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30 Maggio 1924 – L’ultimo discorso di Matteotti

“Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo.  (…) Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.” Concluso il suo discorso alla Camera il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti si voltò e aggiunse profeticamente ai suoi compagni di partito: “io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.”

Matteotti prese la parola alla Camera per chiedere che non fosse convalidata l’elezione di quei deputati che erano entrati in Parlamento grazie al premio di maggioranza assegnato dalla Legge Acerbo, legge fortemente antidemocratica che, assegnando i 2/3 dei seggi al partito che avesse raccolto almeno il 25% dei voti, di fatto attribuiva valore doppio ai voti per quel partito – il Partito Nazionalista Fascista. Non sperava davvero, con il suo discorso, di ottenere l’annullamento di quelle nomine, quanto di fomentare l’opposizione, incoraggiandola a opporsi all’intolleranza, supportata dalla violenza, a cui i fascisti si dimostravano sempre più avvezzi, e a cui gli Italiani si stavano pericolosamente assuefacendo.  Nel suo discorso denunciò i brogli e i soprusi messi in atto nella votazione per assicurare la maggioranza al PNF, negando la libertà del voto persino nel suo significato più banale, quale libertà da costrizioni fisiche.

Concluse con fatica il suo discorso, dovendo scavalcare le urla di dissenso e le numerose interruzioni che provenivano dalla destra della camera. Giorgio Amendola, allora solo 17enne, che in quel giorno si trovava per caso ad assistere alla scena dalla tribuna per le famiglie, ha raccontato la “ostilità e le forme di insofferenza volgare” con cui le destre accompagnarono il discorso di Matteotti. Mussolini, a un certo punto del discorso, ebbe uno scatto di insofferenza, si rivolse a un suo vicino “con un gesto volgare, plateale, come se Matteotti avesse superato chissà quale limite, sembrava dire ‘ma cosa aspettate? Dategli una lezione’”.  Sarebbe poi uscito dalla Camera furioso, chiedendosi perché quell’uomo circolasse ancora. Questi non era nuovo a commenti simili nei confronti dei membri dell’opposizione, ma questa volta il suo astio ebbe un peso diverso, portando com’è noto al sequestro e successivo assassinio di uno degli ultimi che ebbero il coraggio di denunciare apertamente e lucidamente la prepotenza fascista.

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