Il 1914 è stato veramente la data del suicidio dell’Europa da tutti i punti di vista: umano, economico, culturale, finanziario, chi più ne ha più ne metta. Senza la Grande Guerra non ci sarebbero state tante cose, senza la Grande Guerra non vi sarebbe stata un pace punitiva per la Germania. È vero, la Prima Guerra Mondiale fu il presupposto per la Seconda, una serie di eventi si concatenarono e, tristemente, sfociarono in quel complesso fenomeno sociale, politico e storiografico che fu il nazismo, con tutto quello che ne conseguì.
È proprio il 1914 ed un giovane austriaco, con la passione per la pittura, di nome Adolf Hitler si arruola come volontario per l’esercito tedesco. Proprio come tanti altri giovani è entusiasta del conflitto scoppiato nel vecchio continente ed è convinto che entro qualche mese sarà di ritorno a casa ricoperto di gloria per la vittoria. Come spesso accade aspettative e realtà non viaggiano sugli stessi binari. Nel novembre del 1918 la Germania firma la resa, la guerra è perduta. Da questa esperienza, il giovane Hitler ne esce con una convinzione: la sconfitta è da imputarsi alla mancanza di spina dorsale dei governanti tedeschi, che hanno sostituito il Kaiser alla guida del pese, ai partiti socialisti e comunisti e, soprattutto, a causa della “congiura ebraica” (tematica ricorrente nell’Europa di quegli anni).
Si traferì a monaco di Baviera e cominciò a frequentare i circoli dell’strema destra fino a che si iscrisse ad uno di loro, il neo nato Partito tedesco dei lavoratori e nei primissimi giorni del gennaio del 1920 iniziò la sua carriera politica. L’ascesa nelle gerarchie del partito fu piuttosto rapida, tanto che entro l’anno successivo divenne il leader del partito, che puntualmente ribattezzò Partito nazional-socialista del lavoratori tedeschi e scelse il simbolo della svastica come insegna del partito. Mostrò subito un’abilità oratoria fuori dal comune, un efficacia esplosiva nel comunicare con le masse, campendone le infinite potenzialità e facendo perno sul mal contento popolare, non furono rari i casi in cui i suoi discorsi alla folla finirono con assordanti applausi.
Il 1923 fu un’altra data simbolo: l’inflazione galoppante dovuta alla crisi globale portò a serie difficoltà il governo della Repubblica di Weimar e il paese stesso, che si trovò impossibilitato nel continuare a versare la cifra per le riparazioni di guerra alla Francia, che per ritorsione invase la regione della Ruhr, regione che era di fondamentale importanza strategica per l’industria essendo ricca di ferro e di carbone. Alla fine del 1923 un chilo di pane costava 400 miliardi di marchi e il führer era pronto all’azione. Tra l’8 e il 9 novembre giocò la carta del colpo di Stato, il famoso Putsch di Monaco che fallì inesorabilmente portando all’arresto dello stesso Hitler.
Di fatto, fino al 1929 il partito nazionalsocialista rimase una forza politica di secondo piano (testimone ne è il fatto che alle elezioni del 1924 ottennero circa il 3% dei voti e in quelle del 1928 leggermente meno), collocato al di fuori della legalità repubblicana e che si serviva sistematicamente della violenza per incutere timori nei suoi avversari politici e che fondava la sua forza sull’organizzazione armata dei cosiddetti Gruppi d’assalto, le SA. Una volta uscito di prigione, sull’esempio di quanto aveva fatto Mussolini in Italia, Hitler cercò di dare al partito un volto più rispettabile, abbandonando tra le altre cose quella vena anti-capitalistica che fin dal 1920 caratterizzava il partito stesso, riuscendo ad ottenere cospicui finanziamenti dagli ambienti della grande industria tedesca (che in lui vedevano un baluardo contro l’avanzata dei comunisti). Mantenendo però il programma che si fondava sulla denuncia e sul ribaltamento del trattato di Versailles, la riunione di tutti i tedeschi in una nuova Grande Germania, l’adozione di misure discriminatorie nei confronti degli ebrei e la fine del corrotto parlamentarismo.
Le cose cambiarono di molto con lo scoppio della crisi nel ’29 la maggior parte dei tedeschi fu ridotta alla fame per la terza volta in dieci anni e perse ogni fiducia nelle istituzioni repubblicane e in tutti i partiti che in essa si rispecchiano. Furono quindi la fame e l’esasperazione che convinsero la maggior parte della popolazione a guardare al di la dei partiti tradizionali e si arrivò alle elezioni del 1930 in un clima di profondo cambiamento in seno all’opinione pubblica, il partito nazionalsocialiste e Hitler ottennero il 18,3 % dei voti, per la prima volta i nazisti vennero presi sul serio a livello politico. Nonostante tutto la crisi imperversava così come Hitler stesso, che continuava a puntare sulle adunate, sui comizi di piazza e la Germania divenne teatro di scontri tra le forze estremiste del paese, il tutto mentre la produzione industriale si dimezzò. Dissesto economico, violenza, collasso politico, ma il peggio stava per arrivare.
Nuove consultazioni elettorali non tardarono ad arrivare. Nel marzo del 1932 si tennero le elezioni per il Presidente della Repubblica e i partiti democratici non trovarono di meglio che il vecchio maresciallo Hindenburg per sbarrare la strada al leader del partito nazista, che comunque fu eletto con un margine netto sullo stesso Hitler, il quale ottenne però il 37% dei voti. Una volta confermato nella carica Hindenburg non poté fare altro che cedere alle pressioni dei militari e della grande industria e furono chiamati due esponenti della destra per la formazione di un governo anche se privi di basi parlamentari: prima con von Papen e poi con von Schleicher. Entrambi i tentativi si risolsero in un fallimento e le loro esperienze si conclusero subito. Hitler si ritrovò con la strada spianata. I gruppi conservatori, l’esercito e lo stesso Hindenburg si convinsero che senza i nazisti non era possibile governare la Germania.
Fu così che il 30 gennaio 1933 Hitler fu convocato dal Presidente della Repubblica e accettò l’incarico di formare un nuovo governo, prestando giuramento come nuovo Cancelliere.