Anno 1970. I Beatles cantavano Let It Be, il Brasile batteva 4-1 l’Italia allo stadio Azteca e in Cile esplodeva la campagna elettorale per le presidenziali. Esplodeva letteralmente, per le bombe che piazzava il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria (MIR) mentre invitava a prendere le armi nel tentativo di rovesciare il sistema liberaldemocratico.
Il mandato del cristiano-democratico Eduardo Frei Montalva si era concluso: sei anni caratterizzati dalla costruzione di 250’000 nuovi alloggi popolari, venti nuove cliniche e sedici ospedali, dalla nazionalizzazione per il 51% del capitale delle società minerarie, dalla costruzione di nuove scuole con l’aumento del 50% della popolazione studentesca, dall’incremento del salario minimo, dalla dichiarazione di espropriabilità di qualsiasi tenuta agricola superiore ad 80 ettari. L’esito di queste politiche nel 1965 fu un boom col PIL a +10%, ma ben presto ci si dovette accontentare di un +1,9% accompagnato da una inflazione al 25% e dall’incremento del rapporto spesa pubblica\PIL dal 35% al 47%: neppure l’istituzione di una tassa patrimoniale riuscì a portare il deficit sotto il 9%.
Il candidato marxista della coalizione Unità Popolare, Salvador Allende, voleva proseguire sulla strada di queste politiche ma con un ulteriore slancio radicale: questa sarebbe stata la via cilena al socialismo, una via “che profuma di empanadas e vino rosso” come sosteneva ai comizi. Una via pacifica e democratica al socialismo che puntava a vincere le elezioni per poi puntare a nazionalizzazioni massicce.
Con l’aiuto dei 15 milioni di dollari inviati dalla Germania Est (tra l’altro anche Craxi si vantò di aver inviato denaro per finanziare la vittoria di Allende) e degli agenti del KGB (come Svyatoslav Kuznetsov) ridislocati da Città del Messico a Santiago per l’occasione, dopo il primo turno delle elezioni Allende si ritrovò con solo il 36% dei voti, ma primo fra i tre candidati. Un consenso che mostrava come circa due terzi dell’elettorato non era intenzionato a percorrere la sua via socialista. Riuscì comunque a vincere nel successivo ballottaggio parlamentare grazie tanto agli ulteriori denari sbloccati dal Comitato Centrale di Mosca per comprare i voti dei deputati riottosi quanto al fallimento di due complotti della CIA (uno dei quali riguardava una istigazione delle forze armate a compiere un colpo di stato, il Progetto FUBELT) e all’appoggio del Partito Democratico Cristiano: questo dichiarò il sostegno ad Allende solo dopo che il socialista assunse l’impegno di firmare lo “Statuto di Garanzie Costituzionali” dove assicurava che non avrebbe stravolto alcun elemento della Costituzione Cilena.
Il 24 Ottobre 1970 alle ore 10,39 il Congresso in seduta plenaria proclamò Allende Presidente con l’81% dei voti.
Il compito di trasformare il Cile in un paradiso socialista venne affidato al Ministro dell’Economia Pedro Vuskovic, che aveva un Piano. Una stanza apposita coperta di computer e telex, arredata come il ponte di comando dell’Enterprise, venne allestita per applicare questo “piano scientifico”: realizzare una massiva redistribuzione del reddito incrementando salari e spesa pubblica, così che sarebbe aumentato pure il potere d’acquisto della popolazione e di conseguenza i consumi. Queste misure avrebbero rivitalizzato l’apparato produttivo cileno e prodotto la prosperità. La scoperta del moto perpetuo. O “populismo macroeconomico“, secondo un termine con cui è stato descritto nel 1990 dagli economisti Rudi Dornbusch (tedesco al MIT) e Sebastian Edwards (cileno).
Si dette il via ad un grandissimo piano di spesa pubblica. Cominciò la costruzione di 120’000 nuove case popolari, iniziarono i cantieri per la metropolitana di Santiago, venne tagliato per legge il prezzo del pane, dato latte gratis a tutti i bambini, istituiti festival musicali gratuiti pagati dal governo, distribuito a nome di Allende cibo agli indigenti, realizzate nuove strade e ponti, abolite le tasse patrimoniali alla classe media, esentato il 35% della popolazione nazionale cilena dal pagamento delle tasse sul reddito, distribuiti quasi gratuitamente attraverso la nuova casa editrice statale “Editoriale Quimantu” i classici della letteratura e dell’analisi sociale marxista, resa l’università totalmente gratuita come anche i libri di testo, aumentate le pensioni minime di cinque volte e mezzo. E questa lista potrebbe non finire mai. Non c’erano problemi di soldi, tutto poteva essere realizzato stampando abbastanza moneta o contraendo sufficienti prestiti con l’estero.
Il 1971 si rivelò un anno di successo: il PIL era aumentato dell’8,6% e la produzione industriale del 12%. L’inflazione scese dal 36% al 22%. La disoccupazione calò dal 5,7% al 3,8%. I salari reali incrementarono del 22%. C’erano però già i segni dello squilibrio: il deficit era pari al 9,8%, la base monetaria aumentata in un anno del 119%, le riserve in valuta straniera diminuite del 59%. Il dato più importante però era un netto collasso degli investimenti.
Infatti Allende aveva realmente voluto applicare il proposito di nazionalizzare tutto fino ai negozi di barbiere. Portato avanti con una serie di decreti selvaggi, ben presto lo Stato e in suo nome il Presidente Allende si trovò a controllare il 90% delle miniere, l’85% delle banche, l’84% delle imprese edili, l’80% delle grandi industrie, il 75% delle aziende agricole e il 52% delle imprese medio-piccole. Chi avrebbe investito in un’attività quando sarebbe potuto finire espropriato da un momento all’altro, spesso senza alcun indennizzo? Iniziò pure una fuga dei liberi professionisti, alla ricerca di altri lidi dove poter vendere liberamente le proprie competenze, a cui Allende rispose rendendo l’emigrazione quasi illegale. Ancor peggiore fu l’impatto delle nazionalizzazioni sulla libertà di stampa, con quasi tutti i giornali che si trovarono posseduti dallo Stato o dipendenti da finanziamenti elargiti da banche statali. Alcuni giornali di opposizione sopravvissero tramite “interessati” finanziamenti della CIA.
Pure la nazionalizzazione delle miniere di rame contribuì a spaventare gli investitori esteri. Se Montalva aveva già nazionalizzato il 51% del capitale delle società minerarie, Allende fece approvare al Congresso l’espropriazione del 100% e senza indennizzo. La risposta di Washington fu comunque tattica, Nixon si limitò a “raffreddare” le relazioni con Santiago, dopo il fallimento del progetto FUBELT, senza invocare lo Hickenlooper Amendment che avrebbe significato tagliare ogni aiuto umanitario al Cile.
Sempre continuando sull’eredità di Montalva, Allende sfruttò la sua legge di riforma agraria nel tentativo di espropriare qualsiasi proprietà terriera superiore a 80 ettari. Anche questo fu un processo caotico e arbitrario, che non fece altro che mettere in dubbio la permanenza nel paese del diritto di proprietà sancito dalla Costituzione cilena. Perché, è chiaro, Allende non promulgò mai lo Statuto di Garanzie Costituzionali a cui si era impegnato con l’alleato cristiano-democratico in Congresso.
Nel 1972 i nodi cominciarono a venire al pettine e iniziò il disastro. Il deficit aumentò ulteriormente al 24,5% e lo Escudo si svalutò del 140% mentre l’inflazione schizzava al 200%. Allende rispose populisticamente aumentando per legge i salari (+48%) e ponendo un calmiere dei prezzi: produsse solo ulteriore inflazione e la creazione di un mercato nero per i beni di prima necessità. A fine 1972 al mercato nero gli Escudo Cileni smisero di essere accettati.
Iniziò una corsa agli sportelli. Allende dichiarò che tutti i depositi erano garantiti, ma nessuno si fidò: come fidarsi di un uomo che si era rifiutato di pagare le compensazioni per le nazionalizzazioni che aveva ordinato? Come fidarsi di un Presidente che aveva dato il consenso tacito ai quadri periferici del Partito Socialista di mettere su bande per portare avanti 1’500 espropriazioni terriere illegali? Come fidarsi della garanzia per i depositi interni se Allende poco prima aveva dichiarato che il Cile cessava di ripagare i creditori esteri del debito pubblico?
Nel settembre del ’72 un’inchiesta del settimanale Ercilla rivela che l’azione di governo è sentita come una minaccia dal 60% della popolazione e che il 77% della classe media dichiara di avere serie difficoltà ad acquistare beni di prima necessità. Pochi mesi prima, nei giorni di natale le donne dei ceti medi e alti erano scese in piazza organizzando la “marcia delle casseruole”. Assai più insidiose sono le proteste dei ’72: ad agosto i commercianti al dettaglio dichiarano lo sciopero generale poi tocca ai camionisti. La scintilla è “il sospetto dell’intenzione” di creare un apparato pubblico di trasporti nella provincia di Aysen, ma sotto cova la rabbia dei ceti medi. È una battaglia campale, quella che si apre sotto la direzione di Leòn Villarin, segretario del sindacato dei trasporti. Lo sciopero dei diecimila caminiositi che taglia in due il paese è finanziato con un milione di dollari dalla CIA.
Niente sembrava riuscire a colmare il deficit di bilancio: non aiutava il calo del prezzo del rame da 66$ a tonnellata a 48$, come anche il fatto che tutte le aziende nazionalizzate, prima sane, appena passate in mano allo Stato avessero iniziato ad accumulare miliardi di dollari di debiti, tanto per la nuova malagestione che per le centinaia di migliaia di persone assunte in modo assistenzialista. Ma è anche vero che il governo non riteneva in generale che il deficit fosse un problema, scegliendo di adottare politiche economiche che aumentarono la base monetaria di trenta volte in appena tre anni.
A fine 1972 il Pil era -0,8% e i salari reali diminuiti di un 11,3%. L’opposizione parlamentare, finanziata con qualche milione di dollari dagli Usa, riuscì a mobilitare i primi scioperi sindacali massicci contro il governo. .
L’anno 1973 si aprì con Allende che additava in un blocco commerciale internazionale ordito dagli Stati Uniti e dai poteri forti il complotto generante la situazione economica del paese, mentre prometteva che col razionamento sarebbe giunta anche la fine dell’inflazione.
Per il governo il risultato delle elezioni parlamentari del Marzo 1973 giunse come un fulmine a ciel sereno: il partito democratico-cristiano rinunciava all’alleanza politica con Allende e il Congresso continuò a rimanere saldamente in mano all’opposizione. La società si faceva sempre più politicamente polarizzata e violenta. Una parte del Partito Socialista attaccava Allende, sostenendo che le sue riforme fossero fallite perché non abbastanza socialiste e la sua azione di governo era la dimostrazione che si poteva abbattere il capitalismo solo con la violenza. Sulla stessa linea, il MIR aveva ripreso a piazzare bombe. Le persone comuni, di maggioranza e opposizione, cominciarono a condividere il medesimo pensiero: presto ci sarebbe stato un colpo di stato. Fosse per abbattere il capitalismo o per ripristinare il governo entro l’alveo costituzionale, ma sarebbe avvenuto. Chi poteva, scappava.
La situazione continuava a peggiorare, i salari reali ora erano scesi di un ulteriore 38,6%.
Iniziò la corsa precipitosa verso la distruzione. Allende, privo di una maggioranza parlamentare, iniziò a legiferare tramite ordini presidenziali.
Fra Aprile e Giugno del 1973 si tenne lo sciopero dei 12’000 minatori delle miniere nazionalizzate dal governo. La richiesta era vedersi riconosciuti gli aumenti salariarli previsti dai loro contratti di lavoro. Allende rispose che dovevano accettare un sacrificio per “l’interesse generale“: quando i minatori si rifiutarono, vennero indicati dalla stampa come “fascisti e traditori“ e il loro sciopero represso illegalmente dalla polizia.
Il 26 Maggio 1973, in riferimento agli ordini dati dal governo alla polizia di non applicare le sentenze contrarie all’azione di governo, la Corte Suprema approvò all’unanimità una risoluzione in cui veniva condannato “l’infrangimento della legalità nella nazione“.
Il 22 Agosto del 1973 la Camera dei Deputati approvò 81 a 47 (per la rimozione dall’incarico del Presidente sarebbero serviti 100 voti) una risoluzione in cui veniva chiesto al governo “di mettere immediatamente fine alle violazioni della costituzione… con l’obiettivo di riportare l’azione di governo nel solco dello stato di diritto e assicurando l’ordine costituzionale della nostra nazione“. La risoluzione affermava che il governo Allende desiderava “conquistare il potere assoluto con il chiaro obiettivo di sottoporre tutti i cittadini al più stretto controllo politico da parte dello Stato… mirando a istituire un sistema totalitario“, sostenendo che avesse fatto “della violazione della Costituzione un sistema permanente di condotta” (questa accusa derivava dal tentativo di Allende di concentrare nell’esecutivo i poteri legislativo e soprattutto giudiziario).
Veniva anche criticata la riforma della polizia, che aveva provocato una epurazione dei sostenitori delle opposizioni per trasformarla in un gruppo armato legato direttamente al Partito Socialista. Dura condanna anche per la tolleranza che mostrava la polizia verso manifestazioni armate di sostenitori del Partito Socialista, negando qualsiasi evento alle Opposizioni.
Veniva soprattutto condannata la fine della libertà di stampa, citando i casi delle televisioni e dei giornali illecitamente chiusi, oltre a quelli dei giornalisti torturati.
Era questa la via cilena al socialismo, al profumo di empanadas e vino rosso?
Allende rispose alla risoluzione due giorni dopo, dichiarando che lo Stato di Diritto sostenuto dalla Camera era solo uno Stato di Ingiustizia (economica e sociale), invocando “i lavoratori, tutti i democratici e i patrioti” a unirsi a lui nella difesa della Costituzione e del “processo rivoluzionario“.
Il deficit era al 30,5%, il PIL collassava del -4,9%.
A fine Agosto 100’000 donne si riunirono a Santiago in Piazza della Costituzione per protestare contro l’aumento del costo della vita e la scarsità di cibo e carburante. Vennero disperse dalla polizia usando gas lacrimogeni.
L’inflazione ormai era al 605%.
L’11 Settembre tutto si concluse: il clima per un colpo di stato militare era perfetto. La stessa opposizione lo invocava a mezze parole come elemento risolutore.
Da parte sua, l’Esercito seguiva dal 1970 un doppio binario di faide interne e rapporti con la CIA. Il progetto FUBELT era stato un fallimento e gli Stati Uniti non vollero più tentare spallate dirette al governo di Allende, tantomeno avere rapporti con i militari.
In retrospettiva, gli Stati Uniti si erano infatti mossi per la prima volta in vista di una possibile vittoria di Allende alle elezioni del 1970. Al fine di orchestrare un colpo di stato in caso di una sua vittoria, come la CIA diede armi e fondi per 10milioni di dollari al generale Camilo Valenzuela per rapire e assassinare il comandante in capo dell’esercito cileno generale René Schneider. L’eliminazione di Schneider era il presupposto di qualsiasi golpe, avendo egli elaborato la così detta Dottrina Schneider il 23 Luglio 1970, sulla base della quale l’esercito doveva rimanere apolitico e al massimo intervenire in caso di alto tradimento, per virtù di una mutua esclusività fra ambito politico e ambito militare. Non avrebbe mai supportato un colpo di stato. Per questo subì due tentativi di rapimento, il primo ad opera di Valenzuela e il secondo del generale Roberto Viaux, questo senza aiuti esteri. Fallirono entrambi. Il 22 Ottobre, sia Valenzuela che Viaux ritentarono il colpaccio (l’uno senza sapere dell’altro), ma arrivarono prima gli uomini del secondo e Scheneider subì un agguato in automobile. Morì in ospedale tre giorni dopo. Nixon inviò un telegramma di condoglianze ad Allende.
Viaux venne arrestato, Valenzuela (di cui non si sapeva il complotto) promosso a capo della piazza di Santiago e Carlos Prats, il quale condivideva la Dottrina Schneider, fu nominato nuovo comandante in capo. Dopo questo esito, gli USA abbandonarono, come detto, il proposito di supportare direttamente un golpe.
Prats era uno dei maggiori supporter di Allende, tanto da essere nominato nel 1972 suo ministro della difesa e suo ministro degli interni (che nell’ordinamento cileno equivaleva ad avere pure la vice-presidenza). Questi ruoli, il dover da ministro mantenere sempre con più difficoltà l’ordine in un paese dove cresceva la polarizzazione e la violenza, cozzavano con la sua professione di fede verso la Dottrina Schneider.
Il 27 Giugno 1973 alle ore 15,00, Prats stava andando in auto al suo ufficio. L’animo della popolazione era tale che rapidamente venne riconosciuto e insultato dai passanti. Arrivato ad un incrocio, si trovò di fianco una piccola Renault con due uomini all’interno, che iniziarono a ridere e insultarlo facendo gesti osceni. Il generale non riuscì a mantenere il suo contegno, prese la pistola e sparò al parafango sinistro della Renault. Le auto si fermarono, scesero i passaggeri e Prats si accorse che l’altro guidatore non era un uomo ma una donna dai capelli corti, Alejandrina Cox. La folla prese le parti della donna, disarmata minacciata con una pistola niente meno che dal generale ministro degli interni: Prats venne salvato solo da un taxi di passaggio mentre la sua auto veniva vandalizzata. Lo stesso giorno presentò le dimissioni ad Allende, che le rifiutò.
Nel frattempo nella caserma di Santiago si ordiva un nuovo colpo di Stato, la cospirazione venne però scoperta e resa pubblica il 28 Giugno 1973. Ciònonostante il tenente colonello Roberto Souper decise di agire di sua iniziativa il giorno seguente e si mise alla testa di un piccolo manipolo di carri armati e mezzi blindati del 2º Battaglione Mezzi Corazzati. Circondarono La Moneda, il palazzo presidenziale, ed il ministero della difesa. Il manipolo di insorti aprì il fuoco sui palazzi presi di mira. Nel centro della città si diffuse presto il panico, ed anche alcuni civili furono uccisi dai rivoltosi (fra questi il cameraman Leonardo Henrichsen che filmò la propria morte riprendendo il soldato che gli spara e lo uccide).
Il ministero e le alte gerarchie dell’esercito si allertarono immediatamente, fu chiesto al generale Carlos Prats di reprimere la rivolta. Egli, che già disponeva di piani per soffocarla, chiamò a soccorso i suoi soldati lealisti, i quali però erano pieni di incertezze perchè non volevano sparare a propri commilitoni.
Verso le 10,30, il generale Prats, rischiando la vita, si recò di persona alla Moneda, per parlare direttamente i soldati golpisti, invitandoli a deporre le armi. La vera svolta fu quando alle 11,10 arrivò sulla scena il 1º Reggimento di Fanteria, guidato dal generale Augusto Pinochet, che puntò le armi contro i rivoltosi.
Il tentato golpe era fallito, ma la Dottrina Schneider era completamente collassata agli occhi del paese. Il 22 Agosto, parallelamente alla grande manifestazione di 100mila persone a Santiago, la residenza di Prats venne picchettata dalle mogli di ufficiali dell’esercito che gli domandavano di riportare l’ordine nel paese. Carlos Prats si dimise.
Con lui venne meno l’ultimo ostacolo nell’esercito all’organizzazione di un golpe su larga scala. Infatti il 23 Agosto Allende nominò quale nuovo comandante in capo Augusto Pinochet, stimato a lui fedele.
Alle ore 7,00 dell’11 Settembre 1973, data scelta perchè concomitante col famoso golpe dell’11 Settembre 1924, la marina occupò Valparaìso con tutta la costa centrale, chiudendo i servizi radio e televisivi. Il prefetto informò subito Allende, il quale si asserragliò nel palazzo presidenziale protetto dalla sua guardia personale di ex guerriglieri cubani. Per le 8,00 l’esercito aveva sbarrato quasi tutte le radio e le televisioni di Santiago: l’areonautica bombardò le rimanenti.
Il Presidente riceveva informazioni incomplete, era portato a credere che si trattasse di un golpe della sola marina. Allende provava, inutilmente, a contattare i capi delle forze armate. Il comandante della marina Ammiraglio Montero, lealista di Allende, non rispondeva al telefono perchè i cavi erano stati tagliati (e la sua automobile sabotata); il comando delle forze di mare venne trasferito quindi a José Toribio Merino, il quale però era uno dei pianificatori del golpe. Inutile dire che Pinochet non rispondeva alle telefonate, come pure il comandante dell’aviazione, generale Gustavo Leigh.
Rispose invece José María Sepúlveda, generale dei carabinieri, che inviò subito rinforzi al palazzo presidenziale.
Nonostante ormai ci fosse prova che tutte le forze armate cilene erano coinvolte nel golpe, Allende continuava a credere che là fuori ci fossero anche forze lealiste. In particolare il Presidente era fiducioso della lealtà di Pinochet, tanto da dichiarare ad un reporter che questi non rispondeva alle chiamate in quanto sicuramente arrestato dai golpisti. Solo alle 8,30, quando le forze armate dichiararono il loro controllo congiunto sul Cile e che Allende era deposto, il Presidente riuscì a comprendere la grandezza del golpe che si trovava a fronteggiare. Ma rifiutò di dimettersi.
Verso le 9,00 i carabinieri che difendevano il palazzo presidenziale lasciarono le loro posizioni. Verso la solita ora, le forze armate avevano guadagnato il controllo sull’intero paese tranne il centro storico della capitale. Allende rifiutò di arrendersi, nonostante le reiterate dichiarazioni che l’esercito avrebbe bombardato La Moneda se non si fosse dimesso. Allende rilasciò il suo messaggio di addio alla nazione.
Alla fine arrivarono i caccia e gli elicotteri dell’aviazione a supportare la fanteria nella presa del palazzo, che avvenne solo per le 14,30.
Nel frattempo, Allende si era suicidato.
Era l’inizio della dittatura di Pinochet, che stando alla Commissione Retting nei suoi 17 anni fece ufficialmente 3508 morti – 2.298 assassinati o giustiziati, 1.210 sparizioni forzate – oltre a 28.259 vittime di tortura e prigionieri politici.
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