la Jugoslavia
Il De Gasperi, nei suoi interrogatori, dichiarava che nello stesso giorno 11 marzo erasi allontanato da Roma, raggiungendo in automobile la stazione di Orvieto, dove aveva preso il treno, sul quale era stato fermato, che il falso nome di De Rossi era stato da lui assunto, per evitare noie da parte di avversari politici, che era diretto a Trieste per diporto ed anche per cercarvi una occupazione.
Ora si osserva che nel fatto come sopra accertato vi sono sicuri elementi del tentativo di espatrio clandestino ascritto all’appellante. Egli, infatti, assumendo il falso nome di De Rossi, partiva da Roma in automobile, evidentemente, per evitare la vigilanza dei funzionari di p. s. addetti alla stazione ferroviaria della capitale, dopo di essersi munito delle particolareggiate carte topografiche della zona di confine tra l’Italia e la Jugoslavia, allo scopo di potere scegliere, con la scorta di esse, il punto migliore per varcare clandestinamente la frontiera. Tutto ciò egli certamente non avrebbe fatto se avesse voluto recarsi a Trieste per diporto e in cerca di una occupazione.
Non può dirsi, poi, che egli abbia agito in tal guisa, per evitare noie da parte di avversari politici, poiché egli avrebbe potuto invocare dall’autorità la necessaria tutela. Devesi invece ritenere che egli avesse voluto sottrarsi alla vigilanza della stessa Autorità, in seguito all’azione svolta come Segretario generale del partito popolare, che era stato sciolto perché ostile al Governo nazionale.
Neppure si può sostenere che, ai termini dell’art. 160 della legge di p. s., non siano punibili gli atti prepara tori del tentativo di espatrio, occorrendo gli atti esecutivi idonei ai sensi dell’art. 61 cod. pen. e che tali atti non fossero stati ancora compiuti dal De Gasperi allorché venne tratto in arresto.

Anzitutto non può negarsi che egli abbia compiuti veri e propri atti esecutivi del reato. Per la particolare natura di esso; infatti, quando si siano apprestati i mezzi idonei per raggiungere il fine, e siasi intrapreso il viaggio clandestino, entra, senz’altro, nella fase esecutiva tutta la continuità dell’azione diretta unicamente all’espatrio dal punto iniziale del viaggio sino al confine. Se si ritenesse altrimenti, non si saprebbe da qual punto dovessero intendersi incominciati gli atti di esecuzione del tentativo di espatrio, e bisognerebbe richiedere la sorpresa sulla linea del confine, nell’istante medesimo in cui il reato stesso per consumarsi, onde non potrebbe mai sussistere il tentativo, ma soltanto il delitto consumato, il che non può essere ammesso.
Ora, non può dubitarsi, che il De Gasperi abbia intrapreso il viaggio diretto al confine jugoslavo dopo di avere apprestati i mezzi idonei per attuare il suo progetto di espatrio in modo clandestino, fornendosi di falsi documenti d’identità personale e dell’anzidette carte topografiche della zona della Jugoslavia prossima appunto alla frontiera italiana.
Circa il possesso delle tessere del Touring Club italiano, non vale osservare che esse non fossero atte a sostituire un passaporto. Prescindendo, invero, dal considerare che esso non sarebbe stato mai chiesto dal De Gasperi, che doveva credere di non poterlo ottenere, essendo egli ritenuto contrario al Governo, si osserva che, una volta giunto clandestinamente al di là del confine, il De Gasperi si sarebbe servito all’estero delle tessere come documento della sua identità personale, per nascondere il vero suo essere. Non potrebbe, d’altra parte supporsi che esse fossero ritenute da lui inutili per raggiungere l’intento che si era proposto, altrimenti non si spiegherebbe per qual motivo mai se ne fosse fornito. Vero è che esse non potevano sostituire il passaporto, ma la loro esibizione non doveva essere fatta a tale scopo, volendo egli emigrare in modo clandestino, come si desume dalle prove raccolte.
Non vale poi ad escludere il dolo dell’imputato il possesso del passaporto scaduto al proprio nome, nè il fatto di avere egli dichiarato le sue vere generalità, allorché venne sorpreso dagli agenti di p.s. Il detto passaporto e l’accennata dichiarazione, infatti, non escludono certamente il possesso dei documenti falsi e delle carte topo grafiche anzidette, e potevano costituire, nella verosimile intenzione di lui, un «alibi» morale per il caso appunto della sorpresa da parte dell’autorità italiana, come ebbe poi a verificarsi.
Non è quindi dubbio il concorso degli elementi subiettivi ed obiettivi, necessari per costituire gli atti di esecuzione integratori del tentato espatrio clandestino.
D’altra parte, se anche si volessero ritenere gli atti compiuti dal De Gasperi non già come propriamente esecutivi, sibbene come preparatori del reato, essi sarebbero egualmente punibili ai termini dell’art. 160 citato, il quale dispone: «Chiunque, senza essere munito di passaporto e di altro documento equipollente, ai termini di accordi internazionali, espatri o tenti di espatriare, quando il fatto sia determinato da un motivo politico, è punito con la detenzione non inferiore ai 3 anni e con la multa non inferiore a L. 20.000. Sono puniti con la stessa pena coloro che abbiano in qualsiasi modo cooperato nella preparazione e nella esecuzione del reato». Ora, poiché per l’espresso disposto della legge gli atti preparatori sono punibili, se compiuti dai cooperatori, cioè sia dai correi che dai complici (art. 63 e 64 cod. pen.) non si può, senza grave contraddizione e disconoscimento degli ovvii principi del diritto penale, ritenere che gli atti stessi non siano incriminabili, se compiuti dall’autore principale, mentre la sua responsabilità morale è maggiore, e quella legale è dal detto articolo perfettamente equiparata alla responsabilità dei cooperatori.
Il tentativo di espatrio del De Gasperi, poi, fu senza dubbio determinato da un motivo politico. Per motivo politico, invero, non si deve intendere soltanto una finalità politica, come sarebbe l’intento di chi venisse convinto di avere emigrato o di volere emigrare clandestinamente all’estero col proposito di svolgere una qualsiasi azione politica, ma anche l’intento di chi voglia sottrarsi al controllo del proprio Governo, che ha invece il diritto e il dovere di difendersi dai propri nemici, onde tanto più vuole vigilare e quindi permettere o impedire la uscita dal paese di coloro che abbiano un passato d’incompatibilità politica col seguire, quanto più il loro stato di animo possa fare ritenere con fondatezza come sussistente il pericolo di una loro azione contraria agli interessi nazionali, come si verifica nel caso in esame, essendo stato il De Gasperi Segretario generale del partito popolare italiano, contrario al Governo Nazionale.
[…]
In ordine al tentativo di espatrio clandestino, si ritiene giusto di accordare all’appellante, che è incensurato, il beneficio del e circostanze attenuanti generiche, e quindi, per la diminuzione di un sesto, ridurre la pena inflittagli per tale reato alla detenzione per anni due e mesi 6 e alla multa di lire sedicimila seicentosessantasei. Confermandosi poi nel resto la impugnata sentenza, devesi con dannare l’appellante alle maggiori spese del giudizio di Appello, e rinviare gli atti al primo giudice per l’esecuzione.
Per questi motivi, ecc.
Il Foro Italiano, 52, 1927, 331