Nasceva nel 1856, a San Fele (PZ), Gabriele Faggella, magistrato e giurista. Dopo aver vinto il concorso da uditore giudiziario nel 1889, Faggella fu giudice presso il tribunale di Roma, vicepresidente del tribunale di Milano, consigliere presso le Corti d’Appello di Messina, di Napoli e di Roma, presidente del Tribunale di Napoli, Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trani e componente del Consiglio superiore della Magistratura. Dopo un breve periodo come Procuratore generale presso la Corte di Cassazione di Palermo, Faggella concluse la propria carriera come Presidente della Corte di Cassazione di Napoli. Nel 1909 tentò, senza successo, l’elezione a deputato nel collegio di Muro Lucano. Gabriele Faggella morì, a Roma, il 14 aprile 1939.
Durante gli studi universitari a Napoli, Faggella entrò a contatto con gli insegnamenti della Scuola Pandettistica tedesca, da cui assorbì la metodologia che mise così brillantemente a frutto tanto nelle proprie sentenze, quanto negli scritti accademici. Durante tutta la sua carriera, infatti, Faggella volle coltivare, allo stesso tempo, la dimensione da giudice e quella da studioso: in Del modo di mantenere alto il prestigio della magistratura in Italia, La Toga, 1899, 1, Faggella diede compiuta forma a questa convinzione, affermando «dover essere uno solo il criterio atto a dare la misura del merito di ciascun magistrato: l’esame obbiettivo del valore delle sentenze o di altri lavori giuridici, dall’esclusivo punto di vista scientifico». Proprio per questo motivo, Faggella cercò di essere sempre assegnato a sedi che, dotate di prestigiose università, gli consentissero di proseguire con profitto la propria attività di ricerca.
L’opera più nota e importante del giurista lucano è Dei periodi precontrattuali e della loro esatta costruzione scientifica (Napoli, 1906; la monografia ebbe una seconda e ampliata edizione: Roma, 1918); in essa, mettendo a frutto la geniale intuizione di Jhering sulla cosiddetta culpa in contrahendo, Faggella ha delineato i contorni di una delle fattispecie più classiche di responsabilità “precontrattuale”, quella da abusiva interruzione delle trattative. Nella sua ricostruzione, fondamento della responsabilità è l’accordo a trattare, il quale conterrebbe «nella sua essenza l’obbligazione tacita di risarcire il trattante delle spese effettive e del costo del lavorio preparatorio precontrattuale» (ivi, 273-274). Benché incorretta nella sua formulazione dogmatica, la proposta di Faggella ha avuto il merito indubbio di rinvigorire l’istituto della responsabilità precontrattuale, anticipandone gli effetti fin al momento dell’inizio delle trattative (come è ormai comunemente accettato), laddove la dottrina a lui contemporanea insisteva nel collocare il sorgere della responsabilità nel momento, temporalmente più avanzato, della formulazione della proposta. La monografia dà prova del felice connubio tra la “vita attiva” e la “vita contemplativa” del Fagella magistrato-studioso: egli si convinse della necessità di affermare una responsabilità precontrattuale osservando come gli interessi economici e commerciali fossero di frequente lesi dall’incerta disciplina delle trattative preparatorie del contratto (cfr. Bersani, Faggella, Dizionario Biografico degli Italiani, 1994).
Centrale, nell’opera di Faggella, è l’attenzione alle fonti, che egli coltivò fin dagli anni universitari. In particolare, oltre che negli scritti dedicati alla responsabilità precontrattuale, essa emerge dagli studi in materia di persone giuridiche. In linea con lo spirito liberale del tempo e sotto l’influsso della teoria romaniana della pluralità degli ordinamenti, Faggella difese la tesi dell’assoluta autosufficienza delle persone giuridiche sotto il profilo del fondamento giuridico, al punto di predicarne l’emancipazione dal necessario riconoscimento statuale al fine della loro esistenza. Per Fagella, che difatti criticò severamente la disciplina rigoristica del BGB, l’autorizzazione statale «si riduce a un precetto proibitivo di qualche manifestazione di questi enti, e ha sempre carattere negativo» (Il riconoscimento legale delle corporazioni e delle fondazioni, Giurisprudenza italiana, 1913, 8 s.). Per il giurista lucano, il diritto statuale è solo «una delle fonti da cui scaturiscono i diritti subbiettivi, ma non l’unica, perché vi sono diritti subbiettivi che sovrastano a qualunque ordinamento giuridico ed hanno la loro radice nella personalità umana e nei suoi fini» (ivi).
A suggello della sua carriera da magistrato-studioso, si pone il saggio La vera essenza del diritto positivo (1933), in cui Faggella, elaborando spunti tratti da Arrigo Solmi e da alcune riletture di Benedetto Croce delle pagine vichiane, definisce il diritto positivo quale «obbiettivizzazione» del conflitto tra le forze sociali, al contempo rilevando il rischio che quell’«elemento formale», là dove, come accade, «diventi esuberante, superfluo, in più parti ingombrante», finisca per perdere la lucidità e la sintesi delle «antiche leggi» (vd. Bersani, Faggella, cit.).