Il 1900 aveva colto l’Europa nel bel mezzo della Belle Époque. L’Esposizione universale di Parigi aveva inaugurato il nuovo secolo con le migliori promesse che la pace e la prosperità economica sarebbero state le sue principali prerogative. Ma quando il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono di Austria-Ungheria, e sua moglie vennero assassinati per mano di un giovane nazionalista serbo, le tensioni accumulatesi e per anni tenute a bada si palesarono in tutta la loro carica distruttiva.
L’attentato ebbe luogo a Sarajevo, in una Bosnia consegnata dal Trattato di Berlino al controllo degli Austro-ungarici. Il disfacimento dell’Impero Ottomano aveva messo in movimento i nazionalismi balcanici, determinando uno stato di agitazione che era già sfociato nella prima e nella seconda guerra balcanica.
L’Austria colse l’occasione offerta dall’attentato per inviare un ultimatum alla Serbia, il 23 luglio, solo dopo essersi assicurata l’appoggio della Germania. La crisi di luglio era aperta.
Al governo serbo veniva intimato di prendere seri provvedimenti nei confronti dei movimenti nazionalisti, sopprimendo la propaganda anti-austriaca, sciogliendo le associazioni che la diffondevano, persino consentendo a funzionari austriaci di partecipare alle indagini sui mandanti dell’attentato. Erano condizioni troppo invasive della sovranità della Serbia perché potesse accettare.
L’Austria fu dunque costretta a dare seguito al suo ultimatum, dichiarando guerra alla Serbia, il 28 luglio 1914. Cominciava la Grande Guerra.