La vita
Nato a Vignola il 21 Ottobre 1672, si laureò presso l’Università di Modena in filosofia (1692) e in diritto (1694). Nel 1695, anno in cui vestì l’abito talare, Muratori venne chiamato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Il ritorno a Modena risale al 1700, quando fu promosso da Rinaldo I d’Este al grado di archivista e bibliotecario ducale. L’alleanza matrimoniale tra gli Este e gli Hannover sollecitò Muratori, insieme al filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), a ricostruire le linee dinastiche in comune tra le due casate, mettendo a frutto le competenze archivistiche acquisite.
In seguito all’invasione di Comacchio a opera dell’imperatore Giuseppe I (1708), Muratori intraprese un sistematico vaglio di antiche fonti al fine di certificare i fondamenti giuridici delle pretese imperiali ed estensi su un’area che era stata annessa allo Stato pontificio nel 1598. La Piena esposizione dei diritti imperiali ed estensi sopra la città di Comacchio (1712) diede inizio a una serie di monumentali opere storiografiche che fecero guadagnare a Muratori una solida fama europea: dalle Antichità estensi ed italiane (1717-40) ai Rerum italicarum scriptores (1723-38), dalle Antiquitates italicae medii aevii (1738-42) agli Annali d’Italia (1744-49).
Non mancò infine l’attenzione al diritto e alla politica, con due importanti saggi della maturità: Dei difetti della giurisprudenza (1742) e Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni principi (1749). Muratori morì a Modena il 23 gennaio 1750.
Dei Difetti della Giurisprudenza
Muratori elaborò le sue proposte di natura politica e giuridica in modo più articolato e organico nei due saggi Dei difetti della giurisprudenza e Della pubblica felicità. In realtà, il tema ricorrente della farraginosità della scienza giuridica e della sua inadeguatezza a cogliere gli elementi di rinnovamento presenti in altre discipline è già rilevabile in alcuni testi della giovinezza.
Ma già un primo scritto (De codice Carolino) interamente dedicato al diritto fu composto da Muratori nel 1726, quando mise mano a un progetto di riforma legislativa di ampio respiro destinato all’imperatore Carlo VI d’Asburgo, a cui il testo avrebbe dovuto essere indirizzato in forma di epistola, peraltro mai recapitata né edita. Vi si prefigurava una codificazione semplificatoria che, promulgata con il consenso degli Stati soggetti e con la collaborazione dei massimi tribunali dell’Impero, avrebbe dovuto comunque tener conto, salvaguardandoli, dei diritti locali.
L’opera con la quale Muratori affrontò articolatamente il tema del rinnovamento giuridico rimane comunque Dei difetti della giurisprudenza, un saggio in cui furono ripresi gli spunti polemici delle opere pregresse e messa a frutto la formazione legale. La verve antigiurisprudenziale aveva qui modo di essere efficacemente valorizzata, nel contesto di una più ampia riflessione sulla natura del diritto e sul ruolo giocato dai suoi cultori. All’evidente scetticismo di fondo relativo al carattere problematico e controverso della scienza giuridica si accompagnava una spiccata concretezza dettata dal buon senso.
I difetti «intrinseci» della giurisprudenza, insiti nell’essenza stessa del rapporto tra diritto e società e per ciò stesso ineliminabili, sono essenzialmente rinvenibili: nell’ambiguità della legge che, in quanto formulata in un testo, subisce l’interpretabilità del linguaggio; nella versatilità delle manifestazioni della vita che, nella loro inafferrabile mutevolezza, non possono essere prevedute dal dettato normativo; nell’indefinitezza delle volontà e delle intenzioni umane, che prendono vita in parole e in atti suscettibili, come e quanto le leggi, di manipolazione; nella disomogenea attitudine e intelligenza dei giudici, i quali, tentando di adeguare soggettivamente principi astratti di giustizia al caso contingente, producono esiti variabili e imprevedibili.
Ciò che invece poteva e andava senz’altro riformato era, secondo Muratori, il maggiore tra i difetti «estrinseci», consistente in quella «selva» di opinioni dottrinali e di pronunce giurisprudenziali che, nel corso del tempo, avevano travolto il significato originario delle norme romane tramandate dal Corpus iuris civilis di Giustiniano, finendo per incoraggiare gli operatori a usare la più ampia discrezionalità nella selezione e nella combinazione dei dati argomentativi. Gli accenti più graffianti furono usati da Muratori nel descrivere l’opportunismo e l’interessata disinvoltura con cui i «dottori», veri padroni delle aule giudiziarie, adottavano questo o quell’orientamento per sostenere le ragioni del proprio cliente (se avvocati) o le proprie opinabili decisioni (se giudici).
Nel complesso, la riforma della giurisprudenza contemporanea al Muratori era sollecitata principalmente da tre fattori: l’inadeguatezza della compilazione giustinianea a regolare tutti i casi e quelli, in particolare, dei tempi moderni; l’inaffidabilità di giuristi, giudici e avvocati, legati per ignoranza o interesse al mare magnum delle auctoritates del diritto comune, fonte di incertezza e di arbitrio; l’oggettiva difficoltà di identificare e, se identificati, di applicare correttamente principi di giustizia naturale.
Della Pubblica Felicità
La serrata critica al mondo giuridico va integrata infine con il lascito più maturo del pensiero di Muratori, che nella Pubblica felicità ebbe modo di tracciare le linee portanti di un ‘dispotismo illuminato’ finalizzato al benessere dei sudditi. Scritto all’indomani della pace di Aquisgrana (1748), in esso sono contenuti ulteriori motivi di ripensamento circa il ruolo da assegnare al diritto e ai giuristi. Questi ultimi, in particolare, erano invitati a superare un’angusta rendita di posizione costruita su un sapere limitato «a i digesti e al codice, e alla gran filza de gli ordinarî autori legali», per aprirsi a un contributo più squisitamente politico, affiancando il principe nell’edificazione di uno Stato al servizio dei sudditi. Per coronare tale vocazione, occorreva essere edotti di una
giurisprudenza superiore, cioè quella che insegna i primi principî della giustizia e i doveri del principe verso de’ sudditi e de’ sudditi verso il principe; che fa giudicare se le leggi stesse sieno rette o se altre maggiormente convenissero (p. 35).
Tale scienza veniva individuata nel gius publico, l’insegnamento impartito nelle università tedesche e olandesi, «ma trascurato per lo più da i giurisconsulti italiani» (p. 35). L’aspra invettiva contro il ceto legale lasciava il posto a una più pacata consapevolezza circa i limiti della cultura giuridica italiana: riconoscendone il valore nel quadro del necessario riformismo a venire, Muratori indicava a sovrani e intellettuali una via di rinnovamento accessibile e compatibile con le contraddittorie istanze sue contemporanee.